Potremmo andare avanti all'infinito con domande del genere e probabilmente non arriveremmo mai a una risposta univoca. Ma una cosa è certa: le risposte degli chef interpellati hanno smontato ogni nostra convinzione iniziale. E si può dire che pure noi siamo usciti dalla nostra zona di comfort…
“Ciò che dà forza, soccorso”. Comfort indica letteralmente comodità, agio, e in particolare le comodità materiali, il complesso di impianti, installazioni e accessori che rendono agevole e organizzata la vita quotidiana. Ma comfort, inteso come “zona di comfort”, può assumere anche un'accezione non così positiva, anzi. Con zona di comfort si indica uno spazio sicuro in cui non si rischia, ma nemmeno si evolve. Questo concetto risale a un esperimento condotto nel 1908 dagli psicologi Robert M. Yerkes e John D. Dodson, i quali dimostrarono come uno stato di relativo benessere genera un livello costante di rendimento, sottolineando però che per migliorare le prestazioni occorre sperimentare un certo grado d’ansia. È l’“ansia ottimale”, quella che si trova appena fuori dai confini della zona di comfort. Questa zona di comfort potrebbe essere il divano del salotto, il lavoro che svolgiamo da oltre dieci anni, “la stessa spiaggia, lo stesso mare” dove trascorriamo ogni anno le vacanze. Insomma, questa seconda accezione di comfort indica uno stato psicologico in cui ci sentiamo al sicuro, in cui non proviamo ansia né paura, in cui – però – si vengono a perdere piano piano gli stimoli. E in cucina, il concetto di comfort, come è percepito?
Nel mensile di novembre del Gambero Rosso ci hanno detto la loro Isabella Potì e Floriano Pellegrino, Davide Caranchini, Alberto Gipponi, Mauro Uliassi, Niko Romito, Riccardo Camanini, Massimiliano Alajmo, Davide Scabin, Paolo Lopriore, Chiara Pavan, Davide Guidara, Terry Giacomello, Antonia Klugmann, Riccardo Digiacinto, Ferran Adrià, Rasmus Munk, Andoni Luis Aduriz, Gourmet Concerto.
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parole di Annalisa Zordan - immagini di Gaia Niola