È finito il tempo in cui quello del barista era un mestiere di ripiego, una figura presa poco sul serio, un lavoretto estivo per studenti con pochi soldi in tasca. È ora di cambiare rotta: anzi, siamo in ritardo. Questo retaggio culturale tutto italiano è stato un peso ingombrante, ma nel frattempo il mondo del caffè si è evoluto e il concetto di bar, oggi, è molto più ampio. Per costruire una caffetteria di qualità, però, occorrono baristi preparati (e ben pagati).
Il bar perfetto è quello meglio organizzato
Lo sa bene Gianni Tratzi, consulente che con la sua società Mezzatazza Consulting sta cercando di cambiare il panorama dei bar milanesi, un espresso alla volta. Le ossa se l’è fatte nei bar «da battaglia», degli specialty si è innamorato al Taglio durante l'Expo e mentre era in forze a La Marzocco (azienda produttrice di macchine espresso): oggi assiste circa 40 realtà, tra cui locali del calibro di Gelsomina (i cui soci a breve apriranno Sisu, bakery e caffetteria in zona Darsena), il panificio Le Polveri (della compagna Aurora Zancanaro), Long Song Books, Berberè, Enoteca Naturale, Pavé e molti altri.
«Alle volte basta un po’ di riorganizzazione, si inseriscono dei macinatori performanti e il gioco è fatto». Sembra facile, ma non è scontato, «azioni apparentemente banali come il rassettamento dei tavoli accanto quando si portano le bevande al cliente possono essere fondamentali». Un esempio? «Nei minimi ritagli di tempo si devono lavare le tazze, non bisogna mai perdere d’occhio l’impostazione del lavaggio». Insieme alla gestione della sala e lo snellimento con il servizio del caffè filtro, «quando si inizia a fare sul serio, è bene preparare delle scatoline con 30 o 60 grammi di caffè da macinare per il filtro già pronto, altrimenti si spreca un minuto solo per pesare i chicchi sulla bilancia».
Il modello della Milano del caffè
Al caffè filtro Tratzi è molto legato, «ho cercato di inserirlo in tutte le realtà con cui ho collaborato». Ma Milano come sta lavorando da questo punto di vista? «C’è uno zoccolo duro di locali che lavorano tanto e bene, ma restano delle eccezioni: caffè buoni sono arrivati anche in molte pasticcerie, però fanno volumi minimi». Insomma, il caffè si sta diffondendo di più nei locali focalizzati su altro, che sia il cibo o i dolci, piuttosto che nei bar che dovrebbero incentrare proprio sulla tazzina il loro lavoro. «A mio avviso Roma sta crescendo di più, i volumi milanesi sono diversi: un locale alto-vendente qui è quello che fa tra i 2 e i 3 chili di caffè al giorno».
Così la ristorazione salverà il caffè
Quelle che segue Gianni non diventano sempre delle caffetterie iper-specializzate, «l’obiettivo è far compiere a tutti un passo in più», a cominciare dai bar di quartiere. Fondamentale, poi, il contributo del mondo del vino e della ristorazione, «ho tenuto un laboratorio al Venissa di Venezia, con Chiara Pavan e Francesco Brutto ho capito quanto i cuochi possano essere salvifici per il settore del caffè». Chi lavora con materie prime di un certo livello è già abituato a un approccio e un linguaggio diversi «ha gli strumenti per comprendere che il caffè è un prodotto agricolo con una sua filiera». Eppure, non sono molti ancora i ristoratori che decidono di servire un espresso degno dei loro menu «confido che le cose cambieranno».
Il barista bradipo
Queste e altre tematiche sono al centro della pagina Instagram di Mezzatazza. Un esempio? Il barista bradipo: «Un caffè filtro richiede delle tempistiche maggiori, ma non bisogna far attendere troppo il cliente. Si deve sfruttare la tecnologia e impostare il locale in modo tale da poter fare più scontrini possibili in un’ora». Che i bar specialty siano più inclini a una consumazione lenta è indubbio, e questo spesso finisce per incidere anche sull’orario di apertura. «I clienti di passaggio al mattino presto non hanno tempo da dedicare all’esperienza, molti allora preferiscono puntare su tempi di sosta maggiori, in modo da intercettare chi è disposto a spendere di più, magari ordinando una colazione al piatto, disincentivando il consumo al bancone in favore del servizio al tavolo».
Il giusto stipendio per un barista
Tutto questo ha a che fare anche con una forte crisi del personale: «Trovare baristi non è semplice. Se vuoi dare 1500 euro a qualcuno per fare 40 ore nette, ne devi investire 3mila. Ritrovandoti con pochi baristi, se apri alle 6 del mattino devi chiudere il pomeriggio, altrimenti apri alle 9 e continui dopo». Si parla spesso di prezzo giusto della tazzina (per Gianni, «almeno €1.50 per un espresso singolo») ma raramente si affronta il tema dello stipendio del barista. Se c’è una percezione sbagliata della professione in Italia, però, la colpa è anche di contratti svantaggiosi che per troppo tempo sono stati ripetuti, tra lavori in nero e condizioni di precarietà.
La paga adeguata? «A seconda dei contesti, un barista formato, autonomo, che contribuisca a gestire anche il magazzino - un po’ come fa il cuoco di un ristorante - deve partire da uno stipendio che va dai 1400 ai 1800 euro al mese. Salendo, poi, con diversi ruoli di responsabilità dai 2mila in su, per 40 ore a settimana». Offrendo così a tutti la possibilità di godere della vita privata, «si dovrebbe inserire anche il full time verticale da tre giorni, per lasciarne liberi altri quattro e permettere ai collaboratori di recuperare le energie». Un ripensamento totale del mondo del lavoro, che purtroppo non riguarda solo il settore dei bar, ma che è quanto mai urgente.