Birre d'abbazia in Italia
Lo dicono i dati relativi al consumo di birra in Italia nel 2018: le birre d’abbazia rappresentano sul mercato nazionale il segmento che cresce con più costanza. L’anno scorso, infatti, è aumentato del 15% il consumo delle birre prodotte originariamente in abbazia (e oggi realizzate da terzi dietro concessione di licenze rilasciate dei complessi monastici, in prevalenza belgi e olandesi) nel nostro Paese, anche grazie a una rete capillare di distribuzione che sfrutta il circuito della Gdo. E allora non saranno pochi gli estimatori del genere che salutano con gioia la ripresa della produzione di birra nell’abbazia di Grimbergen, non distante da Bruxelles, con un passato decisamente meno fortunato rispetto a quello di altre comunità monastiche del territorio belga.
Grimbergen. La birra della fenice
Fondata nel 1128, la struttura è stata a più riprese devastata da incendi, che hanno compromesso la sopravvivenza della comunità di padri norbertini (regola benedettina) senza però fiaccarne la tenacia. Il monastero ha infatti preservato l’antica ricetta brassicola perfezionata nel tempo (tramandata oralmente dal XII secolo, di generazione in generazione), nonostante l’attività di produzione tra le mura dell’abbazia fosse stata definitivamente interrotta al tempo delle scorribande delle truppe francesi durante la Rivoluzione, quando nel 1798 i soldati misero a ferro e fuoco l’edificio, costringendo i monaci alla fuga. Da tempo, la comunità guidata dall’abate Karel Stautemas (12 monaci in tutto) è tornata ad abitare il complesso, ma la produzione diretta di birra da parte dei padri non era più ripresa, nonostante dal 2008 il marchio Grimbergen – con tanto di fenice, che simboleggia il motto, non casuale, della comunità: Brucia ma non si consuma – sia stato acquisito da Carlsberg (e questo è il motivo per cui l’etichetta Grimbergen non sarà nuova a chi curiosa sugli scaffali del supermercato, con una gamma che spazia dalle blanche alle blonde, alle double ambrée).
Rinasce il birrificio dell’abbazia
Tra poco più di un anno, però, la birra di Grimbergen prodotta dai monaci all’interno dell’abbazia comincerà nuovamente a essere commercializzata, almeno nella sua edizione limitata. Anche se il coordinamento delle operazioni resterà in mano a Carlsberg, che al momento gestisce la comunicazione della “rinascita” del birrificio della fenice, da ufficializzare a partire da settembre 2020, quando le nuove birre entreranno in commercio (ma solo in Belgio): “Si produrrà birra seguendo la tradizione dei monaci e sperimentando, in produzioni molto limitate, circa 10mila ettolitri l'anno” spiega Serena Savoca, che è marketing manager di Carlsberg Italia.
La ricetta medievale
Eppure i monaci ci metteranno del proprio, attivandosi personalmente per recepire tutte le moderne regole di produzione della birra. Proprio a loro si deve la riscoperta delle ricette portate in dote dal monastero, rintracciate su manoscritti custoditi nella biblioteca dell’abbazia, che conta 35mila volumi sempre scampati alle fiamme: certosino il lavoro di interpretazione, che ha visto i confratelli e i mastri birrai cimentarsi con testi in olandese antico e latino arcaico. La ricerca ha però permesso di risalire al tipo di luppolo utilizzato dai monaci in passato, e al materiale delle botti di fermentazione e affinamento. Ma il desiderio è quello di utilizzare queste conoscenze pregresse come base di partenza per rinnovare la tradizione, introducendo ingredienti e tecnica nuove grazie al supporto del know how di Carlsberg. Un esempio? Il doppio invecchiamento in botti con aromi e spezie diverse, dalla vaniglia al bourbon. Con limiti ben precisi, imposti dalla regola trappista: nessun ricorso ad additivi artificiali, uso obbligatorio di botti in legno, percentuale elevata di prodotti locali.