Aspettando il nuovo Noma
C'è Ali Sonko, 62 anni da 34 in Danimarca e 12 figli, da qualche giorno il lavapiatti più chiacchierato della ristorazione mondiale. Ma il gambiano al fianco di René Redzepi da 13 anni - quando il ristorante al 93 di Stangrade, Copenaghen, apriva per la prima volta i battenti forse ignaro del movimento gastronomico a cui avrebbe dato seguito – è in buona compagnia. Con lui, e l'amico René, figlio di un emigrato macedone e di una donna delle pulizie danese, ci sarà anche James Spreadbury, che al Noma, otto anni fa, era arrivato dall'Australia come cameriere, per diventare rapidamente un manager fidato e competente. E ancora Lau Richter, direttore del servizio di sala. Tutti in società per imbarcarsi nella prossima avventura imprenditoriale, che all'indomani della chiacchieratissima chiusura definitiva del Noma come l'abbiamo conosciuto finora (dal 2003 rifugio gastronomico del porto di Copenhagen per i gourmet in arrivo da tutto il mondo), Redzepi non ha esitato a definire come “uno dei momenti più felici della mia esperienza di lavoro”. Bando alla nostalgia, dunque, perché presto si ricomincia a lavorare, e anzi le idee non hanno mai smesso di fluire da quando l'annuncio del trasloco nella campagna di Christiania, per aprire la sua fattoria urbana entro la fine del 2017, è rimbalzato ai quattro angoli del mondo. Intanto, tra un mese, sarà la volta del Messico, a Tulum, dove per sette settimane Redzepi e la sua brigata presenteranno una nuova versione pop up della cucina che negli ultimi anni ha viaggiato da Tokyo a Sydney per esplorare nuove combinazioni di sapori.
Il riscatto di Ali. Il lavapiatti che sorride sempre
Ma la notizia che più tiene banco in queste ore è indubbiamente la “promozione” di Ali, che “rappresenta il cuore e l'anima del Noma”, ha sottolineato lo chef: “Anche mio padre si chiamava Ali, e quando è arrivato in Danimarca dalla Macedonia anche lui si era messo a fare il lavapiatti”. Una storia che sembra uscita dalla penna di Christian Andersen, fatta di riscatto sociale, persone che lavorano col sorriso per raggiungere un obiettivo comune e momenti goliardici che testimoniano la forza di una brigata unita. Come quando, nel 2010, il Noma entrò per la prima volta in finale alla cerimonia dei 50 Best Restaurants: Ali, sprovvisto del visto, segue la premiazione da casa, davanti alla tv. Il Nome vince (e replicherà nel 2011, 2012, 2014), Alì esulta lontano dai riflettori, ma tutta la brigata lo porta con sé sul palco, in foto, sotto le giacche che si sbottonano al momento giusto. Ognuno di loro, anche Ali, dopo la festa di addio al Noma, ha portato con sé un pezzo del locale, una lettera dell'insegna, un ricordo degli anni trascorsi insieme (c'erano anche i giovani talenti italiani che abbiamo intervistato qualche giorno fa). In attesa che il Noma 2.0 veda la luce. Lo aspettano (aspettiamo) tutti.
Foto di Ditte Isager