Il progetto
Sono tre gli obiettivi del progetto, che punta ad accedere alle risorse del Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (Feamp): recuperare le arti e le tradizioni marinare, istituire dei compiti di tutela da parte degli stessi pescatori, incentivare il turismo sostenibile.
Un'iniziativa nata dal basso, che coinvolge la comunità di pescatori di Letojanni e può diventare un modello di sviluppo sostenibile applicabile anche altrove. Forte dell’iniziativa già avviata alle Isole Egadi con la collaborazione di Riomare, che ha permesso di istituire un'area protetta nelle acque dell'arcipelago, la comunità di Letojanni vedrà l’installazione di fattorie marine (sorta di allevamenti in mare aperto dove i pesci possono riprodursi) a 40 metri di profondità, nello specchio di mare tra le contrade San Filippo (Letojanni) e Fondaco Parrino (Forza d'Agrò): il progetto è già stato inserito dal Comune di Letojanni nel Programma triennale delle Opere pubbliche.
Il marketing socio territoriale
Come spiega l’imprenditore,Filippo Sciacca: “Abbiamo sviluppato un modello, quello del marketing socio territoriale, in cui chiediamo alle aziende di investire nei territori in cui i loro consumatori vivono, attraverso alcune buone pratiche: incentivare la tutela del mare e delle specie animali, creare di orti urbani e polmoni verdi”. Per l’azienda questo significa lavorare sulla brand reputation, cosa diventata fondamentale al giorno d’oggi: con i consumatori sempre più consapevoli dell’impatto delle attività umane sull’ambiente, è importante accreditarsi come marchio che protegge le risorse del territorio.
Ma questi progetti devono essere di utilità rilevante per il territorio, pena il rischio che diventino pure operazioni di green washing. “ll punto di contatto è proprio questo: le aziende devono poter mettere in mostra il proprio vantaggio competitivo, aumentare la visibilità del brand con progetti che colgano l’essenza del marchio e i valori a esso legati. Noi non vogliamo benefattori: quelle esperienze sono one shot. Noi vogliamo costruire un modello che permetta ad aziende e comunità di appropriarsi delle buone pratiche di tutela e valorizzazione del territorio e per fare questo ci vuole un disegno a lungo termine”.
Le fattorie marine e la pesca a strascico
Sono gli stessi pescatori a essersi riuniti con enti e aziende locali, per darsi una sorta di codice deontologico con norme sulle tecniche di pesca non invasive, i periodi giusti per attuarle, quelli in cui ci si deve fermare per il fermo biologico e così via. Anziché chiedere l’istituzione di un’area marina, un procedimento lento e costoso, la creazione di una rete territoriale che metta insieme gli interessi di tutti i soggetti, è sembrata la migliore opzione. “Istituire un’area marina protetta non è cosa facile: l’Italia è un paese eccessivamente burocratizzato e spesso, dopo aver messo il vincolo, la protezione rimane lettera morta” ha spiegato la biologa marinaDaniela Lo Presti, che si occupa delle acque siciliane da anni. “La pesca a strascico, ad esempio, deturpa i fondali e riduce notevolmente il numero dei pesci nel mare: malgrado le operazioni di controllo e dissuasione è ancora uno dei problemi principali”.
Ai confini delle fattorie marine saranno posizionati dei dissuasori: dei plinti in cemento armato “sea-friendly” che saranno ripopolati da pesci e piante in maniera veloce, grazie al fatto che hanno lo stesso pH dell’acqua del mare. Hanno la forma di una piramide e culminano con dei ferri ad uncino, per “incagliare” le reti a strascico. Posizionati sotto costa contribuiranno notevolmente al ripopolamento delle acque: “in tre anni”, ha spiegato Sciacca, “prevediamo il raddoppio della popolazione ittica”.
Il ruolo della pesca tradizionale e del turismo esperienziale
Cosa c’entra in tutto ciò il turismo? C'entra perché spesso, in Sicilia, questa parola è stata sinonimo di approdi di massa, sfruttamento e deturpazione delle coste, di abuso del territorio: ma i trend sono cambiati e c'è molta più attenzione, inoltre oggi i turisti non vanno più in vacanza solo per riposare su una spiaggia assolata. È l’era del turismo esperienziale, in cui il viaggiatore vuole conoscere un posto per quello che è davvero, immergendosi nella realtà locale e praticando attività che gli permettano di scoprire le risorse del territorio e le attività ad esso legate. Ed è qui che interviene la “pescaturismo”, un tendenza molto seguita soprattutto dai paesi del Nord Europa.
La terza fase, ha spiegato Sciacca, “sarà quella di stimolare, attraverso l’associazione dei pescatori e dei lobbisti che si chiama Cammaria (mare calmo), un mercato per il turismo ittico. Sappiamo che ci sono tante persone che ogni anno si spostano per fare pesca turistica: ogni pescatore può quindi portare i turisti a pescare, insegnargli le buone pratiche e il valoredelle risorse ittiche per il suo territorio, cucinando i prodotti del mare direttamente sulla barca”. In questo modo si aumenta il valore monetario delle attività: tutto il ricavato del progetto deve rimane sul territorio. “Si crea una microeconomia, un circolo virtuoso in cui gli interessi economici, anziché distruggere, concorrono a proteggere il mare”.
Se spesso sono stati gli stessi pescatori a opporsi ai vincoli di tutela per paura di conseguenze economiche, il modello dell’associazione che favorisca il turismo ittico può essere uno strumento di mediazione. “La cosa fondamentale” ha spiegato la biologa Lo Presti “è fare uno studio scientifico dell’area, cosa che spesso viene affidata a enti privati e risulta carente. Questo permetterebbe di spostare le attività più inquinanti in determinati punti, dal momento che è impensabile escluderle dall’economia locale e nazionale, mentre le aree più preziose sarebbero sottoposte a vincoli e norme più specifiche, magari concordati con la comunità di riferimento”.
L’importanza della ricerca e della formazione
Altro elemento fondamentale è l’informazione e la cultura del settore ittico, non solo dal punto di vista commerciale ma anche gastronomico. “Spesso sono gli stessi clienti che chiedono ai ristoratori del pesce che in un determinato periodo dell’anno sarebbe vietato e alcuni ristoratori, in maniera illegale, riescono a metterlo in tavola” ha aggiunto Lo Presti. “Ci vorrebbe un piano di formazione culturale per i ristoratori e tutti gli addetti ai lavori e poi controlli più serrati”.
Il modello ideale è quello della creazione di piccole aree marine protette, più gestibili e strutturate in accordo con gli interessi specifici delle comunità. “La speranza” ha concluso la biologa “è che i fondi vengano utilizzati in maniera efficace, impiegandoli nella ricerca e spendendoli per professionalità che diano un quadro approfondito delle attività ittiche delle varie zone e della relazione che c’è fra queste e il tessuto sociale”. Per permettere uno sviluppo delle aree più preziose del nostro territorio che non sia sostenibile solo dal punto di vista ambientale ed economico, ma che lo sia soprattutto dal punto di vista sociale.
Per visionare il progetto www.com-art.it/baia-di-taormina-sostenibile
a cura di Francesca Fiore