Basta confusione, in cucina servono norme precise (un consulente HACCP spiega perché)

26 Set 2024, 17:00 | a cura di
Dopo la provocazione lanciata dallo chef Giuseppe Iannotti, abbiamo cercato di capire cosa serve per avere una normativa uniforme nel campo della ristorazione

È una richiesta più che legittima quella fatta, anche dalle pagine del Gambero Rosso, da Giuseppe Iannotti, chef e patron di Kresios a Telese (Benevento), di poter avere un normativa coerente e uniforme per quanto riguarda le regole da seguire nel campo della ristorazione. A dare ragione a uno dei cuochi più sperimentatori della scena italiana, è Fabrizio Russo, tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, Food & Beverage manager e, soprattutto, consulente HACCP, il sistema di autocontrollo alimentare in vigore in Europa dal 2004.

Se lo chef Iannotti chiede regole uniformi

«Il problema avanzato è reale, soprattutto per quanto riguarda le modalità che si utilizzano per trattare gli alimenti. Alcune procedure più di moda oggi, come la frollatura e la fermentazione, per esempio, sono ancora poco conosciute, pertanto noi consulenti proviamo a confrontarci con le Asl delle varie regioni, senza tuttavia ottenere risposte chiare e concrete, perché non esiste una regolamentazione coerente sui temi sopracitati. Questo perché, per l’appunto, anche a livello europeo, non esistono norme chiare su tanti trattamenti che vengono applicati da diversi cuochi italiani».

Frollatura, fermentazioni... la paura di sbagliare

Iannotti nella provocazione partita dai suoi social, pone alcuni semplici quesiti: «Secondo quali norme si può frollare il pesce? Secondo quale norma si può frollare la carne? Se compro una cella di frollatura, sono in regola? Secondo quale norme posso usare il foraging? Secondo quale norma si può usare la cacciagione? Secondo quale norma posso usare le fermentazioni: lattiche, kombucha, kefir?».

Domande apparentemente semplici alle quali, però, chi si occupa di controllare metodi e procedure di corretta igiene non può rispondere in maniera univoca, impedendo così ai ristoratori di lavorare tranquilli senza temere l’arrivo dell’Asl e dei Nas, non perché non in regola, ma perché non esiste un quadro di riferimento sul risultato di un processo. Tuttavia, predisporre un’opportuna documentazione HACCP, può servire a creare una letteratura aziendale volta a validare la consistenza di quanto avviene in cucina.

A cosa servono i protocolli HACCP

Spesso infatti non ci pensiamo, ma cucinare in un ristorante non è come farlo a casa: gli chef e i ristoratori hanno delle regole ben precise a cui sottostare ed esse sono racchiuse nel protocollo HACCP, un insieme di procedure mirate a garantire la salubrità degli alimenti, basate su monitoraggi interni e continue analisi di laboratorio necessarie per identificare e prevenire i rischi che potrebbero compromettere la sicurezza degli alimenti e quindi la salute dei clienti.

I principi base sono uguali per tutti, perché il cosiddetto Pacchetto Igiene è di natura europea. Le varie nazioni, però, hanno potuto creare autonomamente alcune norme in base alle diverse esigenze. E l’Italia è il Paese che ha quelle più rigide. L’ASL del Belpaese ha delle regole molto più stringenti rispetto agli altri e questo, se dal lato della clientela permette di andare molto serenamente al ristorante, dal lato dei ristoratori impone invece costi molto alti per l’applicazione di un corretto protocollo senza, tuttavia, la totale certezza di non essere sanzionati.

È necessaria una collaborazione tra Asl e consulenti HACCP

La soluzione migliore potrebbe essere quella di pianificare un lavoro di gruppo tra consulenti HACCP e Asl, secondo quanto evidenziato da Russo: «A Catania ci stiamo provando. Abbiamo incontrato l’ASL locale nel tentativo di creare una letteratura scientifica, con il supporto dell’IZS (istituto zooprofilattico sperimentale), al fine di validare le procedure più nuove, come la frollatura del pesce, che al momento non sono assolutamente normate in quanto il Regolamento del Pacchetto Igiene attuale risale addirittura al 2004».

«Se non riusciremo in questo intento» continua Russo «è chiaro che noi consulenti che supportiamo i ristoratori continueremo a procedurizzare il tutto, eseguendo analisi sui prodotti senza tuttavia avere un chiaro riferimento normativo in merito alla frequenza e alla tipologia di parametri da ricercare sui prodotti campionati, continuando quindi a vivere in una “zona grigia”, che ricade nella discrezionalità dell’autorità competente che effettuerà l’ispezione al ristorante».

Aggiornare i regolamenti è essenziale

Servirebbe, in definitiva, aggiornare il più presto possibile i regolamenti: «Sarebbe molto utile che le Asl a livello europeo si riunissero e capissero che c’è bisogno di creare un vademecum uniforme anche perché, non essendo precisa la normativa, tanta gente improvvisata si lancia nelle nuove procedure mettendosi a marinare, a fermentare, a frollare, senza nessuna conoscenza tecnica sui processi che attua, mettendo a repentaglio la salute dei consumatori».

Questo, infatti, è molto pericoloso, perché la mancata conoscenza di come vanno gestite queste procedure può essere addirittura mortale per il cliente. «È vero, d’altronde, che a causa della semplice regolamentazione nazionale, chiunque oggi può aprire un ristorante. Ricapitolando, non essendoci regole certe, l’unico modo per ovviare a quanto discusso è adottare un idoneo protocollo di HACCP attraverso il quale autocreiamo una risposta ai problemi che ci poniamo con i ristoratori, sperando di trovare sul nostro cammino Asl abbastanza illuminate».

Una serie di norme da affiancare a quella ufficiale

Quella dello chef Iannotti è stata chiaramente una provocazione, seppur su basi molto solide, che ancora non ha una risposta, ma anche Russo ne ha una da lanciare: «Perché non creiamo, mediante un consorzio di ristoratori, una regolamentazione accessoria a quella ufficiale? Questaservirebbe a dimostrare che, con la giusta conoscenza tecnica e con il supporto di opportune procedure, anche un pesce frollato o una verdura fermentata possono essere alimenti salubri, privi di rischi per il consumatore».

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