Di rivoluzionari, nel mondo del cibo, ce ne sono stati tanti. Oggi la cifra dell’estro e del sovvertimento delle regole che riscrivono la grammatica dell’enogastronomia si misura con le creazioni degli chef, eppure la vera rivoluzione non sta solo nel piatto finito o nel fine dining, che sta subendo anche una forte crisi, ma nella scelta degli ingredienti che faranno di un piatto un’opera d’arte. Quando l’artigianato si pone al servizio dell’arte, è lì che nasce la vera rivoluzione.
Era il 1918 quando Benedetto Cavalieri inaugurava il suo pastificio a Maglie, in Salento (Puglia) rompendo gli schemi e ponendo le basi per quella che da oltre 100 anni continua ad essere la rivoluzione nel mondo della pasta. «Tutto è iniziato con il mio bisnonno che nel 1918 viveva a Fasano (in Puglia, ndr.) in una famiglia votata alla produzione di grano. Decise, poi, di spostarsi a Maglie che era collegata strategicamente a due porti di Taranto e Gallipoli, centri logistici del Salento, e fu così che trasformò il grano di famiglia in pasta», racconta Andrea Cavalieri, rappresentante della quarta generazione di pastai. La rivoluzione non si fa senza convinzione, testardaggine e coraggio, e quella del pastificio Cavalieri si può riassumere in due parole: ruote pazze.
Ruote pazze, la storia
Formato di pasta tornato oggi alle luci della ribalta grazie agli chef che lo stanno rivalutando, oltre ad essere prodotte a livello industriale da molti pastifici italiani, le ruote (ma quelle pazze) sono diventate anche il simbolo del pastificio Cavalieri.
«Le nostre ruote sono diverse dalle classiche che si trovano in commercio perché hanno degli spessori difformi», racconta Andrea Cavalieri; «questa caratteristica comporta tensioni in asciugatura, per esempio, e quando hai degli spessori uniformi, in asciugatura aiuta». Eppure, nonostante le avversità, Benedetto Cavalieri aveva deciso di «creare qualcosa di unico con l’obiettivo di avere piacevolezza in bocca con parti ben cotte e parti meno cotte che restano più dure in cottura», spiega Andrea.
Quattro grammi di peso in un formato cilindrico alto circa 22 millimetri, sei raggi, un mozzo e una corona. Questo è “l’orgoglio imperfetto”, come lo chiama la famiglia Cavalieri, quella ruota paccia (in dialetto salentino) che aveva stregato tutti sin dall’inizio dal fondatore Benedetto, fino al capo pastaio. A metterci un po’ a convincersi fu il secondo Benedetto, nipote del capostipite Benedetto Cavalieri che si racconta: «Prima del 1918, anno della fondazione del pastificio, mio nonno fece venire a Maglie un certo Pasqualino Imparato da Torre Annunziata, un capo pastaio fortissimo che concepì questa ruota con tre diversi spessori che era unica, ma siccome dava problemi in fase di essiccamento io mi permisi di fare le mie obiezioni sottolineando che forse quella ruota fosse sbagliata». Un dubbio che subito mise in allarme Imparato: «tant’è che Pasqualino si mise le mani in testa e fece un gesto come per dire: “In che mani siamo capitati, questo non ha capito nulla”». Ma poi Benedetto (il secondo) si fece convincere dall’intuizione di Pasqualino e imparò la lezione: oggi è a capo di un’azienda famosa persino in Giappone.
Le ruote pazze oggi
Oggi le ruote pazze sono distribuite in tutto il mondo, oltre all’Italia i paesi in cui sono più richieste sono la Francia e gli Stati Uniti. «Non sono solo un formato di pasta da trattorie, anche i grandi ristoranti hanno scoperto la ruota pazza, da La Peca in Italia, fino al Jellyfish a Montreal», dice Andrea Cavalieri. E tra i cinquanta formati prodotti dal pastificio, le ruote pazze compaiono tra i primi otto più richiesti, in competizione, fra i vari, anche con lo spaghettone. La varietà dei grani utilizzati è segreta, Andrea Cavalieri non vuole rivelarla ma la provenienza è certa: «grani delle colline di Puglia e Basilicata» da cui si produce in formato storico che conserva ancora la forma e lo spessore originari. «La trafila la fece progettare il mio bisnonno all’epoca e ancora oggi la conserviamo l’originale ritrovato una decina di anni fa nel nostro magazzino», racconta Andrea. A dimostrazione che una storia familiare lunga cento anni può essere racchiusa anche nelle piccole cose che pesano solo quattro grammi e hanno sei raggi.