Nuovo cambio di rotta per il locale di Prati, a Roma. In cucina, ancora in training, Federico Delmonte, un curriculum di tutto rispetto, esperienza a Londra prima (al Dorchester e allo Zafferano di Locatelli) e in Italia poi, in posti come Pagliaccio, Povero Diavolo, Magnolia, Pinchiorri, e una volata da patron nella sua Fano, con il Vicolo del Curato, che in poco più di un anno di vita ha marcato il territorio e segnalato il profilo di Delmonte. Grande concentrazione sul prodotto (mantra indiscusso di questi Anni Dieci), e un'idea di cucina creativa che punta alla sostanza. Così lo abbiamo lasciato al Vicolo del Curato appena qualche mese fa, nell'agosto del 2013. Da lì in poi, succedono tante cose e approda a Roma. Passa qualche mese e finalmente prende possesso della sua nuova postazione nel locale di Prati, che era stata a lungo di Luigi Nastri prima del suo trasferimento a La Gazzetta di Parigi.
Cosa succederà ora alla carta del locale di Marco Ledda? Chiediamo a Federico Delmonte. Si tratta di programmi più che di certezze salde, visto che sono solo due giorni che è entrato in cucina, “l'idea è di mettere mano completamente alla proposta del ristorante. Solo di quella” aggiunge quando chiediamo se si occuperà anche del resto dell'offerta del gruppo (libreria, officina, gastronomia, bar...). Qualche eredità dalla cucina precedente? “No: ho già una mia identità, qui porto la mia idea di cucina”. Che, come da copione, si nutre delle molte esperienze pregresse ma poi si sviluppa in una direzione originale: “Quella del Vicolo del Curato, che voglio continuare a fare”. Ci vorranno più o meno tre settimane per entrare a regime e cambiare il menu, si procede un passo alla volta, un piatto per volta, “verso metà maggio dovremmo essere pronti”.
Si parte con qualche piatto già rodato, nato nel ristorante di Fano, per poi procedere con altre proposte, molte nate da una riflessione sulla materia prima del territorio. “L'idea è lavorare su un prodotto e da lì creare la ricetta. Vorrei lavorare con il pecorino romano”. Passione per le materie prime povere (meglio un sugherello che un dentice, dice) e poca propensione per le rivisitazioni della tradizione: “che deve rimanere così, perché va già bene così”. E poi il pesce, vista la sua origine.
E anche se il pranzo avrà una proposta semplice, fruibile, i piatti avranno un loro filo conduttore, ci sarà un pescato del giorno (mentre scriviamo mette a punto il trancio spigola, crema di spinaci con biryani e finocchio crudo e cumino), e qualche piatto della sera. A cena il menu avrà non più di cinque proposte per portata e tre degustazione, di cui due – di diversa lunghezza – estratti della carta, il terzo sarà un percorso a mano libera. Una degustazione per chi ha voglia di sperimentare. Quanto lungo? È ancora tutto da vedere, così come il resto. Per esempio eventuali suoi collaboratori o fornitori storici.
Dici Federico Delmonte e pensi ai piatti già visti al Vicolo del Curato: Crudo di ricciola in carpaccio con yogurt aromatizzato, rafano, anice e melone con olio sale e pepe o Battuta di fassona condita con susina a crudo, capperi, colatura alici, tè nero Lapsang Souchong. Poi ci sono gli omaggi alla sua tradizione regionale: il Passatello mantecato con succo succo di rucola, aringa affumicata, salsa al nero di seppia (base cipolla stufata limone burro), o il Filetto di maiale cotto a bassa temperatura, con olio affumicato, dal sentori di grigliato e profumi del masala libanese, con confettura pomodorini, crema di squacquerone, bietola e due tranci di piadina cotta al momento. Il riferimento è la classica piadina con salsiccia bietola e squacquerone. Ma il richiamo delle spezie, per molti, è a Anthony Genovese. Come è stata l'esperienza con lui? “Mi ha dato consapevolezza, e mi ha fatto capire la necessità della ricerca costante della perfezione, ogni giorno, per fare questo lavoro a un determinato livello. Sono arrivato al Pagliaccio dopo l'esperienza di Londra che è stata fondamentale perché mi ha aperto la mente, ma poi ho capito che dovevo tornare per avere un contatto diretto con la materia prima e con il suo luogo d'origine. Cercavo l'identità dei loghi e dei prodotti e sono tornato in Italia. Da Anthony è nato un amore per le spezie, che poi ho approfondito con un lungo viaggio per conoscerne i luoghi di origine”. Poi ci sono stati Pier Giorgio Parini nel 2006, e il Magnolia di Cesenatico con Alberto Faccani con il quale, dice, “ho fatto l'esperienza della gestione della cucina: è stata una grandissima palestra, una crescita in toto”. Poi ancora Pinchiorri e l'Agriturismo Bartolacci, dove faceva una cucina di terra, molto rurale, semplice, ma attenta, tutta concentrata sulla materia prima. Si arriva così al Vicolo del Curato e poi a Roma: “Mi piace tantissimo. Lavorativamente dà molte più possibilità rispetto a un piccolo centro, ma ha ancora una dimensione provinciale per essere una capitale, fatta di piccoli quartieri”. Aspettiamo dunque la metà di maggio per vedere come si inserirà in questo panorama “stimolante&provinciale” il nuovo Settembrini.
Settembrini | Roma | via L. Settembrini, 27 | tel. 06.3232617 | www.viasettembrini.it/
a cura di Antonella De Santis