gli Stati Uniti. Molti sostengono che la crisi economica, iniziata in modo trasversale con la crisi dei mutui, colpirà tutti, e che è imminente una vera e propria recessione. Tutto ciò è indubbio: basta osservare gli indicatori economici e ascoltare gli osservatori finanziari che puntualmente lamentano un ulteriore calo della borsa e un ennesimo indebolimento del dollaro…
Eppure, se si vuole uscire la sera nelle grandi città come New York, Chicago o Los Angeles, vale la pena prenotare, e a volte risulta necessario mettersi in coda e aspettare pazientemente. Come si giustifica il fenomeno? Bisogna forse fare delle precisazioni riguardo segmenti di clientela, zone geografiche, e diversi livelli di ristorazione; i discorsi generali, come spesso accade, non danno spiegazioni adeguate. I locali di livello molto alto, a quanto pare, non sono ancora stati toccati dalla crisi: chi si può permetter pasti da 300 dollari a persona di certo non si fa spaventare da allarmismi riguardo i propri investimenti e lo stato del conto in banca. Neppure la ristorazione mangia e fuggi, i locali cinesi e messicani e le pizzerie d’angolo risentono della crisi, anzi forse ne hanno ricevuto un vantaggio, perché offrono pasti a prezzi convenienti per quella fascia di pubblico che la crisi in qualche modo già la sente. È forse la categoria dei ristoranti medi a soffrire di più, con una clientela che adesso deve fare i conti con il portafoglio. È stata probabilmente questa ampia categoria di restaurant-goers, come si dice qui, a decretare il successo di una formula di ristorazione relativamente nuova: il wine bar o, come ormai dicono in molti, the enoteca.
L’uso della parola italiana è tutt’altro che casuale, fatto curioso se si pensa che da noi spesso si preferisce la denominazione anglosassone di wine bar, mentre con enoteca si indica anche un negozio dove si acquista vino. Molti di questi wine bar si ispirano a un tipo di convivialità mediterranea, più rilassata, meno formale che nel tipico ristorante americano dove ancora a volte ci si preoccupa del dress code. Non che questi locali siano semplici o trasandati, tutt’altro. Si tratta piuttosto di understatement: l’ambiente è in genere curato, con un occhio al design e all’arredamento, ma senza darlo troppo a vedere, con discrezione.
Le dimensioni possono variare: si va da quelli molto piccoli, intimi ma a volte affollati nel weekend, a quelli con spazi più ampi, senza però mai esagerare. Dopo tutto, in tutte le grandi città americane gli affitti sono molto alti, specialmente nelle zone più alla moda. Dal punto di vista del menù, in genere si tratta di molti spuntini e antipasti, scelte accurate di formaggi e salumi, qualche primo piatto e qualche secondo. Specialmente per i meno esperti ciò riduce lo stress di dover scegliere fra pietanze e ingredienti poco familiari. Non che i piatti siano sempre semplici o scontati: alcuni bravi chef hanno infatti optato per questo stile di ristorazione, meno stressante e più adatto a un rapporto reale con i clienti che, spesso, diventano fissi.
C’è poi da dire che per molti giovani il menu da ristorante è un po’ eccessivo: un po’ per questioni di aspetto fisico, un po’ per preoccupazioni di salute e benessere, la scelta di piatti più piccoli e leggeri è spesso preferita. Senza contare il fatto che il conto è in genere meno salato. Però c’è chi dice che molti wine bar, con menu ampi e diversi piatti forti, sono in realtà ristoranti che cercano di cavalcare l’onda di una nuova tendenza senza coglierne lo spirito.
Per molti giovani l’enoteca diventa un luogo dove conoscere meglio il vino; dopo tutto, qui si cresce ancora a birra, e il vino è spesso visto con una sorta di rispetto, anche perché in molti ristoranti le carte dei vini sono enormi e difficili da navigare. In enoteca, in genere si trova una buona scelta al bicchiere, e poi bottiglie da vari prezzi, da quelle senza pretese alle più costose.
Un altro elemento interessante dei wine bar americani è che sono molto frequentati da donne: fra le ragioni date dalle clienti con cui capita di fare due chiacchiere, è che il vino sia adatto alle donne (fino a pochi anni fa, molti americani anglosassoni percepivano il vino come non abbastanza maschile), che i piatti piccoli sono adatti al mantenimento della linea, e che i locali sono carini e accoglienti, più rilassati di un ristorante e meno pieni di testosterone che i normali bar.
Insomma, la percezione generale è che un gruppo di ragazze può divertirsi in un wine bar senza essere necessariamente importunate dal primo ubriaco di turno…
La moda dei wine bar è ormai una tendenza consolidata a New York. Forse per la relativa vicinanza all’Europa, per la presenza di una clientela sempre alla ricerca di cose nuove, e per l’apprezzamento per la cucina italiana, è stata proprio la Grande Mela a sperimentare per prima questa formula. Dal numero di locali aperti, si direbbe con estremo successo. D’altra parte il pubblico locale era già abituato a una cucina italiana più in sintonia con lo stile attuale che con i piatti italo-americani. Ed è stata la stessa cucina mediterranea, meno impegnativa, più “domestica” che sta riscuotendo successo anche altrove, a partire dalla California. Certo, non tutti i wine bar sono di ispirazione italiana, soprattutto sulla West Coast, dove la produzione di vini e formaggi locali è importante. E anche altrove, la Francia esercita ancora una certa influenza, anche se la haute cuisine è forse un po’ in ribasso.
Le piccole dimensioni di questi locali, i menu semplici e quindi con costi minori, la scelta intelligente delle bottiglie da tenere in cantina in modo da ridurre le immobilizzazioni finanziarie, fanno sì che molti giovani desiderosi di lanciarsi nel mondo della ristorazione scelgano proprio questo modello di business. E dato che la risposta del pubblico è massiccia, c’è da aspettarsi che questa tendenza si espanda anche al di là delle grandi città. Per il made in Italy dell’enogastronomia, un’occasione preziosa per riconfermare la propria presenza anche in tempi di crisi.
Fabio Parasecoli