Musei e servizi aggiuntivi
Pare che il solo MoMA di New York City fatturi tanto quanto tutti i musei statali italiani messi assieme. Da che dipende? Dalla capacità di vendere oggetti di design, di affittare sale, di dialogare con le aziende private e con altre grandi istituzioni. Dal coraggio di ospitare eventi, di ogni tipo, senza per questo essere additati da bacchettoni o presunti tali, ma anche dall’intelligenza di modulare i prezzi e di incentivare la proposta gastronomica. Ebbene sì, è proprio questo il punto. Ed è proprio questo quello che dovranno fare i nuovi direttori, sempre se riusciranno a ottenere, e successivamente a ben direzionare, l’autonomia promessa dal Ministro Dario Franceschini. Ovviamente dando per scontate la gestione economica e quella culturale dei rispettivi musei.
Settore food in ambito museale. In Italia e all’estero
Nell’ambito di questa autonomia, dunque, un grande peso hanno i servizi aggiuntivi che abbiamo sommariamente accennato sopra. E nell’ambito di questi servizi aggiuntivi, il food è la voce più significativa. Significativa sia per fatturato sia per prestigio. Nel mondo sono tantissimi i musei dove il ristorante è motivo di visita e di attrazione pari o superiore alla collezione o alla mostra in atto. Molto spesso gli avventori vanno a provare lo chef e poi decidono di visitare anche il museo. Uno non esclude l’altro, anzi, è una formidabile sinergia tra due mondi apparentemente separati. All’estero l’hanno capito, in Italia sono ancora troppo pochi i musei con una proposta gastronomica interessante (pensiamo al Museo D’Arte Contemporanea di Rivoli con il Combal.Zero di Davide Scabin o il LU.C.C.A. con L'Imbuto di Cristiano Tomei). Nel Bel Paese, purtroppo, siamo all’anno zero. Conoscete per caso il nome del ristorante degli Uffizi? O di quello della Reggia di Caserta? Ed è normale che la Galleria Borghese o Palazzo Barberini non siano dotati di un ristorante valido? Mentre noi siamo agli albori, in Francia allestiscono un ristorante, gestito da Alain Ducasse, nella Tour Eiffel e un albergo a cinque stelle (è notizia recentissima) dentro un’ala di Versailles. Obiettivo? Trovare i soldi per restaurare alcune importanti sale. Il fine meritevole giustifica i mezzi altrettanto meritevoli.
Le dichiarazioni di Sylvain Bellenger, neodirettore del Museo di Capodimonte, fanno ben sperare
Una prima avvisaglia arriva dalle interviste a caldo che i neodirettori hanno rilasciato in queste ore. Si parla un po’ di tutto, ma l’unico che con grande lucidità e concretezza si è addentrato nel terreno è Sylvain Bellenger, il sessantenne storico dell’arte nato in Normandia e proveniente dall’Art Institute di Chicago, che si è aggiudicato la poltrona più prestigiosa del Museo di Capodimonte. Alla domanda “da dove cominciare?” che il cronista del dorso partenopeo di Repubblica gli ha rivolto, il francese ha replicato: “C’è bisogno di una ristorazione di alto livello e di un servizio di ristoro base”. Dimostrando di comprendere, tra le altre cose, anche l’esigenza di far coesistere una somministrazione veloce, dedicata ai visitatori, insieme a una proposta gourmet. Così, coloro che si recano al museo solo per la proposta gastronomica di livello, potrebbero accorgersi della mostra in atto, delle varie conferenze organizzate o per lo meno potrebbero sentirsi parte dell’istituzione-museo. Non a caso l’Art Institute of Chicago, dove Bellenger ha lavorato sino a ieri, conta una ristorazione modulata in tre proposte: ci sono un tapas bar e un ristorante veloce. E c’è il ristorante italiano gourmet, che si chiama Terzo Piano. Tutti gestiti da Tony Mantuano, chef con trascorsi al Pescatore a Canneto sull’Oglio e Da Romano a Viareggio, nonché uno dei principali promotori della cucina italiana negli States ma ciò non ha impedito a Barack Obama di festeggiare proprio da lui la sua elezione nel 2008.
Quanto al MoMA, che abbiamo menzionato in apertura, il ristorante interno si chiama The Modern, aperto ormai 10 anni fa, blasonato, dove i visitatori possono trovare una dining room classica e un bar. E in più è di proprietà di Danny Meyer, uno dei più grandi ristoratori della Grande Mela. Non chiediamo tanto, ma per lo meno qualche cambiamento nel quadro immobile e polveroso dei musei statali italiani ce lo aspettiamo e lo auspichiamo decisamente. Ora non ci sono più scuse.
a cura di Massimiliano Tonelli
Foto apertura: Terzo Piano dell'Art Institute di Chicago