Qualsiasi caffetteria contemporanea che apra oggi propone più o meno lo stesso menu. Uova in tutti i modi, croque monsieur, French toast, pancakes e poi ovviamente il re dell’ultimo decennio: l’inossidabile avocado toast (con uova, pure lui). E se oltre ai piatti dalla cucina ci sono anche i lieviti, tre certezze sono garantite: pain suisse (se non lo fai, oggi non sei nessuno), un croissant di forma strana (roll o cubo) e pain au chocolat. Guai a inserire i cornetti all’italiana, l’impasto francese ha ormai surclassato qualsiasi altra variante. Se si apre anche la sera, si bevono vini naturali, et voilà, la ricetta per il perfetto bar moderno è servita. Sembrerà ripetitivo, eppure questo format è più necessario che mai.
Quando al bar non c'erano tapas e croissant
Per moltissimi anni in Italia ci siamo accontentati dell’accoppiata (vincente e sempre valida, per carità) cornetto e cappuccino, senza spaziare nell’ampio mondo della colazione, che comprende molto altro, soprattutto nella versione salata. Per pranzo, tramezzini (non sempre ben fatti) e panini, talvolta qualche piatto freddo, la sera vassoi con pizzette, patatine, olive e tartine. Un concetto di aperitivo ormai superato, che però ha dominato la scena per decenni: oggi lo diamo per scontato, ma poter variare tra tapas sempre diverse, piatti che cambiano ogni mese e vini alla mescita nuovi non è affatto banale. Così come non lo è poter gustare un bel croissant salato, fatto con burro buono e sfogliato a dovere, durante la pausa pranzo, anziché accontentarsi del «solito» panino.
Il cibo che ci fa sentire a casa
Certo, magari un giorno anche pancakes e uova strapazzate diventeranno i «soliti». In parte, sta già avvenendo. Ma avere a disposizione una cucina creativa, piatti espressi con prodotti di stagione e un’offerta internazionale «standard» (parola tutt’altro che negativa) è ancora un punto a favore per i locali giovani che puntano anche a una clientela nuova, diversa. Più fresca, viaggiatrice, conoscitrice del mondo esterno. Sono luoghi progettati per sentirsi a casa, a prescindere dalla provenienza: puoi essere a Roma così come a Torino, Madrid, Londra, Sydney, Berlino, di fronte a un avocado toast, sei «solo» un millenial che si è fatto conquistare dai trend social. Un po' come accade da Starbucks, che ha fatto della standardizzazione un valore aggiunto, garanzia che fa sentire i clienti al sicuro, sul prodotto ma ancor prima sull'atmosfera: un nonluogo dove non ci si perde mai, dove si è in tutto il mondo senza coordinate precise.
Il privilegio di assomigliarsi
Siamo abituati a concepire l’uniformità come un difetto, ma avere dei luoghi che si somigliano nell’animo, nell’atmosfera (sempre rilassata, conviviale, che invita a rimanere ben oltre la propria consumazione) e nell’offerta, è un gran privilegio. Vuol dire potersi ritrovare, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi. Riconoscersi, anche a distanza di chilometri. Nel cibo ci si ricongiunge, nei sapori di casa così come in quelli stranieri ormai diventati patrimonio del mondo. Pensiamo all’hummus, la più libera e felice delle ricette: ha fatto il giro del globo, si è fatto amare ovunque, è stato replicato e modificato in mille modi. Non ha perso la propria identità, l’ha solo messa al servizio di una comunità più grande. Altroché noia: se è questo che si intende per menu «tutti uguali», allora ne abbiamo ancora un gran bisogno.