Rosso e giallo sono i colori che compongono la cornice in cui si muove, che poi sono anche le sfumature della capigliatura scarmigliata e della sua barba che nulla ha a che vedere con le mode.
Lui è Filippo Bortolon, biologo, fotografo di documentari in giro per il mondo, che stanco della città, un anno fa ha preso in mano il progetto più grande, cambiar vita dedicandosi totalmente ai peperoncini insieme alla compagna Sara Forgiarini. Dove? A Gemona del Friuli...
Filippo Bortolon
Breve curriculum del personaggio: nato trentacinque anni fa a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, Filippo è biologo per formazione e fotografo per vocazione. Dopo aver conseguito il titolo di dottore magistrale in Biologia ambientale, ha deciso di dedicarsi alla fotografia girando il mondo. Ed è durante questo suo peregrinare che ha iniziato a conoscere i semi di peperoncino più disparati.
“A dire il vero il primo seme me lo ha fatto conoscere dieci anni fa un amico di mio papà, da lì ho cominciato a chiedere info a chiunque intraprendesse dei viaggi. Ho iniziato poi a piantare i peperoncini che mi ispiravano di più fino ad arrivare a duecento piante, tutte in camera da letto: dovevo dormire con le finestre aperte! Dopodiché ho proseguito nella mia follia occupando i giardini altrui”. Ma che cos'è esattamente il peperoncino?
Il peperoncino. Un po' di info
Peperoncino, paprika e peperone, dal punto di vista botanico appartengono tutti alla stessa famiglia: le solanacee, come le patate e i pomodori per intenderci. La differenza risiede nella loro potenza. Tutte le specie di peperoncino e di paprika, una trentina, appartengono al genere capsicum e derivano dallo stesso ceppo, originario del Nord dell’Amazzonia. Il rappresentante più importante di questo genere è il Capsicum annuum al quale appartengono la maggior parte delle varietà di peperone e di paprika. Alcune varietà estremamente piccanti come il tabasco o l’habanero, fanno invece parte di altre specie, Capsicum frutescens il primo e Capsicum chinense il secondo.
Il consumo in Italia
Ma se circa il 25% della popolazione mondiale ne fa un uso quotidiano, in Italia se ne consuma ancora poco e se ne sa ancora meno. “Delle trentatré specie di peperoncino, sono cinque le più utilizzate, e in Italia si restringe ulteriormente il campo tanto che nelle tabelle statali in cui sto incappando per via della trafila burocratica di permessi e affini, sono presenti solo due specie. Il resto è pressoché sconosciuto ai più. Senza contare che in commercio se ne trovano di vecchissimi”. Effettivamente, a pensarci, al di là della Calabria, il peperoncino non fa propriamente parte della nostra cultura gastronomica eppure è un universo affascinante, anche solo per la questione, in parte ancora avvolta nel mistero, della piccantezza.
Cause ed effetti della sensazione di piccantezza
La sensazione di piccantezza ha poco a che vedere con il gusto: oltre ai recettori del dolce, dell’acido, dell’amaro, del salato e dell’umami, abbiamo infatti una rete di ricettori situati sulla cute e sulle mucose, che vengono stimolati pure dalle sostanze piccanti presenti in alcune spezie. Una di queste, particolarmente efficace, è la capsaicina presente per l'appunto nel peperoncino e in altre piante del genere capsicum. In linea di massima si tratta di una sorta di sistema d’allarme che ci avverte di “pericoli” quali calore, freddo, dolore.
“Ecco perché in certe dosi, il peperoncino provoca delle reazioni di protezione, come lacrime e secrezioni nasali, con la funzione di eliminare dall’organismo la sostanza irritante”. Quel che non è ancora chiaro è come la sensazione di bruciore diminuisca via via che le persone aumentano il consumo di cibi piccanti, tanto che per alcuni la percezione è attenuata se non addirittura piacevole.
Ogni peperoncino ha determinate caratteristiche
“Il tenore di piccantezza si misura in unità di Scoville: la scala va da 0, bruciore assente come nei peperoni, fino agli oltre due milioni del Carolina Reaper (ma la scala è in continua evoluzione, ndr). Solitamente - ci spiega Filippo - chi è più sensibile all'amaro lo è anche al piccante. Non tutti però sanno che i peperoncini hanno un aspetto, un profumo e un aroma tutto loro".
"Gli habanero di base sono fruttati e appena li tagli sprigionano un profumo di frutta secca che poi vira all'albicocca, i peperoncini Tabasco (cultivar della specie Capsicum frutescens) sono belli da essiccare, quelli della specie Capsicum baccatum sono tra i miei preferiti. La loro cultivar più diffusa è l'Aji amarillo peruviano, giallo, croccantissimo, dalle note agrumate, non a caso viene usato per fare il ceviche. Poi ci sono i peperoncini della specie Capsicum pubescens che sono grandi come delle mele e i loro semi neri sono gli unici a non ibridarsi”.
L'azienda agricola B-orto a Gemona del Friuli
Filippo nell'azienda agricola B-orto a Gemona del Friuli si appresta a coltivarle tutte queste specie – prima di dare il via all'attività deve sistemare alcune pratiche burocratiche – compresa la sua varietà, nata dall'incrocio tra un Habanero chocolate e un Seven Pot Strain Brain. Ma nel suo B-orto ci saranno tantissime altre varietà, “siamo nell'ordine di mille e cinquecento piante di duecento varietà per sette specie”. Non male per essere in Friuli, una terra non facile per i peperoncini, "ma vuoi mettere i caprioli che ci vengono a rubare le piantine?".
Filippo, però, questi peperoncini, non vuole venderli freschi. “Da ragazzino volevo iscrivermi all'alberghiero ma mio papà me l'ha vietato, eppure il pallino per la cucina non se n'è mai andato. Così mi sono cimentato nella loro trasformazione, essiccandoli a bassa temperatura e a volte polverizzandoli. L'obiettivo è di creare salse (non appena sistemerò tutta la parte burocratica) e avviare delle collaborazioni con i cuochi. Insomma voglio diffondere quanto più possibile la cultura del peperoncino. Se lo merita”. Le premesse ci sono tutte.
B-orto - Gemona del Friuli (UD) - www.facebook.com/B-orto - apertura dell'azienda prevista a metà febbraio
a cura di Annalisa Zordan
foto di Filippo Bortolon