Nella comunicazione politica (soprattutto se, come in questi giorni, finalizzata alla sicurezza pubblica) pare inevitabile talvolta assumere uno stile lessicale e un metodo comunicativo volto a individuare quello che il politologo tedesco Carl Schmitt definiva come “hostis”, ovvero il nemico ostile all’intera comunità, che in qualche modo diventa l’antitesi in contrapposizione a un valore comune o a un atteggiamento in cui la maggior parte della popolazione si identifica. Insomma: è più facile ed efficace sostenere una tesi se si individua un avversario che in qualche modo a questi valori è contrario, dandogli un nome e un volto, riconoscendola come un “loro” diversa dal nostro “noi”.
Eppure, per quanto efficace, questo stile comunicativo rischia di essere tanto controproducente quanto dannoso per la parte della società delegata a fare da capro espiatorio.
Durante questo lungo periodo di crisi sanitaria il “loro” della comunicazione politica italiana (a prescindere dallo schieramento di appartenenza, governo o opposizione) è spesso stato il mondo direttamente o indirettamente legato al consumo e alla somministrazione di alcolici, in un primo momento identificato sotto il termine comune di “gli aperitivi”, in tempi più recenti passato sotto il termine omninclusivo di “movida”.
Le parole sono importanti e delicate, hanno un peso ed un valore. Soprattutto in momenti di confusione occorrerebbe prestare attenzione a ciò che si dice e a come lo si dice, per non recare danno a uno dei settori d’eccellenza italiani che tutto il mondo ci invidia. Ma proviamo ad andare con ordine:
Movida o Bar Industry?
Il termine movida nella sua reale accezione si riferisce ad un movimento culturale e sociale (dal verbo mover, muovere) sviluppatosi in Spagna negli anni ‘70 all’indomani della dittatura franchista, una sorta di risveglio delle nuove generazioni che coinvolse arte, musica e cinematografia. Attualmente in Spagna il termine è ancora usato ma è riferito in senso generale all’andare fuori, bere e fare festa, senza riferimento a uno specifico genere di ospitalità o tipo di somministrazione. L’accezione negativa dunque è totalmente fuorviante.
Ed ecco che entra in gioco il concetto di Bar Industry. In tutta Europa il termine Bar Industry tende a definire un comparto produttivo che, partendo dalle aziende produttrici e arrivando fino ai cocktail bar, unisce un mondo di professionisti formati, produzioni d’eccellenza ed eventi di settore che tra loro dialogano e collaborano. L’Italia in questo settore spicca a livello globale, proponendo aziende leader quali Campari (gigante del settore che sta addirittura affacciandosi in Champagne, con l'acquisizione di Lallier), Branca, Molinari, Ramazzotti, Montenegro a fianco di un fiorente mondo di produttori artigianali. Non di meno si distinguono i cocktail bar del Belpaese, dove si contano ben 5 insegne presenti nella classifica internazionale The World’s 50 Best Bars (di cui uno situato sui famigerati Navigli). Un settore da decine migliaia di posti di lavoro, dove eccelle il savoir-faire e la manualità tutta italiana che oltretutto negli ultimi anni ha conquistato il mondo: i più rinomati barman del pianeta sono in larga parte provenienti dall’Italia.
Non fare di tutta l'erba un fascio
Ma come distinguere la qualità da ciò che non lo è? Sempre difficile: se in un locale ci si reca per bere come atto di conoscenza e di convivialità, siamo di fronte a uno dei numerosi esempi della straordinaria Bar Industry italiana. Se invece lo scopo principale è stare con gli altri, ballare, guardare un concerto e, connesso a ciò, si beve (spesso troppo), forse siamo di fronte a quella che oggi viene genericamente chiamata movida come se in tutto questo ci fosse qualcosa di male. Questa distinzione non vuol creare una spaccatura né pretende di essere da manuale, ma se bisogna fare di tutta l’erba un fascio, proviamo almeno a farne due. Scendendo ancor più nel particolare, un occhio e un palato attento sapranno distinguere un’ulteriore categoria, che è quella degli Street Bar, o High Volume Bar, ossia quei bar che riescono a offrire sia cultura del bere che maggiore possibilità di svago rispetto ad un cocktail bar classico (che sia Cocktail Bar, Bar d’Hotel o Caffé Storico).
Movida e Bar Industry. L’aperitivo
Quello che è stato additato come il male assoluto è in realtà tra i più conosciuti e rispettati riti della tradizione italiana. Se all’estero vi trovate ad usare la parola italiana “merenda” o “colazione” ad esempio, difficilmente sarete capiti, mentre la parola “aperitivo” è radicata a livello internazionale. Che sia nel bar sotto casa o nel più lussuoso dei bar d’hotel, la liturgia del drink da consumarsi prima di cena per stimolare l’appetito (dal latino aperire, ossia aprire lo stomaco) accompagnati da una piccola selezione di stuzzichini, sono parte della nostra quotidianità e affondano le radici nella tradizione liquoristica italiana, con i Vermouth piemontesi (riconosciuti come Igp anche a livello europeo) ed il Bitter milanese che compongono la maggior parte dei cocktail pre-dinner, tra cui il celebre Negroni fresco di centenario e di celebrazioni internazionali e da sempre cocktail più ordinato al mondo assieme a gin tonic e Martini.
Legare tutto ciò a immagini di ragazzini con in mano bicchieroni di plastica svilisce storia e l’immagine. Anche qui è difficoltoso assegnare definizioni da manuale su cosa aperitivo: ma proviamo invece a farlo spiccare come una nostra eccellenza piuttosto che demonizzarlo come un male da estirpare.
Il futuro dell’Italia del Dopoepidemia sarà luminoso anche grazie alla Bar Industry, a tutti gli uomini e le donne che si dedicano agli alambicchi, alle botaniche e agli shaker permettendoci di brindare (anche alla fine delle emergenze) all’insegna della qualità. E noi dovremmo essere fieri di loro come lo siamo dei cuochi, dei pizzaioli, delle torrefazioni e delle cantine con i loro grandi vini. Perché l’Italia dell’ospitalità non ha confini, solo vocazioni all’eccellenza.
a cura di Federico Silvio Bellanca e Paola Mencarelli