“A Londra è durata un anno e mezzo. Un'esperienza importante che mi ha fatto capire molte cose”. Esordisce così Bruno Barbieri, per aggiungere subito subito che “Londra non è New York”. Sarebbe a dire che “se vai in alcuni ristoranti italiani a New York mangi come in Italia, l'America ha aperto tanto tempo fa le porte alla cucina italiana, a Londra non è così. C'è meno interesse, soprattutto per la materia prima”. Ma al Cotidie era andato armi e bagagli: “il locale mi piaceva molto e andava, anzi va ancora, molto bene. È stata un'esperienza significativa, ma volevo altro”. Cosa? “Beh intanto tornare a casa. E fare una cosa diversa: per uno come me accettare compromessi, pur se decisi dal mercato, è difficile. Quindi ho venduto la mia quota ed eccomi qui”. E ora? Ora ci sono gli impegni con la tv, Master chef e Master Chef Junior e un progetto completamente diverso, molto più piccolo e semplice. A Bologna.
“Vorrei partire da una vecchia trattoria anni '60, riprendere cose andate un po' nel dimenticatoio e lasciarmi alle spalle tutti quei dettagli e gli obblighi che l'alta ristorazione porta con sé, dal tovagliato alla cantina sterminata a tutto il resto. Oggi la ristorazione deve essere alla portata di tutti. E io ho voglia di un posto intimo, più facile”. Ma come, proprio Bruno Barbieri, il più premiato tra gli chef italiani insieme al maestro Marchesi? “Si lo so, sembra strano detto da me, che probabilmente ho contribuito a creare l'alta ristorazione come la conosciamo, impegnativa e selettiva, ma ora le cose sono cambiate. Se ne accorgono tutti. Le bottiglie da 5-600 euro non le stappa più nessuno e le persone vanno meno a cena fuori, anche perché in Italia si mangia molto bene a casa, e crescono mille attività di ristorazione domestica. Insomma i tempi sono cambiati. Poi è chiaro che esistono ristoranti importanti sempre pieni o che, avendo alle spalle gruppi imprenditoriali forti, hanno una gestione diversa”. Parla dei grandi alberghi? Si, anche. I costi di un ristorante di alto livello sono enormi. “A Londra i costi erano proibitivi: 25 mila sterline al mese solo di affitto, importavamo ogni prodotto. E poi c'era la gestione del personale, che lì ha un approccio ministeriale che per me è improponibile: se il ristorante è pieno non si può andar via anche se il proprio turno è finito. È un lavoro che si fa con passione”.
E proprio questa passione lo ha richiamato in una Bologna che lo chef considera in fermento: “c'è movimento, nascono nuove realtà e poi ora è più connessa con il resto d'Europa grazie ai low cost per tutta Europa. Senza contare il progetto di Farinetti, Eataly World, che porterà con sé altre iniziative. Bologna può tornare quella che era un tempo, èil momento giusto”. E aggiunge che lo sarebbe anche per l'Italia tutta che potrebbe ricominciare a vivere proprio grazie alla gastronomia e a quel che vi è collegato: storia, tradizioni, enologia, agricoltura. “C'è una qualità italiana in ogni settore, di cui ti rendi conto quando sei all'estero. Siamo una spanna avanti agli altri”. E ora vuole riportare questa qualità in casa. Ma a modo suo.
“Voglio cucinare quello che voglio magiare, fine del discorso”. Grandi materie prime, piatti semplici, tortellini, sbrisolona, salumi. I piatti bolognesi. Poche cose, fatte bene per stare bene. Questo ci dobbiamo aspettare dal nuovo Barbieri? “Beh magari con un tocco un po' più moderno. E contaminato a modo mio, con la mia storia, i miei viaggi e le mie esperienze. Ma voglio tornare ai prodotti che non mangiamo più, ai piatti che capisci anche se non sai niente di scienza dell'alimentazione, enologia, teoria della percezione. Penso alla trattoria di Elia Rizzo a Verona. Ecco quello che mi piace”.
La trattoria sembra essere nei desideri di molti grandi chef. Come mai? “Voglio essere più libero nei pensieri e nella vita. Perché la vita (gastronomica) finisce presto, e io voglio continuare a farla come ho sempre fatto, dal Trigabolo in poi: da battitore libero. Lì facevamo quel che ci pareva, ci divertivamo, abbiamo lasciato un segno. Voglio fare le cose che mi piacciono. E se decido di chiudere una settimana devo poterlo fare”. Quale è il prezzo di questa libertà? “Bisogna tagliare tutto il superfluo: locali lussuosi e centrali, menu giganteschi, cantine sterminate, tovagliato di lusso, o 10 tipi di pane diversi. Ne voglio uno solo, stupendo, ogni giorno. E stop. Altrimenti sei obbligato a fare altre mille cose per sostenere le spese. Non mi vedo ad arrivare a 85 anni in cucina, come Marchesi. Voglio essere più libero, e non sono il solo: pensa a Mauro Uliassi che porta in giro la sua cucina mobile. E le persone ci vanno, ci vanno tutti. Io voglio vivere in un modo diverso. Mi ricordo il periodo della Grotta di Brisighella: lavoravamo tantissimo, 190 coperti al giorno. C'era solo il menu fisso che cambiava tutti i giorni, il vino si comprava in un'enoteca vicino. Una bomba. Poi con l'apertura del relais il gioco è finito: i margini erano diversi e l'impegno anche”.
Quindi? “Quindi per il 2014 voglio essere pronto con la mia trattoria, siamo in trattativa per il locale. Me l'immagino intimo con piatti e posate scompagnati, mobili anni '50. Non vorrei neanche il telefono per prenotare: vieni e se c'è posto mangi, altrimenti no. Oppure chiami al negozio accanto, se proprio devi. Una cosa più rilassata, dove se per una sera non ci sono non muore nessuno e la gente viene e sta tranquilla”. E mangia bene.
A cura di Antonella De Santis