Quando i fratelli Edoardo e Luigi Tonolli, insieme all'amico e socio Nicholas Johnson, aprono il primo Bacio di Latte è l'8 gennaio 2011. Piena estate a San Paolo dove hanno deciso di lanciare la loro gelateria. Il Brasile non è una scelta di cuore, né di pancia – o almeno non solo - ma il frutto di una riflessione ben ponderata. E il successo ottenuto ne è la conferma: 110 gelaterie (ma nei prossimi mesi cresceranno ancora) in 8 anni, il salto in Nord America e qualche nuova idea da sviluppare. Ci racconta tutto Edo che all'inizio di questa storia non aveva ancora 30 anni.
San Paolo è una megalopoli, ben lontana dall'immaginario più romantico del Brasile. Perché siete partiti proprio da lì?
Perché come mercato è il più grande del Brasile. C'è una grande influenza italiana anche dal punto di vista gastronomico e una buona cultura. San Paolo – 20 milioni di abitanti e un buon potere d'acquisto - è la città di riferimento per tutto: moda, ristoranti, lifestyle. Una metropoli contemporanea.
Ma perché proprio il Brasile?
Perché è un mercato in crescita con grandi lacune gastronomiche e potenzialità enormi, e tra i paesi in crescita è uno dei pochi se non l'unico in cui un italiano non ha difficoltà a capire le persone e la cultura locale. Molto meno rispetto ad altri posti in via di sviluppo come India o Cina. E poi perché ha 200 milioni di abitanti e – all'epoca - nessuna gelateria artigianale.
È stato difficile aprire?
Molto. Ci siamo scontrati con un paese politicamente ed economicamente molto instabile, abbiamo avuto mille imprevisti, problemi vari, difficoltà con la manodopera, è un posto dove c'è molta insicurezza e violenza. E poi ha politiche protezionistiche, quindi tasse molto alte sull'importazione di macchinari e materie prime.
Dove avete aperto il primo locale?
È in Rua Oscar Freire, la via della moda, una strada con molti negozi esclusivi, grandi vetrine, una specie di via dei Condotti o via Montenapoleone.
Ora quanti negozi avete?
110 in 8 stati e 15 città 110, tutti senza franchising. Abbiamo aperto con un ritmo di 10-15 negozi l'anno, poi nel 2016 è entrato un fondo di investimento con una quota di minoranza. C'è anche un negozio a Los Angeles e a marzo ne arriverà un altro.
Ma avevate esperienze nel settore?
No, solo una grande passione da consumatori.
E come mai proprio il gelato?
Perché era l'unica cosa non colonizzata dagli americani, dove non c'era ancora una catena forte. L'unica era Grom, ma parliamo di meno locali e non in Brasile.
Dunque non siete gelatieri di formazione. Come vi siete mossi?
Abbiamo chiesto aiuto a una gelateria storica di Milano. Ho imparato lì, poi con consulenti siamo andati avanti.
Quanto tempo avete impiegato per riuscire ad aprire il primo locale?
Siamo stati 3 o 4 mesi tra ricerche di mercato, scelta dei fornitori, elaborazione di un business plain che stesse in piedi, e così via.
Con quale investimento siete partiti? E con quale progetto?
500mila euro. L'idea era di fare una catena, pensavamo al massimo 50-60 punti vendita.
Ne avete quasi il doppio. Cosa è successo?
Abbiamo scoperto che il Brasile è più grande di quanto pensavamo. Quest'anno apriremo altri 30 o 40 negozi.
Come è stato accolto Bacio di Latte?
Bene, hanno subito capito il progetto. La prima gelateria era in un contesto carino, c'è stato subito interesse da parte di riviste di gastronomia e di moda, e da parte di influencer che ci hanno aiutato a farci conoscere. Poi le aperture negli shopping center hanno aumentato la diffusione del marchio.
Dove avete i vostri store?
Sono sia su strade commerciali che in zone residenziali, negli shopping center e poi ci sono dei chioschi in aeroporti o altri spazi: sono Api o 500 degli anni '60, che compriamo in Italia già restaurate e adattate per noi. Alcuni negozi hanno solo la vetrina, come le tipiche gelaterie italiane, altri – come il primo aperto – hanno anche un spazio dove sedersi.
Perché queste differenze?
La gelateria semplice funziona nei luoghi con molto passaggio, per esempio i centri commerciali, in cui ottimizzi spazi e costi e non hai bisogno di attirare i clienti visto che ci sono già moltissime persone. Nelle zone non commerciali, invece, devi diventare un punto di ritrovo, in cui darsi appuntamento, sedersi a chiacchierare. Così non sei solo una destinazione per chi vuole un gelato ma per chi cerca un posto dove andare.
Ma quale è l'organizzazione del lavoro?
Nella maggior parte dei negozi la produzione è fatta in loco, ma abbiamo anche un laboratorio che rifornisce i chioschi. Poi c'è un magazzino centrale per il secco da cui poi partono gli ordini per i vari negozi.
Non vendete solo gelati, però.
No, la maggior parte dei negozi ha anche caffè, dolci e torte. Ora stiamo sviluppando concept ancora più confortevoli con 30 o 40 posti a sedere.
Non pensate mai di tornare in Europa?
No: troppa competizione, mentre in Brasile e in America ce ne è pochissima.
A proposito di questi paesi, c'è differenza nel pubblico?
Non molta: sono consumatori simili, vergini rispetto a questo prodotto. Sono popoli che amano l'Italia e sono poco tradizionalisti, aperti a quel che viene da fuori.
Ma ci sono variazioni nel gusto?
L'americano non è patito per il coccolato quanto il brasiliano, ama più la vaniglia e i sapori vanigliati. Quindi abbiamo un po' adattato i gusti, anche per quanto riguarda gli zuccheri e i grassi. Maggiori negli Usa, dove sul mercato c'è già l'ice cream e sono abituati a un certo tipo di prodotto. Lì la percentuale di grassi è 8-10% rispetto al 7-8% del Brasile, dove hanno solo il sorvete che è molto diverso.
Ma avete dovuto adattare le ricette al pubblico brasiliano, magari con gusti local?
Direi di no, anche perché i clienti tipo, quelli del primo negozio, erano persone che viaggiavano e conoscevano i veri gelati italiani. La prima esposizione aveva appena 2 o 3 gusti di frutta brasiliana, gli altri erano i classici, e anche ora su 20 tipi, oltre alle creme ci sono fragola, pera, limone, lampone, poco altro, magari maracuja. Non potevamo non creare dei gusti nuovi con la frutta fresca locale, ma – a eccezione di latte e panna - tutto ciò che non viene coltivato in Brasile lo importiamo dall'Italia... usiamo tra le 4 e le 5 tonnellate l'anno di pasta di pistacchio.
Dicevi però che le tasse sono molto alte, come fai?
Viene ammortizzato perché il prezzo del gelato al pubblico qui è più alto rispetto all'Italia.
Quanto gelato producete?
2200 tonnellate l'anno (per ora, ndr)
http://www.baciodilatte.com.br
a cura di Antonella De Santis