Allons enfants au bouillon. La fila è lunga e visto che mi annoio, con mia figlia cerco di individuare quanti e quali sono i fan di “Emily in Paris” in pellegrinaggio tra i luoghi della serie culto e quanti sono – come me – qui perché adorano questo tipo di locale e basta. Sono al Bouillon Chartier, un locale diversamente magnifico di Parigi, che riesce a essere turistico senza perdere un’oncia di autenticità, e alla fine concludo che sì, rispetto all’ultima volta, prima che da queste parti si facesse viva la svampita americana a Parigi interpretata da Lily Collins, la coda è stata più lunga di almeno venti minuti. Tutta colpa del successo della serie. Come se non ci fosse bisogno già di molta pazienza per conquistarsi un tavolo qui senza che ci si mettano anche le maledette star di Netflix.
Niente avanguardia
Al netto di “Emily in Paris” il successo dello storico locale di Faubourg Montmartre nel 9° (la fermata più vicina del metrò è Grands Boulevards) si spiega facilmente: dove altro puoi mangiare a Parigi un menu tradizionale completo a meno di 25 euro in un ambiente lussureggiante e festoso, senza limiti di orario né di giorno? Certo, i piatti non sono da fine dining e l’avanguardia qui non si è mai fatta vedere, ma non si viene al BC per fare i gourmettari, al massimo i Bobo annoiati che giocano a fare i democratici profanando la Nouvelle Cuisine.
Le regole del gioco
Allora, al bouillon (che prende il nome dal brodo che inizialmente costituiva l'alimento base di questi luoghi) è buona norma conoscere le regole del gioco: non si prenota ma ci si mette in fila senza farsi spaventare dal serpentone che spesso tracima sul marciapiede ostacolando il traffico pedonale e quello dei trottinette (i monopattini), il locale è grande e funziona come una macchina da guerra, anzi come un copertificio, e se sei solo spesso puoi saltare la coda se hai voglia di riempire un buco con sconosciuti, del resto qui si viene anche per socializzare e se davanti ti trovi un giapponese che fotografa anche la saliera, pazienza; una volta dentro i camerieri sono un esercito burbero, un po’ per indole, un po’ per stress e molto per posa, il consiglio è individuare subito il tuo (ognuno ha un numero sul gilet) e non perderlo mai di vista nella sua corsa da kenyota; l’ordinazione è scritta sulla tovaglia di carta e il conto viene fabbricato allo stesso modo, quando la stessa tovaglia di carta è di solito una mappa di schizzi di sughi vari. Il tutto alla fine dura al massimo un’ora, poi si lascia il posto a qualcun altro, anche perché chi si trattiene in ciance con la tazzina di caffè vuota è guardato male.
Menu robusto
Il menu è roba semplice, robusta cucina francese senza fronzoli e di larghe porzioni. Gli antipasti costano pochi euro e comprendono Uovo sodo alla maionese, Terrina di campagna, Gamberi in salsa rosa, certe agliosissime Escargot in numero di sei o di dodici. I piatti principali sono ruspanti: l’Andouillette, che è una salsiccia aromatizzata, la Choucroute alsaziana con slavine di crauti, il Pollo arrosto, la Fricassea di rognone, il Boeuf bourguignon e il costo per ciascuno va dai 7 ai 13,80 euro. Già, perché qui i prezzi tengono in buon conto anche i centesimi, come alla Lidl. Tutti i secondi sono accompagnati da patate fritte, puré di patate, salse varie, mostarda di Digione. I dolci sono fermi agli anni Settanta: Coppa di crema chantilly, Risolatte, Coppa Mont Blanc, Crème caramel. I vini sono della casa, in formati vari, oppure bottiglie dabbene della Languedoc o del Jura a prezzi spavaldi. Alla fine in due con un mezzo litro si può stare sotto i 50 euro senza negarsi nulla, nemmeno uno schizzo sulla camicia.
Alti e bassi
Il bouillon in realtà non è sempre andato così di moda. Lo Chartier, nato nel 1896 a opera di Frédéric e Camille Chartier, due fratelli, è stato a lungo l’ultimo esponente di una tipologia di locale storico, una brasserie popolare che a inizio Novecento sfamava gli operai e chi passava di là. C’è stata un’epoca in cui di questi locali ce n’erano duecento, il loro décor era un po’ quello di una mensa popolare, un po’ quello di una stazione, ma il tutto con quel tocco art déco che all’epoca era molto diffuso e che contribuisce al fascino attuale di quei posti.
Gli altri
Ma siccome nulla resta fuori moda per sempre oggi, ben prima che nei bouillon andasse a spiluccare Emily, si contano decine di questi locali in tutta Parigi, per lo più nella Rive Droite, nella Parigi haussmaniana dei boulevard: un po’ una reazione all’haute cuisine e alla bistronomie declinante, un po’ un segnale della crisi economica che restringe i budget per le cene. Ci sono intanto le succursali del Chartier, a Montparnasse (59 boulevard du Montparnasse, nel 6°) e alla Gare de l’Est (5 rue du 8 mai 1945, nel 10°). C’è il Petit Bouillon Pharamond (24, rue de la Grande Truanderie, nel 1° arrondissement) che dicono sia il più antico e infatti gli interni sono decadenti e perfino un po’ maleodoranti ma di grande fascino, e il cibo è migliore del Chartiere (e le Tripes, servite al modo di Caen, sono notevoli).
C’è il Bouillon Julien, forse il più bello (46 rue du Faubourg Saint Denis, nel 10°), con gli specchi e le vetrate Art Nouveau. C’è il Bouillon Racine (3 rue de Racine, nel 6°), che alcuni dicono si sia un po’ imborghesito e comunque i prezzi sono più alti e per cenare bisogna spendere anche 35 euro. C’è il Bouillon République (32 boulevard du Temple nel 3°) che in realtà è collegato al notevole Bouillon Pigalle (22 boulevard de Clichy, nel 18°), creato ex novo nel 2017 e che ha avuto un ruolo non indifferente nella nouvelle vague della ristorazione popolare, con un tocco hipster che alla fine non dispiace ai parigini di entrambe le rive. C’è Comme un Bouillon (17 rue de Choiseul, nel 2°) che “cita” il bouillon nell’arredo contemporaneo e nel menu e dove si può anche prenotare. C’è Bout’Chou (110 rue de Courcelles, nel 17°), piccolo e un po’ borderline nell’interpretare il concetto. Ce ne sono altri che sarebbe inutile elencare. Anche perché il panorama cambia in continuazione e sembra destinato ad ampliarsi ancora: diversi bouillon apriranno presto surfando sulla tendenza. Sempre che, si badi bene, Emily resti a Parigi: se traslocherà a Roma magari sarà la volta delle file davanti alle fiaschetterie o alle pizzerie al taglio.