re una riserva destinandovi le vigne più vecchie, quelle con i grappoli più spargoli che davano naturalmente materie prime più concentrate e adatte all’invecchiamento».
Non è un cru in senso stretto, il Don Anselmo, perché anche oggi scaturisce da una selezione di uve provenienti da una decina di poderi, la maggior parte dei quali si trovano in Contrada Macarico, a Barile, nel cuore dell’area produttiva sviluppatasi alle pendici del vulcano spento del Vulture. Sono perlopiù vigne ad alberello e a capanno (tradizionale sistema di allevamento con tre canne intrecciate verso l’alto per sostenere i tralci) di circa 40 anni, vendemmiate a piena maturazione tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Nel corso degli anni sono intervenuti piccoli cambiamenti nei processi di vinificazione e affinamento: si sono leggermente accorciate le macerazioni (oggi intorno ai 14-15 giorni, in acciaio e cemento), mentre le maturazioni vedono attualmente una metà della massa passare in barrique, solo in parte nuove, e l’altra in rovere di Slavonia da 25 ettolitri.
Quello che non è mutato, invece, è il profilo quasi aristocratico con cui le migliori versioni di Don Anselmo sanno stupire anche il più smaliziato degli appassionati. La prova del tempo è una vera e propria sentenza in questo senso: un’occhiata alle schede della nostra verticale, con gli assaggi di tutte le annate finora prodotte, può valere forse più di mille parole.
1985|92
Il Don Anselmo festeggia i suoi primi venticinque anni di storia, raccontati oggi da una versione sontuosa, ideale incontro di fascino e sostanza. Fiori secchi e scorze d’agrumi, pepe bianco e radici: per una volta i parallelismi aglianico-nebbiolo non sono una forzatura di comodo né al naso né al palato. Sottile e cangiante, viene quasi dilatato da una splendida striscia salina e da un lunghissimo finale, perfettamente fuso nella componente alcolica e tannica, di inappuntabile tenuta.
1988|90
Dopo due annate non ritenute all’altezza, la seconda uscita del Don Anselmo prende forma sulla scia di un millesimo classico e austero, fresco e tardivo. La terziarizzazione è qui più evidente, tra frutta secca e tartufo e tutto sembra girare intorno a un atmosfera più cupa, se non fosse per i netti ricordi di sigaro e talco che emergono con l’aerazione. La bocca conferma questo contrasto tra evoluzione e vitalità, sottolineata anche da un tannino carnoso ma un po’ asciutto. Affascinante.
1990|93
Uno dei pezzi forti di questa verticale, risultato più volte in questi anni sempre a livelli assoluti. Come nell’85, è l’anima più fine e quasi femminile dell’Aglianico a parlare, col timo, il rosmarino, ma soprattutto con un frutto rosso lussureggiante che si approfondisce attimo dopo attimo con gli agrumi, le spezie, l’infuso di carcadè. Leggero e potente, scattante e sferico, la sua fibra parla di gioventù e di prospettiva, irradiando il sorso con una qualità di sale e tannino non abituali a queste latitudini.
1992|85
Vendemmia decisamente più complicata, calda e allo stesso tempo piovosa, che trova una coerente rappresentazione in un Don Anselmo molto aperto sul piano aromatico, tra ginepro e rabarbaro, tamarindo e nespola, con una coda mentolata a ravvivare il quadro. Meno integra e compatta la bocca sorprendente per volume e larghezza, ma un po’ sacrificata nell’abituale apporto di succo e sapore. È anche l’effetto del tannino abbastanza crudo e scontroso che accorcia ulteriormente un finale con qualche cedimento.
1993|87
Versione controversa questo ’93, sia nelle premesse del millesimo che nelle prestazioni di oggi. Sembra quasi combattuto fra una parte carnosa e materica e un’altra più fresca e slanciata: singolari ricordi di zafferano e patè di olive rincorrono il frutto rosso maturo e la tostatura, la clorofilla e le erbe secche. L’ingresso al palato è impattante e scopre il legno di affinamento più che in altre occasioni: viene a mancare qualcosa nell’allungo finale ma la progressione non ha passaggi a vuoto.
1994|95
Sarebbe riduttivo definirlo uno dei più grandi, se non il più grande, tra i ’94 prodotti in Italia, vendemmia non certo celebrata abitualmente. La sua statura è tutta racchiusa nella stratificazione inarrestabile degli aromi, da china a grafite, da sigaro Havana a legno di cedro, dall’humus alle erbe mediche e così avanti all’infinito, mentre il sorso scorre con l’autorevolezza e la seta di un grande bordolese, il cuore e gli spilli di un Aglianico completo, emozionante, indimenticabile.
1995|87
È impresa ardua per chiunque scendere in campo dopo un autentico monumento come il Don Anselmo ’94. La versione successiva, tuttavia, non sfigura affatto: non concede grandi spunti di complessità, ma sfrutta bene la sua indole generosa e assertiva. Un tocco vanigliato addolcisce i consueti timbri vulcanici, il finale è piuttosto rigido e contratto con l’alcool che si fa sentire, ma accompagna con naturalezza il frutto avvolgente e rotondo, ricco e pieno.
1997|89
Dopo un bel filotto di annate ritenute all’altezza della Riserva del Fondatore, la 1996 viene saltata e il Don Anselmo ritorna nel 1997. Che sia la vendemmia calda o un preciso cambio stilistico, si ha subito l’impressione di un salto: si avverte maggiormente il legno nei toni di caffè, lo scheletro stesso del vino sembra aggrapparsi ai muscoli più che alla fibra. Il che non impedisce alle componenti minerali e all’acidità di farsi sentire; convince meno, invece, il finale quasi di pece, nel quale il tannino appare piuttosto sovra estratto.
1998|88
Altro millesimo caldo, altra versione con più cilindri che sfumature. La partenza è all’insegna di cuoio e goudron, radici e chiodi di garofano, ma il vero tema portante è dato dall’amarena sotto spirito, protagonista anche al palato dove si dipana in larghezza senza approfondirsi troppo. Il finale è asciugato da tannini leggermente amarognoli, ma la corpulenta mole del vino non perde mai sostegno, suggerendo un che di materno e rassicurante.
1999|90
È senza dubbio una delle versioni che più si sta giovando dell’affinamento in bottiglia: da un punto di vista stilistico, siamo dalle parti di ’97 e ’98, ma qui notiamo subito un plus di tensione e brio che rende il vino maggiormente multidimensionale, pur nella sua estrema giovinezza. Nel gioco delle associazioni, è facile pensare al Rodano: nettissimi la speziatura e i ricordi di oliva nera, col frutto che si schiarisce nel bicchiere e segnala tutta la sua origine vulcanica in un sorso duro, compatto, saporoso.
2000|87
Non è la migliore prestazione di questa verticale, ma è una prova sicuramente brillante rispetto a un millesimo che vede oggi molti Aglianico, irpini e lucani, piuttosto affaticati. Il disegno aromatico non è forse originalissimo, tra mora in confettura e cacao, pepe nero e timbri tostati-affumicati conferiti anche dal legno, ma la bocca risponde bene, con dolcezza controllata e un tannino puntuale. Solo la componente glicerica e alcolica sono un po’ sopra le righe, ma il risultato è decisamente serio e appagante.
2001|91
Da un millesimo generoso, ma tutt’altro che docile, nasce un Don Anselmo ancora completamente immerso nella sua fase giovanile, sottolineata da sfumature di brace, lampone, arancia sanguinella, impreziosite da un timbro ferroso-ematico. Nella sua intensità, è un vino di grande disciplina, che non perde mai di vista succo, sale e facilità di beva. Quando si allenteranno le briglie tanniche e materiche che lo frenano, sarà grandissimo: il lungo finale, vellutato e vibrante, spiega bene il perché.
2003|82
Potremmo essere incappati in una bottiglia sottoperformante, perché i nostri ricordi erano quelli di un 2003 tonico e coerente: non un campione assoluto, ma un’ottima esecuzione in rapporto all’annata canicolare. Qui registriamo invece un profilo etereo di prugna secca e maraschino, cioccolato e amaretto, che non riesce a trovare ariosità. La bocca è piuttosto bloccata sul fronte tannico ed è ulteriormente asciugata dalla coda alcolica, nonostante una materia di tutto rispetto.
2004|88
Si conferma densa di punti interrogativi la nostra lettura della versione 2004, figlia di un millesimo che ricalca per molti versi l’andamento di molte vendemmie anni ’80. Ci vorrà probabilmente altro tempo per comprendere a pieno un Don Anselmo appuntito e longilineo, che si focalizza su un frutto fresco venato di sfumature vegetali e balsamiche e che morde al palato per effetto di una rilevante acidità e tannini contratti e severi, forse non perfettamente sostenuti dalla spalla strutturale.
2005|93
Il ventennale del Don Anselmo coincide con una versione che chiude idealmente il cerchio e rende immediatamente ozioso il solito richiamo ai “vini di una volta che non ci sono più”. Non c’è passato che tenga quando compare sulla scena il carisma del 2005, Aglianico che trabocca di brillantezza e integrità, muovendosi con passo felpato tra il pepe verde e il ginseng, la macchia e la cenere. Il sorso è talmente saporito e fuso nella componente tannica che quasi ci si dimentica di quanta roba ci sia in un fuoriclasse destinato ad attraversare i decenni.
Aglianico del Vulture Don Anselmo Riserva
Paternoster
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Barile (PZ)
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gennaio 2011