Yulin. Il Festival dove si mangia carne di cane. Riflessioni a margine

25 Giu 2015, 09:19 | a cura di
A Yulin è il tempo del Festival della carne di cane. Non mancano le polemiche dentro e fuori la Cina.

 

Yulin, 21 giugno, solstizio d'estate. In una parola: polemica. Perché il solstizio d'estate apre il “Festival della carne di cane”, inaugurato il 22 nella regione cinese di Guangxi Zhuang. Animalisti, ambientalisti, vegani e pure carnivori, insomma il resto del mondo critica la pratica definendola una strage, uno scandalo, una crudeltà. Solo nel mese di giugno del 2014, sono state più di 100.000 le persone che si sono battute contro questo rituale. Un numero equivalente a quello degli animali macellati.

Le polemiche

Non solo perché si tratta dell'animale domestico per eccellenza (perché “tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri”), ma anche per i metodi cruenti e le condizioni in cui vengono tenuti i cani da macello. Gabbie troppo piccole, cani maltrattati, ammassati gli uni sugli altri con violenza, talvolta scuoiati vivi perché si è convinti che così si rendano più... afrodisiache le carni. Tutto vero, confermato da video atroci e immagini da brivido. Inoltre, anche per chi non dovesse essere particolarmente sensibile all'argomento, c'è il problema salute: si tratta spesso di animali randagi, e i controlli sanitari lasciano alquanto desiderare. La Cina è il secondo paese con il più alto numero di persone che hanno contratto la rabbia, e la provincia di Guangxi ha il poco invidiabile primato del maggior numero di casi. Yulin, in particolare, è tra le prime dieci città con il più elevato tasso di rabbia riscontrato fra esseri umani.

Cultura e rispetto

L'indignazione aumenta di anno in anno. Ma insieme a questa anche una domanda: e gli altri animali? È vero, il cane è, più di ogni altro, un animale d'affezione, quindi pensarlo come carne da macello causa scandalo nella cultura Occidentale; qualcosa di simile a quanto accade per i cavalli o in talune culture i conigli, o per animali che, dal nostro punto di vista, sono esotici o disgustosi (si pensi agli insetti). È una questione che dipende, più che dalla sensibilità personale, da differenze culturali. E la tendenza a considerare la cultura occidentale come l'unica valida, potrebbe falsare il nostro giudizio. L'interrogativo di fondo è: perché in una società si mangia un cibo e in un'altra no? E secondo quali criteri qualcosa smette di essere semplicemente un animale o una pianta e viene percepito come un alimento? La letteratura su questo argomento è rigogliosa (basti pensare a Buono da mangiare di Marvin Harris, Il dilemma dell'onnivoro di Michael Pollan, Il cibo come cultura di Massimo Montanari, e La storia dell'alimentazione) e non accessoria per abbandonare il pensiero unico. Cambiamento auspicabile: il rispetto che si reclama per gli animali non deve essere, a maggior ragione, preteso per le culture e le tradizioni diverse dalla nostra? E poco cambia se anche in Cina più dell'80% della popolazione si dica contrario a questa manifestazione e si moltiplichino appelli e iniziative per fermarla. L'Occidentalizzazione è cosa fatta. Così il cane è diventato anche il migliore amico dell'uomo cinese, ideale complemento delle famiglie di una borghesia sempre più diffusa. È la globalizzazione, ragazzi.

Igiene, crudeltà e altri allarmi

Si può affrontare la questione da un punto di vista meno emozionale? Parliamo di allevamenti e di condizione di vita degli animali, allora. Parliamo di controlli sanitari, di salute e malattie. In Cina non sembra che esista, almeno in questo caso, un'attenzione sufficiente. Ma da noi? Lasciamo da parte per un attimo la specie animale di cui stiamo parlando e pensiamo solo agli animali in generale. Secondo il CIWF (Compassion in World Farming), gli allevamenti intensivi rappresentano la più grande causa di maltrattamento animale sul pianeta. Il legame animale-terra si è perso. Gabbie sovraffollate e senza luce naturale sottopongono gli animali a strazianti torture. La qualità della loro alimentazione è mediocre. E questo succede all'85% di polli e oltre il 95% dei suini in Italia. I rischi della diffusione di virus e malattie all'interno di queste gabbie è altissimo; senza considerare che le carni di animali allevati in modo intensivo sono meno sane quando non dannose, per l'uomo che le consuma.

Parlavamo di crudeltà. Di procedure disumane. A ben vedere una differenza esiste: c'è chi le pratica per tradizione e chi per lucro.

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