iacchierata e guru della cucina ottomana oltre Manica.
Ci sono cose di Londra che fanno venire ogni volta i nervi, ad esempio la sterlina, la guida a sinistra, l’astensione da Schengen con corollario di code estenuanti ai controlli aeroportuali. Altre fanno allegria: ad esempio l’entusiasmo degli inglesi per la cucina, il riscatto da muffe secolari di porridge, roastbeef, e fish and chips.
Chi sostiene che la cucina creativa inglese si è affermata grazie all’assenza di una tradizione monumentale come la nostra, è servito e smentito da Heston Blumenthal, che ha studiato il menu di Dinner, neonato ristorante del Mandarin Oriental, rielaborando piatti di corte del Seicento, niente di meno.
Il divo nazionale dell’alta cucina (quello popolare, l’Antonello Clerici inglese, resta Jamie Oliver, scelto come testimonial dell’Italian Cooking dal New York Times) ha contribuito a creare un neonato orgoglio gastronomico nazionale, che a livello quotidiano trova espressione in una nuova generazione di pub.
Finita la stagione dei gastro-pub («Costano come ristoranti e puzzano come latrine» li bollava una insospettabile collega inglese), scremati dal tempo che ha fatto giustizia (tra quelli ancora validi: Canteen, Anchor and Hope, Hereford Road, il pur sopravvalutato St. John), risorgono i pub e basta. L’ultimo nato è Hardwood Arms, il pub di Brett Graham del The Ledbury restaurant.
Lontano dalla pazza folla e dall’uscita del metrò, in una stradina residenziale di Fulham non ornata di vetrine, Hardwood Arms ha un look dimesso ma una cucina di carattere, con antipasti come polpettine di coniglio con fegatini e interiora nella rete di maiale su purea di sedano rapa, e piatti di sostanza come il petto d’anatra con coscia confit e salsiccia di sanguinaccio.
Non è luogo da vegetariani, come nemmeno The Hawksmoor, in una stradina secondaria di Covent Garden, dove il menu suona carnivoro ossessivo ma il Sunday roast e l’Express menu valgono la pena di perdersi due-tre volte intorno a Seven Dials.
Accanto all’orgoglio patrio, Londra scopre l’Europa, non solo Francia e non solo nella City (dove la cucina francese spadroneggia da sempre) ma anche nei quartieri veri dove si finisce a dormire quando l’azienda risparmia sull’hotel, per esempio Clapham, dove il neonato Délicat offre un bel saggio di cucina austriaca e francese (dall’incontro di chef e souschef).
Registra il tutto pieno, anche in piena crisi, la formula di Iberica, ristorante di tapas con rivendita di prodotti gastronomici spagnoli: baccalà con le sue trippette e ajoli alla pera, peperoncini verdi fritti, riso al nero di seppia, e selezione di prosciutti meno noti del serrano e comunque validi.
L’apertura gastronomica all’Europa precorre la politica e ingloba la Turchia: in primavera, Silvena Rowe, fascinosa chef turco-bulgara che finisce spesso sui rotocalchi di gossip, aprirà Quince, dedicato alla sua passione, la cucina ottomana.
N.B. Nel Gambero Rosso di febbraio i migliori indirizzi.
Roberta Corradin
25/01/2011