Il bollito di maiale più famoso d’Italia si mangia in un locale di Trieste

22 Feb 2025, 14:28 | a cura di
Tagli nobili e meno nobili del maiale per creare uno dei piatti triestini più famosi d'Italia. Ecco cos'è e come si prepara il bollito di Pepi

Sono passati quasi 130 anni da quando Pepi Klajnsic detto Pepi S’ciavo” (sloveno) inaugurò uno dei locali più famosi d’Italia. Dal quel 1897 ne è passata di acqua sotto i ponti: guerre, uccisioni, cadute, riprese, cambi di gestione, ma quello che è rimasto è il buon cibo, marchio di fabbrica del locale di Trieste che ancora oggi rimane nella memoria di chi l’ha visto crescere e restare saldo alla tradizione culinaria del posto. Una di queste è Licia Fertz, che in una nostra intervista a 94 anni ha ancora nitido il ricordo di Pepi: «Da ragazzi ci si trovava lì, mi sedevo sulla seggiolina e da lì vedevo tutto, il fuoco con cui si cucinava, bellissimo. Mangiavo crauti, le salsicce, le luganighe de Cragno, prosciutto, sarde». Ed è con questa cucina tipica triestina che Pepi ha conquistato il cuore di tutti.

Il bollito più famoso d’Italia

Pepi è famoso per il suo bollito che dalle parti di Trieste chiamano anche caldaia, per via del grande pentolone in cui viene cotto. Sia tratta di lesso di maiale con varie parti dell’animale, nobili e meno nobili: cotechino, carré, zampone, costina affumicata, salsiccia di Vienna, salsiccia di cranio, pancetta, porcina, lingua salmistrata di manzo, testina, piede e orecchio. Insomma, il bollito di Pepi non fa per niente rimpiangere il detto “Del maiale non si butta via nulla”.


Assaggiare questo piatto è tradizione ma anche tappa obbligata per i turisti che in questa maniera possono assaggiare un vero piatto triestino che ha retto alle fusioni culinarie della comunità del posto con quelle austro-ungariche del Settecento. Il bollito si serve al piatto con la tipica cucchiaiata di senape e grattugiata di kren, radici di rafano, a bordo piatto; come contorno non mancano i crauti.

Pepi, un po’ di storia

Dopo l’inaugurazione di Pepi lo sloveno, il locale nel corso degli anni subisce vari cambi generazionali. Le date segnanti sono il momento immediatamente dopo la Prima guerra mondiale quando Paolo Tomazic, che aveva gestito il locale dal 1908 al 1914, decide di collaborare con il cugino Pepi e il cognato Giusto Colja; nel 1944 Pepi muore in quello che fu il tragico bombardamento di Trieste del 10 giugno lasciando a Emma, sorella di Giusto e sua moglie, le redini del locale, che nel 1952 subisce un nuovo cambiamento estetico e assume le dimensioni attuali.

Pepi era un locale alla mano frequentato dai triestini di ogni fascia sociale come abitanti del quartiere, lavoratori, ma anche gente di fuori e gente di prestigio: da Pepi hanno messo piede anche personalità come il conte di Spoleto o il barone Bonomo, ma anche personalità più recenti come Bruno Vespa, l’attore Massimo Ghini. La definizione storica di Pepi è quella di buffet, inteso non come un luogo dove mangiare a buffet, ma un posto senza troppi fronzoli e alla mano dove consumare un pasto veloce o fare una pausa golosa soprattutto salata.

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