La Locanda Mariella è un'insegna storica. Aperta dai nonni della titolare come un'osteria alla buona a Calestano, un paesino di 60 anime a 40 chilometri da Parma. Da un paio di anni però la cucina ha cambiato passo, puntando a una proposta che unisce piatti della tradizione locale, ricchi e opulenti, ad altri più moderni, capaci di affiancare una cantina che conta circa 2mila etichette. Storico motivo di vanto della trattoria che negli anni si è imposta come un punto di riferimento per gli appassionati di vino della zona. Oggi Mariella non teme di aprire a sapori meno tradizionali e prodotti provenienti da lontano: “siamo in un posto fuori dal mondo e ho sempre pensato che il mondo te lo devi portare in casa”. Una filosofia che ha dato i suoi frutti: per noi, oggi, Locanda Mariella è una delle migliori espressioni della trattoria italiana, quella che merita i Tre Gamberi per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso.
Filetto di rombo chiodato, Crema di Zucca e patate, cozze "impepate" e soia affumicata
Quando ha aperto il ristorante?
L'attività l'hanno avviata i miei nonni, era la tipica osteria di paese con la bottega accanto. Un posto di sussistenza, niente a che vedere con quelli di ora. Negli anni '60 i miei genitori hanno cambiato la struttura e aggiunto delle stanze al piano di sopra, però la trattoria come è adesso nasce negli anni '90 quando chiudiamo il negozio. Io ho cominciato proprio in quel periodo.
Come è andata?
Mi ci sono ritrovata e poi mi sono appassionata. Studiavo storia contemporanea all'università e non ci pensavo proprio al ristorante, anzi mi pareva una dannazione. Però mi interessava il vino, che mi permetteva di viaggiare e avere il mio spazio, mentre in cucina era mio padre a dire la sua, e fino a un paio di anni fa ancora lo faceva.
È cambiata l'attività in questi anni?
Sì, è cambiata tanto come lo siamo anche noi, nel modo di concepire la ristorazione, il prodotto e il vino. Prima la linea della cucina era impostata sulla tradizione, e invecchiava insieme a mio padre.
Poi cosa è accaduto?
A un certo punto o si cambiava, aprendosi a persone con una nuova idea di cucina e facendole esprimere, o niente. Prima c'erano collaboratori della zona che ci facevano i piatti tipici, magari non avevano grande tecnica sul resto, ma erano bravissimi sulla tradizione; andati via loro non aveva senso continuare con altri. Quando anche mio padre ha smesso di lavorare è iniziata una nuova avventura. Volevamo colmare la distanza tra cucina e cantina, proporre vini abbinati ai piatti, ma con quelli tradizionali era difficile.
Come è ora la cucina?
Qualche ricetta tradizionale ancora c'è, fatta bene e rivisitata nella presentazione e nella sostanza, più digeribile, leggera e fresca, insomma più contemporanea; la cucina parmigiana è molto dolce, tutta burro, può rimanere in alcuni piatti ma non su tutto il menu, perché chi si alza da tavola deve stare bene. Poi abbiamo piatti nuovi, preparati con materie prime di qua, ma aperti anche alle spezie e ad altri sapori.
Facci un esempio
Questa è zona di pasta ripiena, ne facciamo una con un caprino prodotto da una ragazza di qui vicino con una sfoglia di consistenza diversa da quella tradizionale, curato anche esteticamente, mentre prima la bellezza del piatto non si considerava.
Chi c'è ora in cucina?
Paco Zanobini, un ragazzo giovane con belle esperienze che si è trasferito qui, in un paesino di 60 abitanti. Ora credo che abbiamo raggiunto un felice equilibrio, e finalmente portiamo avanti il discorso che ci interessa fare.
Punti fermi?
Abbiamo sempre avuto una cantina importante, così come abbiamo sempre prestato molta attenzione alla materia prima, tanto che avevamo già avuto i Tre Gamberi nel 2003. Ma si guardava meno alla stagionalità.
Parliamo di prodotto
Ci prestiamo grande attenzione, ma non ci interessa che sia per forza locale, altrimenti sarebbe una proposta molto limitata: qui – a 700 metri - l'orto fatica a crescere bene e se vuoi un buon pomodoro lo devi prendere da un'altra parte. Questa è una zona con un'importante industria alimentare con alcuni grandi prodotti e poche ricette, sempre le stesse in ogni stagione.
Quindi la materia prima locale non è un vostro pallino?
No, non mi interessa che i produttori siano del territorio, ma che siano quelli giusti negli intenti, nel cuore, nel modo di pensare. Per me vale lo stesso discorso del vino: se un buon vino è in Francia lo prendo lì senza tante storie. Siamo in un posto fuori dal mondo e ho sempre pensato che il mondo te lo devi portare in casa, credo all'apertura a prodotti di altre zone e così per le persone, la cultura, la gastronomia.
Cosa è rimasto della vecchia osteria?
Lo spirito, si sta a tavola sempre molto a lungo, stappando bottiglie e chiacchierando, soprattutto se ci siamo io e mio marito. Per noi è la base di tutto: senza socialità non esiste l'osteria.
Quanto conta la location nel successo di un locale come il vostro?
Per noi nulla. Siamo in un classico posto anni '60, non c'è né fascino del rustico né lo stile di un locale moderno. Oggi abbiamo ridotto i coperti ed eliminato tavolate e cerimonie, ma è un posto normalissimo, anche un po' brutto, quello che mi sono ritrovata. La clientela non viene per la location ma per altre cose. Preferisco investire sulla qualità del prodotto.
La clientela come ha reagito a questo cambiamento?
Ora sta cambiando molto, è più giovane e curiosa, soprattutto nel week end tanti vengono da fuori, da Milano, o dalla costa, Carrara o Forte dei Marmi. Poi ci sono gli appassionati di vino, italiani e stranieri, ma quelli c'erano anche prima.
In cosa si discosta il vostro locale dalle insegne tradizionali?
Le vere osterie qui non ci sono quasi più, ci sono tanti posti che vanno incontro al gusto di chi fa la scampagnata della domenica, con grosse tavolate, porzioni abbondanti e vini di grande consumo. È un altro modo di fare ristorazione, che facevamo anche noi. Prima facevamo quel che voleva il pubblico, la torta di mele anche quando le mele non sono il massimo, o il tartufo fuori stagione.
Era più semplice?
Rendeva molto di più di quel che faccio io ora: comunque dobbiamo mantenere un prezzo contenuto, sia perché siamo in un paesino a 40 chilometri da Parma e non possiamo avere i prezzi di città, sia per un discorso etico, vogliamo permettere sia a fornitori che ai clienti di stare bene.
Difficoltà di trovare personale?
Molta più prima di ora, perché è difficile rimpiazzare chi prepara i piatti locali, è una tradizione che si perde. Le scuole di formazione hanno lavorato bene: oggi ci sono più giovani che si avvicinano a noi, anche se rimangono per brevi periodi perché qui non c'è nulla e dopo un po' vanno via.
Dovendo identificare la vostra cucina con un solo prodotto, quale è?
Ovviamente il parmigiano, noi lavoriamo con un caseificio di Ravarano e anche la loro ricotta entra in tantissimi piatti, poi la fassona piemontese della macelleria Brarda di Cavour. Da Bettella, a circa 100 km da qui, prendiamo un maiale allevato come una volta. Abbiamo una carta che cambia molto, anche la patata è un ingrediente fondamentale e poi i salumi e il frutto della lavorazione del maiale.
C'è un piatto che vorreste togliere dal menu ma non potete perché i clienti li chiedono sempre?
Il guancialino di vitello: se lo togli è una sommossa popolare, ma lo fanno ovunque. E poi il piatto che caratterizzava il ristorante, la polentina tenera con fonduta la tartufo, me lo chiedono sempre e non farla mi ha fatto perdere dei clienti, anche perché chi la vuole la trova altrove anche se non è stagione.
Gelato al pistacchio, noci sabbiate, florentin alle mandorle e sfera croccante ripiena di crema liquida alle nocciole
Quale è il piatto su cui avete osato di più?
Tanti, è tutto in continuo cambiamento. Il rischio iniziale c'è sempre ma fino a ora è andata bene anche perché è una cucina molto comprensibile, sempre con i piedi per terra; una cucina di ingredienti non di chimica. Partendo insieme da una base di materia prima di stagione e di tradizione. Per esempio il raviolo di pappa al pomodoro con bisque di aragosta e broccolo selvatico.
Riguardo la cantina, invece?
Ho una carta dei vini “sconsigliati”, abbiamo 2mila etichette di cui almeno 800 ora non comprerei, che non mi rappresentano più, per esempio dal nuovo mondo. Ma raccontano la nostra storia e un po' quella del vino in Italia negli ultimi 35 anni, dalla fine degli anni '80 con le prime guide e l'interesse crescente della ristorazione verso i vini.
Cosa è cambiato?
Ora sento che potrei anche avere meno vini, dopo 35 anni posso fare delle scelte, proporre le cose che mi piacciono anche con più rotazione, fare una mini-carta di vini consigliati; ora penso di avere una certa maturità, prima dovevo imparare e capire. Siamo sempre stati un punto di riferimento per il vino sul territorio, facendo grande ricerca in Italia, Francia, Spagna, acquistiamo direttamente tante cose.
Siete premiati con i Tre Gamberi, la massima valutazione per le trattorie. Non hai mai pensato di spingervi più verso un altro tipo di ristorazione?
Vogliamo restare nel nostro piccolo mondo, ho scelto di fare questo tipo di ristorazione perché volevo fare questo tipo di vita: in campagna, che mi lasciasse due giorni liberi alla settimana per andare a cercare vini e prodotti. Il tempo libero deve essere usato per accrescerti culturalmente. Per come la vedo io il cuoco deve essere al ristorante a disposizione del cliente e non andare in giro, il ristorante è la mia casa, la mia vita e anche chi viene qui fa parte di questo sistema familiare, deve essere in sintonia.
Locanda Mariella –Calestano (PR) - Frazione Fragno, 59 - +39 0525 52102– http://www.hifinews.it/la-locanda-mariella/
a cura di Antonella De Santis