L'importanza dell'esperienza
Era il 1998. A Modena Sabrina Lazzereschi e Marta Pulini iniziavano il loro percorso nel mondo del catering. E bisogna immaginare la prospettiva di una città della provincia italiana di 20 anni fa per capire quanto l'idea delle due socie, così distante da quello che si vedeva all'epoca sui tavoli dei buffet concorrenti, fu coraggiosa, e lungimirante. “Abbiamo deciso di vestire Bibendum in modo originale sin dall'inizio” racconta oggi Sabrina “Avevamo negli occhi una concezione di catering poco diffuso in Italia, suggestioni captate a New York che da subito ci hanno spinto a destrutturare i canoni tipici, con l'idea di fornire un servizio nuovo a una clientela in cerca di originalità e professionalità; e prima ancora, di divertirci dando sfogo alla creatività”.
Sabrina Lazzereschi
Marta chef d'esperienza, Sabrina impegnata a costruire la scenografia, curando tutto ciò che ruota intorno al cibo, trovando soluzioni inedite per valorizzarlo, inscenando set in grado di appagare la vista, oltre al gusto. In nuce, insomma, quel concetto di food experience che oggi ha decisamente preso il sopravvento, a scapito spesso della sostanza. In casa Bibendum, però, le due anime del progetto hanno sempre lavorato all'unisono.
L'evoluzione di Bibendum
E così, 20 anni dopo, in occasione del cambio di sede, il gruppo si riscopre cresciuto – e non solo numericamente – pronto a esplorare nuove idee, desideroso di aprirsi alla città dove tutto è cominciato, “che resta il nostro centro, una base operativa che non abbiamo mai pensato di abbandonare, pur avendo molti clienti a Milano, dove le cose continuano a girare più veloci. Ma la nostra fonte di ispirazione è sempre qui, e Modena si è rivelata anche un'ottima base logistica per raggiungere comodamente tutta l'Italia. Ci piace considerarci un catering nomade”. I clienti, di certo, sono stati motivo di evoluzione costante: “Abbiamo avuto il merito di intuire in anticipo l'evoluzione del mercato, ci siamo avvicinate da subito al mondo della moda, del lusso, del design, affascinati dal binomio buon gusto ed estetica”. Il portfolio è cresciuto in fretta, Bibendum si è imposta come punto di riferimento per gli eventi di grandi realtà internazionali di tutti i settori: la moda – da Prada a Max Mara, Tommy Hilfiger e Jimmy Choo – l'automotive – Audi e Maserati, Porche, Ferrari, BMW – il design – Hermes Home, Natuzzi, Wallpaper – e molte altre realtà del mondo della finanza, della tecnologia, del lusso. Sono arrivate le collaborazioni importanti, da Tom Dixon ad Arabeschi di Latte, e la squadra si è progressivamente ampliata, con l'intenzione di coinvolgere un team giovane e preparato: chef, sicuramente, ma ancor prima creativi, food e flower designer, addetti alla logistica e al customer care, un food manager, “indispensabile per la gestione dei costi, perché più è alta l'aspettativa, più risorse si hanno a disposizione e più è facile esagerare. Occorre anche rigore”. Quindi da un lato l'azienda ha scommesso sull'energia di nuove leve – per esempio collaborando con l'Università di Faenza, che oggi vanta un valido indirizzo in Food Design – dall'altro Sabrina e Marta hanno deciso di assecondare la crescita coinvolgendo nuovi partner. Così si è unita al gruppo Gaia Lapini, oggi general manager di Bibendum, ed è arrivato il momento di traslocare in un nuovo spazio, più grande e funzionale: “Finora ci siamo sempre arrangiate nel nostro spazio in centro città” racconta Marta “il nuovo quartier generale di via Ginzburg finalmente asseconda la nostra evoluzione”. 1250 metri quadri in tutto, per seguire l'intero ciclo prima di procedere con l'allestimento presso il cliente, “quando tutto dev'essere già pianificato al dettaglio, ogni portata ha i suoi accessori, il suo set, la sua storia. E lo sforzo logistico è impressionante”.
Marta Pulini
La cucina di Marta
Al centro c'è sempre la cucina, l'executive è Marta, con lei altri 6 chef e giovani in arrivo da Pollenzo e Alma. Il passato di Marta è lungo e affascinante: “Sono cresciuta da autodidatta, mi piaceva stare in cucina, ho conquistato mio marito con una pasta e fagioli e una parmigiana di melanzane”. Tutt'altro che appagata dalla dimensione amatoriale, però, all'epoca scelse di frequentare il Cordon Bleu a Milano, poi aprì il primo ristorante nella sua città: “A Modena la Brasserie era qualcosa di fin troppo avveniristica per quei tempi. Ma si stava bene: si mangiava fino a tardi, io mi concentravo sull'ingrediente, una costante di tutto il mio percorso. Avevo già una selezione di extravergine, e prodotti mai arrivati prima in città. Era il 1983”. Poi gli anni passano, il lavoro la porta a New York: nell'89 cura l'apertura di Bice, “facevamo 600 coperti al giorno, io arrivavo dalla mia piccola dimensione, è stato un salto importante, mi è piaciuto moltissimo”. E la città l'ha catturata, “ci sono rimasta 16 anni, ho anche preso la cittadinanza lì, sempre in cerca di nuovi stimoli, alla scoperta di prodotti e cucine nuove. Dopo Bice ho cominciato con Pino Luongo, prima Le Madri, un posto bellissimo, poi Tosca Square, Coco Pazzo, Centolire nel 2001, con l'idea di interpretare in chiave moderna il cibo degli emigranti. Mi sono sempre divertita molto, lì ho cominciato a pensare fuori dagli schemi, restando sempre attaccata alla mia idea di cucina, semplice e diretta”.
Cucinare per un catering
Così, quando si è trattato di rientrare in Italia, Bibendum è arrivato con naturalezza: “Doveva essere una piccola dimensione, cibo a domicilio, cene per pochi commensali. E invece ci siamo fatte prendere la mano. Chiaramente c'è stato molto studio dietro, non bastano le idee: non è detto che uno chef sappia fare catering, l'approccio è diverso. Per esempio complicare troppo le preparazioni non è mai la scelta giusta, lo studio preliminare del menu è fondamentale”. Specie se lavori da Bibendum: “Al cliente dobbiamo presentare il cibo più adatto a valorizzare un setup studiato, e viceversa. Proprio a partire dalle sue richieste, ma cercando di essere sempre originali”. Per questo il nuovo quartier generale di Bibendum ha spazio per un grande magazzino: “E non pensate di trovare solo piatti e bicchieri, parlerei piuttosto di oggetti di scena, allestimenti che trattiamo come se fossero scenografie teatrali, invenzioni di food design, come piatti per tenere in caldo il cibo che però siano esteticamente gradevoli, punti luce necessari per creare il set”, racconta orgogliosa Sabrina. E in cucina, qual è stata l'evoluzione nel corso degli anni? “Siamo rimaste fedeli all'idea di comfort food, sempre aggiornate sulle tecniche moderne, ma dando precedenza all'anima. Marta è una persona immediata, ha avuto il merito di restare sempre coerente e connessa con le sue idee. Oggi, dopo anni di contaminazioni e sperimentazioni ardite che ci hanno insegnato anche a padroneggiare lo strumento del service coinvolgendo grandi chef (come a Casa Italia, in occasione delle Olimpiadi di Londra, ndr), il ciclo si sta chiudendo, i clienti tornano a chiederci semplicità e schiettezza. Ne stiamo beneficiando”.
Il futuro qual è?
Eppure le richieste particolari non sono mai mancate, “come quando per il debutto di Daredevil su Netflix, la casa di produzione ci ha chiesto un catering a tema nero e rosso, con molte cotture sul fuoco. L'importante è lavorare senza mai snaturare il cibo: spesso ci capita di doverci ispirare a colori e temi delle nuove collezioni di moda, il gusto non deve mai essere penalizzato”, spiega Marta. I lavori più divertenti? “Ricordo un party per Hermes, in Galleria Vittorio Emanuele, con una ricostruzione di inizio Novecento e tante isole tematiche con trionfi di cibo. Un'idea vincente nella sua semplicità, e molto suggestiva per il contesto. Poi mi piace molto la cucina storica, la ricerca sulla ricette degli antichi Romani per il Museo Archeologico di Modena, la cena dei nobili e dei contadini toscani a New York. Ma anche gli allestimenti futuristici per un buffet del futuro dove ci sbizzarriamo con tecniche di cottura differenti”. Dopo 20 anni nel settore è anche facile prevedere dove porterà il futuro: “Oggi è interessante lavorare sui temporary per modulare un diverso approccio all'evento; non più 600 invitati in una sola volta, ma uno spazio che viva nel tempo, una vetrina in cui il cliente può scegliere come regolare gli accessi. Penso per esempio al Tommy Garden di Tommy Hilfiger che abbiamo allestito a Milano per Expo. Tom Dixon lavora molto così, con i suoi temporary bar, sempre molto riusciti”. Ecco perché oltre allo spazio per gli uffici creativi, il nuovo Bibendum potrà disporre anche di uno spazio eventi modulare, con cucina a vista, di 250 metri quadri, il Convivio, per ospitare eventi culturali gastronomici, feste e cene private: “Ci piacerebbe diventare un laboratorio aperto allo scambio di culture, con la collaborazioni di cuochi internazionali. E presentare tutto questo alla città. A Natale, per esempio, allestiremo un bosco norvegese dedicato alla Nordic Cuisine, per vivere un'esperienza gastronomica complessiva”. Ma il calendario degli eventi sarà costantemente work in progress. E ci sarà anche uno spazio Ristoro, per 15-20 persone al massimo, attiguo alla cucina: una sorta di ristorante privato per eventi più intimi. Per ricordarsi sempre che Modena resta il centro, anche se l'orizzonte di Bibendum è diventato il mondo.
Bibendum Group – Modena – via Ginzburg, 39 – www.bibendumgroup.it
a cura di Livia Montagnoli