IL CARNEVALE
Gli avanzi di pandoro fanno ancora capolino fra nocciole, datteri e gli ultimi pezzi di torrone rimasti ancorati alla paglietta dei cesti natalizi e, nonostante i buoni propositi post-cenone di iscriversi in palestra, ci si ritrova, a metà gennaio, a doversi confrontare con la cruda, o meglio, fritta realtà: fervono i preparativi per il Carnevale. Proprio così, la festa preferita dei più golosi, un’ode al colesterolo e al diabete. Inno all’olio bollente, la festa del Carnevale fonda le sue origini nel desiderio di abbondanza pre-quaresimale. L’etimologia stessa del nome, dal latino carnem levare (“eliminare la carne”), rende l’idea di quanto il cibo sia un aspetto fondamentale di questa festività: il Carnevale indicava, infatti, il banchetto del martedì grasso, ultimo giorno di abbondanza prima della Quaresima, periodo di digiuno e astinenza per le religioni cristiane.
Il carattere goliardico e godereccio del Carnevale affonda le sue radici in festività antiche, come le Antesterie greche, che venivano celebrate in onore di Dioniso, e i Saturnali romani, dedicati a Saturno; durante queste celebrazioni, lo scherzo, il ribaltamento dei ruoli e lo scioglimento delle gerarchie sociali erano i protagonisti principali. È da questo inno al piacere e alla vita che nasce l’antenato di uno dei dolci carnevaleschi più diffusi in Italia, le chiacchiere. Il loro nome è da sempre causa di malintesi fra persone provenienti da regioni diverse: frappe nel Lazio, bugie in Piemonte e Liguria, cenci per i toscani e sfrappole per gli emiliani. Nonostante i diversi appellativi, la preparazione è la stessa in tutto il paese, con una piccola variante che prevede l’aggiunta di miele per i più temerari amici del Sud.
CHIACCHIERE FRAPPE E CENCI E BUGIE
La ricetta di questa striscia di pastella fritta sembra risalire proprio ai Saturnali. Durante questo periodo, infatti, i romani gustavano le frictilia, dolcetti fritti nel grasso di maiale, quasi a voler sottolineare l’importanza dell’eccesso e della ricchezza della tavola. Le chiacchiere contemporanee sono ancora oggi ricche di grassi ma in genere si friggono in olio.
CASTAGNOLE
Non sono solamente queste ultime a tenere impegnati i pasticceri, ma anche le castagnole e le zeppole trovano il loro posto sulle tavole carnevalesche. Al contrario delle chiacchiere, lungo la penisola per le castagnole le ricette sono molteplici e le cotture diverse. Anch’esse fritte in abbondante olio bollente, possono essere semplici o farcite in diversi modi: con cioccolato, ricotta, crema pasticcera o al limone, o con un cucchiaino di marmellata. Per la copertura, in molti optano per un semplice velo di zucchero semolato o miele d’arancia, ma nelle regioni centrali, sono facilmente bagnate di rum, alchermes o liquore all'anice. I primi scritti su questo dolce risalgono al diciassettesimo secolo e sono stati ritrovati in una provincia laziale. Nell’Archivio di Stato di Viterbo, un manoscritto del Settecento presenta ben quattro ricette di castagnole, fra cui, per la gioia di chi vuole mantenere i buoni propositi, una che prevede la cottura in forno.
ZEPPOLE
Per chi, invece, voglia godersi tutti i piaceri della frittura, last but not least, le zeppole, lussuriosa ricetta dalle origini napoletane. Ci sono varie ipotesi sulla nascita di questo dolce, che convergono quasi tutte sull'origine monastica della preparazione. Dette anche zeppole di San Giuseppe, non sono però state create in origine per il 19 marzo, ma sono parte fondamentale delle pasticcerie regionali in periodo carnevalesco. Riadattate, successivamente, in omaggio al giorno del santo e festa del papà, le zeppole sono fritte, a forma di ciambella, e possono essere farcite con crema e amarena (come nella più ortodossa tradizione partenopea, in cui è presente anche una versione al forno) oppure semplicemente ricoperte di zucchero.
Dunque, dite pure addio al pandoro e iniziate ad arieggiare la casa per accogliere l’odore dell’olio bollente. Unica accortezza: correte a comprare tutto il necessario o sugli scaffali sarà già tempo di colomba pasquale.
a cura di Michela Becchi
Prova del Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico del Gambero Rosso