Ecco perché il boicottaggio a Erdogan colpisce anche caffè e ristoranti occidentali

30 Mar 2025, 14:33 | a cura di
La protesta contro l’arresto del sindaco di Istanbul: migliaia di oppositori di Erdogan usano le armi del boicottaggio contro catene di caffè e ristoranti

Il sindaco di İstanbul, come pure alcuni sindaci dei dipartimenti della stessa città e il suo staff che si occupa soprattutto di cultura e arte, sono in carcere per motivi poco chiari. I cittadini che hanno eletto Ekrem İmamoğlu con una grande maggioranza di voti si sentono derubati del loro voto, del sacrosanto diritto di scegliere chi deve governare. Le strade, in questi giorni infuocati, sono fiumi di gente, soprattutto studenti universitari: le carceri sono piene di giovani, intellettuali e non, accusati di nient’altro che di aver esercitato il diritto costituzionale di protestare pacificamente.

Boicottaggio: la spesa diventa un’arma

Così, si son detti, quando il tuo voto viene annullato e viene destituito il sindaco che hai eletto – l’oppositore di Erdogan più forte nella prossima corsa alle Presidenziali – ti rimane solo il tuo potere d’acquisto come arma in un mondo fondato sul consumismo. Ecco perché il leader dell’opposizione ha lanciato una campagna di boicottaggio verso diverse aziende che sono palesemente privilegiate dalla nuova onda economica Erdoganiana. Un messaggio cui la popolazione ha cominciato a rispondere aderendo in massa: è nato un sito in cui segnalare le aziende legate al mondo del Presidente in carica e definite come “yandaş”, di parte. Come Espresso Lab.

Una delle sedi "estere" di Espresso Lab, in Kuwait

"Non andate a prendere il caffè da Espresso Lab"

Le sale della catena Espresso Lab – che comincia a essere presente anche fuori dalla Turchia – sono rimaste semi-vuote in seguito alla campagna di boicottaggio. I responsabili del marchio alzano le mani: «Non capiamo perché ce l’hanno con noi», si chiedono. Così come anche altri commentatori “laici” sui social affermano che boicottare questa insegna – un marchio nazionale forte anche all’estero – significa solo portare alla chiusura di diverse sedi e alla perdita del posto per molti dipendenti. La gente, però, non la pensa così – specialmente nei quartieri dove l’opposizione a Erdogan è più forte e dove al tempo stesso è maggiore la fruizione dei locali dedicati al caffè – ed Espresso Lab si ritrova sempre più vuoto. Questo nonostante il Governo abbia già bloccato l’accesso al sito di boicottaggio. Ma perché proprio questa insegna è finita nel mirino della protesta?

Erdogan prende il caffè da Espresso Lab dopo l'inaugurazione della moschea di Santa Sofia

Tutto inizia 10 anni fa: il perché del boicottaggio

La storia comincia nel 2014. L’università di Bilgi – all’epoca una fortezza dell’avanguardia intellettuale e un progetto di gentrificazione vera e propria con il suo campus situato in un ex centrale elettrica – era un punto di incontro per tutta la città con i suoi due ristoranti aperti al pubblico. L’università faceva parte del lievito culturale della città con i suoi diversi festival, alcuni sponsorizzati da produttori di bevande alcoliche:  durante uno di questi festival Erdoğan si rende conto che dentro il campus veniva venduto alcol (era la normalità, una volta) e chiude i due ristoranti privati dentro il Campus di Bilgi. Così, Espresso Lab apre la sua prima sede sulle ceneri di Otto, uno dei due messi al bando. Una mossa che – magari involontariamente – ha contribuito alla politica di Erdogan che puntava a “mettere una croce” sull’epoca “libera”.

La cosa passa abbastanza sotto silenzio, ma in dieci anni Espresso Lab è diventata una potenza. Tanto che Erdogan, nel giorno della contestatissima riapertura di Santa Sofia trasformata da museo a moschea, si fa fotografare mentre prende il caffe da Espresso Lab, subito dopo la cerimonia. A pochi giorni di distanza anche il figlio del Presidente, Bilal Erdoğan, si fa fotografare con caffè di Espresso Lab. La catena intanto si consolida sul mercato, grazie anche al boicottaggio di Starbucks in nome della questione Palestinese.

Le file "filo governative" che manifestano contro il boicottaggio di Espresso Lab: tutti maschi

Boicottaggio virale, Espresso Lab campo di battaglia

Mentre gli abituée di Espresso Lab disertano le sale dell’insegna, viene organizzata la risposta filo-governativa al boicottaggio: file di decine e decine di clienti – tutti rigorosamente maschi – si espongono davanti alle sedi di Espresso Lab con le buste (vuote!) delle librerie D&R – anche questa insegna boicottata perché filo-governativa. Ma i bicchieri vuoti di Espresso Lab diventano subito materiale quotidiano per la satira via social. Così i “filo-governativi” diventano più minacciosi ed escono in internet video di uomini – tutti e solo rigorosamente maschi – impegnati nella preghiera musulmana davanti alle vetrine della catena di caffè: manifestazioni legate sempre alla politica di Erdogan che è sempre più filo-islamista e che ha già messo (in pratica) al bando gli alcolici, a partire dal vino – tradizionale in Turchia – e al popolarissimo raki. Insomma, la catena Espresso Lab diventa un simbolo del potere di Erdogan e si trasforma da caffè-bar in un vero e proprio campo di battaglia. Mentre, dal 19 marzo, il conto delle vittime continua a crescere con quasi 2.000 persone arrestate perché manifestavano a favore del sindaco di Istanbul e tra questi ben 226 sono gli studenti. Le proteste continuano e foto e video si moltiplicano sui social: il costume giallo di Pikachu è diventato il simbolo della resistenza in strada e Kufi, la canzone del gruppo turco Duman, ne è la colonna sonora.

Imprese, catene e locali boicottati: c'è pure Zuma

Così, la parola d’ordine è boicottare Plus Kitchen, catena di bistro di cui Bilal Erdoğan è nella proprietà. Tra gli obiettivi del boicottaggio degli oppositori, ci sono i ristoranti del Gruppo Doğuş: una realtà che nasce come canale televisivo di notizie ma che poi evolve in un impero anche sul fronte del food and beverage. Il Gruppo Doğuş era già diventato un bersaglio dell’opposizione democratica quando – nel 2013 – i cittadini di Istanbul si ribellarono all’abbattimento degli storici alberi nel Parco di Gezi per far posto a un albergone. Oggi finiscono nel mirino o suoi numerosi ristoranti e bar tra cui Zuma (che ha anche una sede a Roma) e Nusret (ne ha aperto uno da poco a Milano), catena diventata famosa per il modo di buttare il sale del suo chef Nusret. Nella lista nera delle opposizioni c’è anche Ülker, che produce cioccolati e biscotti e che ha la proprietà dei supermercati Şok, e – dal 2007 – anche del marchio della cioccolateria belga Godiva.

Le proteste di piazza e le manifestazioni virali sui social

Iniziativa del “menu sospeso” per studenti universitari

Una delle iniziative del comune di İstanbul che ha mandato su tutte le furie Erdoğan, è stata la “Locanda della città”: 17 ristoranti dove si può mangiare a circa un euro. Un progetto che mirava ad aiutare studenti e famiglie in difficoltà con un prezzo simbolico: era un modo per non togliere dignità ai meno abbienti, “permettendo” loro di pagare almeno un euro. Mentre “la scuola Erdoğan” dà gratis il cibo castrando i cittadini più poveri. Con İmamoğlu in carcere, Locanda della città ha chiuso i battenti. E il gourmet più famoso del paese, Vedat Milor, è sotto inchiesta per aver visitato e valutato il menu proposta dalle Locande.

È così, in risposta a queste chiusure, che la popolazione di Istanbul ha preso ispirazione dall’italianissimo “caffè sospeso” e ha lanciato l’idea del “cibo sospeso” per gli universitari: iniziativa che ha avuto subito molto successo cui si può aderire – sia in forma individuale che come locali – attraverso il portale Odi.
Alle manifestazioni aderiscono anche gli universitari turchi in Italia: domani – sabato – sono in programma raduni studenteschi in solidarietà con i colleghi turchi con lo slogan “diritto, legge, giustizia”. Le proteste sono cominciate a Milano, ma è inm programma un raduno anche a Roma.

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