Il tema caldo di questa settimana? La pizza napoletana. Amata, amatissima, ma sempre più di frequente al centro di polemiche, dibattiti, notizie di fantomatiche (e improbabili) leggi che ne avrebbero messo in discussione la legalità e così via. È oggi sotto i riflettori, per via dell'annunciato servizio di Report che andrà in onda domenica 5 ottobre su Rai Tre, così come, per altre questioni, lo è stata ieri e probabilmente lo sarà domani. Basta dare uno sguardo al passato, neanche tanto remoto, per trovare polemiche e allarmismi, fondati e non.
Solo per fare qualche esempio, tempo fa veniva diffusa a gran voce la notizia (poi rivelatesi infondata) della messa al bando dei forni a legna da parte della Commissione Europea. I motivi sarebbero stati di tipo igienico sanitari. Peccato però che la stessa Commissione confermò l'infondatezza delle notizie diffuse in Italia dalla stampa e da altri mezzi di informazione, Internet in primis: la legislazione europea in materia di igiene riguardante i sistemi tradizionali di cottura della pizza era contenuta nella direttiva 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, sull'igiene dei prodotti alimentari (oggi sostituita dal cosiddetto “pacchetto igiene”: Regolamenti (CE) 852, 853, 854, 882/2004, e Direttiva 2002/99). Questa direttiva non stabiliva alcuna disposizione relativa al divieto dei forni a legna utilizzati nelle pizzerie. C'è di più: la direttiva non menzionava affatto i forni, più semplicemente conteneva principi molto generali in materia di igiene dei prodotti alimentari.
Una volta superata la questione igienico sanitaria (infatti tramite il raggiungimento di altissime temperature, 400 gradi, si assicura la distruzione dei microrganismi patogeni, delle spore e delle tossine) è stata la volta della questione ambientale, affrontata nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8 marzo 2002: "Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione". Anche in questo caso ci sono state preoccupazioni inutili: sembrava infatti che i limiti di emissione previsti dal provvedimento dovessero portare i ristoranti e le pizzerie a predisporre un nuovo forno a legna a norma, oppure probabilmente a rinunciarvi, tanto che molte associazioni di categoria chiesero a gran voce delle proroghe. In realtà le cose non stavano proprio così. A una lettura attenta, per la legna da ardere i limiti di emissione erano ben al di sopra di quelli raggiunti dai forni in uso nei pubblici esercizi e nei panifici. Una nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio recitava così: "Non sussistono divieti per l'esercizio di forni a legna ma solo norme che regolamentano le emissioni in atmosfera. Per i forni a legna il rispetto di tali limiti non richiede l'istallazione di sistemi di abbattimento ma solo l'applicazione di buone pratiche di gestione".
In questo potpourri di polemiche e allarmismi non sono stati risparmiati nemmeno i cartoni da asporto delle pizze, i quali sembra contengano sostanze non autorizzate e quindi potenzialmente pericolose per la salute. Gambero Rosso ha approfondito la questione in un articolo del 17 luglio 2014 (vedi nei link a fondo pagina).
È invece notizia di questi giorni (ma è cosa che esperti e addetti sanno ormai da tempo) che la pizza napoletana sia cancerogena per via degli idrocarburi policiclici aromatici. Vero. L’interesse sanitario per gli IPA è legato alla cancerogenicità, sperimentalmente dimostrata, da vari di essi, in particolare dal benzo[a]pirene (BaP), il composto più studiato e generalmente usato come indicatore della classe. Ma dove si trova esattamente? Solo sulla pizza? E in quali quantità? Abbiamo chiesto delucidazioni al CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche. La dottoressa Floriana Boscaino spiega che “negli alimenti non sottoposti a trasformazione, la loro presenza è essenzialmente dovuta a contaminazioni ambientali: atmosferico per grano, frutta e verdura; assorbimento dal suolo contaminato per le patate; assorbimento da acque di fiume e di mare contaminate per mitili, pesci e crostacei. Negli alimenti trasformati o lavorati, invece, le sorgenti comuni sono i processi di lavorazione, come essiccazione o affumicatura, e i trattamenti termici, in particolare la cottura alla griglia, arrosto e al forno, e la frittura. Quindi gli IPA si possono trovare nella pizza napoletana così come in pesci, frutta o verdura provenienti da ambienti contaminati. E sono ancora più presenti negli alimenti affumicati artigianalmente”. Nell'affumicatura tradizionale, il fumo prodotto dalla combustione incompleta del legno arriva a diretto contatto con il prodotto, portando così a un’elevata contaminazione da IPA. Per questo motivo oggi viene usata come alternativa l’affumicatura tramite aromatizzante (il cosiddetto fumo liquido), che risulta efficace nel limitare la deposizione di IPA ma necessita dell'impiego di additivi come nitrati e nitriti. E quest'ultimi se si combinano con le ammine (composti organici presenti soprattutto negli alimenti proteici, come carne, salumi e formaggi) generano sostanze cancerogene chiamate nitrosamine. Quindi siamo punto a capo.
“Per quanto riguarda invece i metodi di cottura, la formazione di IPA dipende da molti fattori: il contenuto di grasso della carne (le gocce di grasso colando sul carbone rovente danno luogo a reazioni di pirolisi, con produzione di IPA che volatilizzano e si depositano sulla superficie della carne), il tempo di cottura e la temperatura. La loro formazione può dunque essere minimizzata evitando il contatto diretto dell’alimento con la fiamma, cucinando a temperature più basse per periodi più lunghi, usando carne a basso contenuto di grasso. Tutte soluzioni incompatibili con una pizza cotta al forno a legna o una bistecca cotta alla brace, per esempio”. Ma allora come si può ridurre il danno? “Quanto meno si deve evitare di 'affumicare' la pizza. Quindi è bene avere dei filtri nel forno che vanno ad assorbire la maggior parte del fumo. È infatti il fumo prodotto dalla combustione incompleta del legno, che arriva a diretto contatto con la pizza, che porta a un’elevata contaminazione da IPA. Poi secondo studi in nostro possesso (Veryand et al del 2013 e Kazerouni et al del 2001) la pizza non è certamente l'alimento con più IPA (0,021 ng/kg di BaP). La superano di gran lunga gli oli, non evo,(0,241 ng/kg) e la margarina (0,151 ng/kg). O ancora la carne alla griglia (0,80 ng/Kg)”.
Il punto è che dagli alimenti si formano molte altre sostanze che bene non fanno: da quelli ricchi di carboidrati si forma ad esempio acrilamide, dai lipidi i perossidi e dalle carni le ammine eterocicliche, tutti questi possono avere, negli anni, un effetto cancerogeno che, è bene ricordarlo, non necessariamente porta allo sviluppo del cancro (questo è una malattia multifattoriale che si sviluppa in concomitanza con una predisposizione genetica). Prendendo l'esempio dell’acrilamide, che secondo il progetto Europeo Heatox Project del 2007 “espone al rischio di cancro gli esseri umani”, questo è un composto chimico presente in un gran numero di cibi fritti o arrostiti, dal pane alla pizza, dal caffè ai cereali per la prima colazione. L’acrilamide si forma con la contemporanea presenza di temperature elevate, carboidrati, grassi e zuccheri. Non è quindi rilevante se si usa un forno a legna o uno elettrico. Allora perché parlare solo degli idrocarburi che si sviluppano nei forni a legna? E dato che si parla di pizza, perché non affrontare anche il tema delle micotossine presenti nelle farine? Non è forse più importante focalizzarsi sul tipo di farine utilizzate per fare pane e pizza piuttosto che sul tipo di forno usato? La realtà è che non abbiamo risposte certe ma solo tante domande. L'unico dato assodato? È sempre bene essere informati sui pericoli causati dagli alimenti, per poi poter fare delle scelte consapevoli senza necessariamente rinunciare a una buona pizza napoletana. Probabilmente la redazione di Report sarà d'accordo con noi.
a cura di Annalisa Zordan
www.gamberorosso.it/app/item/1020047-allarme-sui-contenitori-per-pizze-da-asporto