ndi chef ci invitano a farlo già da un pezzo.
Rientra nel famoso discorso di coinvolgere tutti i sensi a tavola, di far giocare il cliente, nell'ottica del recupero del rapporto primordiale con il cibo, quello puro e diretto dell'epoca pre-posate d'argento. Certo a sporcarsi le mani c'è ancora più gusto se chi ci invita a farlo si chiama Massimiliano Alajmo con uno dei piatti simbolo del ristorante Le Calandre: la storica battuta di carne cruda al tartufo nero, servita sulla corteccia d'albero, da mangiare rigorosamente con le mani. O se Alessandro Pipero, nel suo Pipero al Rex, ci dà il benvenuto con una croccante e saporitissima porchetta calda, adagiata su un'essenziale tavoletta di ardesia: riprendere forchetta e coltello per il resto della cena sarà duro.
E tornate pure indietro nel tempo (non troppo però!) ai favolosi funghi fritti da inzuppare nelle diverse salsine di Enrico Crippa di Piazza Duomo o alla naturalissima ed essenziale insalata di alghe, erbe aromatiche e radici di Paolo Lopriore del ristorante Il Canto della Certosa di Maggiano di Siena. O pensate al wafer di foie gras di Mauro Uliassi, mangiarlo con le posate non avrebbe alcun senso, non consentirebbe di cogliere fino in fondo il gioco dello chef, che regala un'esperienza vissuta (tutti noi abbiamo mangiato almeno un wafer nella nostra vita!) con un ingrediente nuovo.
Perché toccare con mano, non c'è dubbio, pone l'accento sull'aspetto conviviale della tavola e ancor di più sull'ingrediente, oggi vero protagonista delle cucine dei grandi. Via forchetta e coltello, dunque, e come si dice...chi non si lecca le dita gode solo a metà!
Sara Bonamini
20/01/2012