Assay, il pesto di cime di rapa che combatte il caporalato. La storia di 9 ragazzi che saranno contadini migliori

26 Mag 2019, 11:06 | a cura di
Un anno fa, Terra! Onlus lanciava il progetto In Campo! Senza caporale, con l’idea di dare un futuro migliore ai migranti sfruttati dal caporalato nel ghetto pugliese di Cerignola. Obiettivo: formare dei professionisti agricoli consapevoli, in collaborazione con le aziende del territorio. Ecco com’è andata.

I ragazzi di Assay

La paternità del nome si deve a Guebre, 33 anni, originario del Burkina Faso. Quattro anni fa è arrivato in Italia, via mare, dopo mesi trascorsi nelle prigioni libiche. Con Yusuf, Mounir, Paap, Hussein, Ibrahim, Matthew, Abdoulaye e Mamadou ha condiviso negli ultimi 10 mesi un percorso di formazione sul campo che è solo l’inizio di un futuro nel mondo del lavoro agricolo che si preannuncia diverso. E migliore. Guebre e i suoi compagni, sui campi della Capitanata si sono conosciuti e hanno condiviso giornate (mesi, anni) infernali, nel ghetto di Borgo Tre Titoli, alle porte di Cerignola, senza acqua né elettricità, costretti a sottostare alle “leggi” dei caporali per guadagnare qualcosa come braccianti agricoli, in condizioni di lavoro disumane e al prezzo di paghe miserabili. Un orizzonte di connivenza e sfruttamento, dove ogni giornata si ripete uguale a se stessa, senza possibilità di sperare – e nemmeno pensare – un futuro diverso. L’estate scorsa, però, l’associazione Terra! onlus, impegnata in molteplici attività di inclusione sociale in Puglia e a Lampedusa, lanciava il progetto In Campo! Senza caporale, stimolando la nascita di un network di aziende agricole che sul territorio di Cerignola potessero accogliere una decina di lavoratori migranti per dare loro una formazione, condizioni di lavoro e vita sostenibili per sviluppare insieme una filiera trasparente e sostenibile, incentivando un modo di produrre virtuoso e legale.

Il pesto di Assay su una fetta di pane

In Campo! Senza caporale. Il pesto Assay

E quindi dimostrando, con il sostegno economico di Intesa Sanpaolo (che ha finanziato il progetto), che si può garantire un’alternativa alle dinamiche di produzione che attanagliano le campagne della Capitanata di Foggia, immettendo sul mercato un prodotto agricolo trasformato a marchio unico, nel rispetto degli standard biologici e da filiera trasparente, illustrata attraverso un’etichetta “narrante”. Ecco com’è nato Assay, un pestato di cime di rapa e broccoletti (con l’aggiunta di olio extravergine, cipolla, aglio e un pizzico di peperoncino) di cui i ragazzi hanno seguito l’intero processo produttivo, dalla semina alla raccolta nei campi, fino alla produzione e al confezionamento in barattoli da 190 grammi, e alla scelta del nome, Assay, da un errore di scrittura in chat dell’intercalare – molto utilizzato in Puglia – “assai”, che i ragazzi hanno fatto proprio (guardate il video!) e riportato in etichetta. Tremila barattoli in tutto, per iniziare, distribuiti anche a Roma dal circuito Zolle, e presso alcune attività di ristorazione che hanno deciso di sposare la causa (Proloco Dol, Grandma, Caffè Nemorense, Pastella, Mercato Trieste), mentre in altre città d’Italia ci si affida alla presenza di referenti sul territorio che si fanno intermediari per l’acquisto, da concretizzare online. Una piccola produzione, che certo non sarà sufficiente a finanziare il prossimo ciclo di formazione: ogni barattolo è venduto a 4 euro, le difficoltà meteorologiche dei mesi scorsi hanno limitato la produzione e complicato la possibilità di coordinare il lavoro delle 5 aziende partecipanti, l’obiettivo è quindi quello di ottenere un nuovo finanziamento per replicare un’esperienza che in fase sperimentale si è rivelata molto soddisfacente. Il motivo è presto detto.

I barattoli di pesto Assay

Un progetto di formazione che apre le porte del lavoro

Il progetto ha fornito ai partecipanti una formazione professionalizzante che gli garantirà una crescita autonoma nel mondo del lavoro agricolo, in Italia o altrove. E l’emancipazione da quel sistema di sfruttamento che continua a rappresentare una piaga malregolamentata delle nostre campagne. Infatti le proposte non hanno tardato ad arrivare. Yusuf ha 23 anni, nel 2011 sbarcava a Lampedusa dopo un lungo viaggio dal Ghana, prima di arrivare nel ghetto di Cerignola. Subito dopo il corso ha iniziato l’inserimento da Biofarm Orto, azienda romana, con contratto a tempo determinato. Anche Matthew è arrivato dal Ghana, la guerra nel suo Paese l’ha costretto a scappare; sotto i caporali ha lavorato tra Manduria, Latina e Cerignola, alla raccolta di pomodori. Con un altro dei ragazzi ora lavorerà per Princess, un’industria di trasformazione di pomodoro in cerca di personale qualificato. Mamadou, invece è senegalese, in Italia vive dal 2002, oggi ha 50 anni e un giorno sogna di tornare in Senegal a coltivare la terra. Ma il corso gli ha offerto una grande possibilità, perché la cooperativa Altereco – tra le 5 aziende di Cerignola coinvolte – ha deciso di accoglierlo come socio. A tutti il progetto ha dato la possibilità di condividere una casa dignitosa, imparare l’italiano, regolarizzare i permessi.

L’inizio del percorso. Uscire dal ghetto

Tutto è cominciato con gli incontri conoscitivi al ghetto: “Prima abbiamo individuato le necessità produttive delle aziende partecipanti” racconta Giulia, che del progetto è responsabile per Terra! “Da una parte sono state fatte schede per ogni azienda, per individuare necessità, bisogni e produzioni. Nel ghetto, con il supporto di Oim, abbiamo individuato i profili più compatibili, e spiegato loro di cosa si trattasse, nel corso di riunioni collettive. Non tutti sono interessati a partecipare: spesso preferiscono mettere da parte il compenso dei cassoni che producono d’estate, un guadagno certo e immediato. Non riescono a pensare al futuro, è un investimento anche per loro, una scommessa”. Chi ha accettato, invece, si è ritrovato parte di un gruppo che oggi è molto coeso, “l’idea è che alcuni di loro possano restare come formatori dei prossimi cicli, scegliendo personalmente chi salvare dal ghetto”. La formazione è stata bilanciata sulle specificità delle aziende e le necessità del territorio (c’è grande richiesta, per esempio, di personale competente per potatura di alberi da frutto e ulivi), e integrata con le conoscenze pregresse dei ragazzi, che nei Paesi d’origine erano contadini, panettieri, sarti...

La formazione in aula per i ragazzi africani di Assay

Come si diventa un contadino migliore? La formazione in aula e sul campo

E fondamentale è stato il supporto di Pio Bufano, energico volontario pugliese, che del lavoro nei campi conosce tutti i segreti e dei ragazzi è stato formatore, diventandone mentore e compagno di avventure: “La vera integrazione è far passare i ragazzi per una formazione a 360 gradi, che gli fornisca le basi per andare oltre la manovalanza. Abbiamo iniziato un percorso sulle fasi fenologiche delle produzioni diffuse nella Capitanata: pomodoro, ulivo, vite, ortaggi. Nel vigneto abbiamo iniziato a luglio, per il pomodoro siamo partiti dalle fasi agronomiche di come si prepianta, i tipi di irrigazione, le nuove tecnologie. Oggi i ragazzi hanno moltissime competenze, spesso ne sanno più di chi lavora nei campi da una vita. Per esempio, gli ho insegnato a recuperare le manichette di plastica, invece di bruciarle come si usa da noi. La regola delle 3 R, in agricoltura, è fondamentale: recupero, riciclo, riuso”.

Chi cambia il sistema: chi produce e chi acquista

Le difficoltà non sono mancate, a partire dalla lingua: “Hanno ancora un po’ difficoltà nell’esprimersi, ma ci capiamo anche a gesti. Abbiamo studiato per immagini girate in chat, in aula e sui campi. Ora sanno com’è strutturato un albero, come eseguire una potatura, come riconoscere le malattie delle piante. È un percorso che mi ha dato grande gratificazione. Spesso ho fatto da tutor per altri corsi con enti di formazione per italiani, comunitari ed extracomunitari. Ma in loro ho trovato quell’entusiasmo che li distingue dagli altri. Bisogna investire su questi progetti, sulla vecchia scuola professionale. Il progetto apre tante prospettive, ma è un investimento a medio lungo termine. Però la terra ci insegna, il seme, se non lo pianti nel terreno, non genera una spiga. E al tempo stesso bisogna lavorare sulla mentalità delle aziende locali, c’è ancora molta ipocrisia, l’integrazione è un processo difficile. Ma ricordiamoci: noi siamo decisivi quando andiamo ad acquistare, con la nostra posizione possiamo determinare le politiche future”. Il consiglio giusto per consumare Assay? “Su una fetta di buon pane bruscato, con un pezzetto di caciocavallo podolico stagionato e un bicchiere di Negramaro”. Mangiatene Assay!

Per acquistare Assay www.terraonlus.it/acquista-assay/

a cura di Livia Montagnoli

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