Regolamento Unesco
Il regolamento impone regole stringenti a minimarket e kebabbari, ovvero quei locali che vendono alcolici anche a notte fonda. L'obiettivo è la difesa dell'aspetto storico del centro ma anche la lotta all'alcol selvaggio. La culla del Rinascimento mette così la parola “fine” alla deregolamentazione degli esercizi commerciali, puntando sull’articolo 52 del Codice dei Beni Culturali (sulle aree pubbliche di valore storico passibili di limitazioni all’esercizio del commercio) e sulle convenzioni Unesco. Perché il patrimonio culturale immateriale (da salvaguardare e promuovere) è formato anche dai negozi storici e dal commercio tradizionale.
Regole che valgono all'interno dell'area Unesco
In sostanza i locali che si trovano dentro l’area Unesco hanno il dovere di non arrecare danno all’immagine della Città. Non essendo, il regolamento, ancora consultabile riportiamo i punti salienti pubblicati in un articolo de Il Tirreno.
Norme anti alcol, norme per il decoro e sanzioni
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Tutti i minimarket devono avere almeno 40 metri quadrati più un bagno per disabili;
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Divieto di vendita di alcol da asporto dalle 21 alle 6;
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Pub e ristoranti dovranno cessare la somministrazione di alcolici dalle 2 alle 6;
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Vietato promuovere la vendita e il consumo di alcolici con promozioni o esposizione in vetrina.
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Entro tre mesi devono essere rimosse le insegne a led e neon. Restano solo le insegne autorizzate;
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Per le attività che vendono alcolici, viene istituito l'obbligo di commerciare almeno cinque delle seguenti tipologie di merci: prodotti da forno, frutta, verdura, gastronomia, latte e derivati, carne e pesce;
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Vietate nuove aperture di money change, phone center, internet point, money transfer e compro oro;
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Vietati slot machine e video poker all’interno delle nuove attività.;
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Divieti speciali sulle nuove attività sul Ponte Vecchio e in via Tornabuoni;
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Tutelati gli esercizi riconosciuti come storici. No ai locali di solo pizza, fast food e self service;
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Dehor chiusi dopo le 23;
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I locali dovranno farsi carico della pulizia esterna e del rispetto della quiete pubblica, anche se si tratta di locali temporaneamente sfitti o non ancora attivi.
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Chi viola le norme sarà punito con multe da 500 a 5mila euro;
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In caso di recidiva, scatta la sospensione dell'attività da 5 a 20 giorni
Deroghe per le attività storiche
Sono esclusi dalla normativa gli esercizi storici di commercio tradizionale e gli esercizi di somministrazione (come i vinai). Il nuovo regolamento introduce i requisiti, da mantenere anche in caso di modifiche, che gli esercizi storici devono avere. Questi, insieme a un elenco con tanto di nomi delle attività storiche, saranno definiti in un disciplinare della Giunta.
Retroattività
L'obiettivo è di applicare il regolamento anche alle attività già esistenti. Il risultato? Oltre duecento negozi del centro storico fuori legge, a meno che non si adeguino entro tre anni dall'entrata in vigore. Molto probabilmente questo punto non verrà accolto, anticipa Aldo Cursano, vicepresidente vicario Fipe e presidente di Fipe Toscana: “Ho forti dubbi sul fatto che il regolamento si possa applicare a tutti quei locali che hanno avuto precedentemente il via libera”. Il principio generale nel nostro ordinamento è infatti quello della irretroattività delle norme. L'altro dubbio riguarda la compatibilità del regolamento con gli Articoli (49 - 55) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Cursano replica così:“Qui non si vieta di aprire locali etnici, anzi, io stesso sono proprietario di un ristorante giapponese (Kome). Con questo regolamento siamo e vogliamo rimanere nell'ambito del decoro”.
Il parere degli operatori del settore
Aldo Cursano, vicepresidente vicario Fipe e presidente di Fipe Toscana
“Il regolamento rappresenta, da una parte, il coronamento di anni di lavoro di Fipe insieme alla Giunta di Firenze, dall'altra la linea di partenza per una riqualificazione dell'immagine del centro storico. Dove proliferano posti che vendono alcol senza criterio, sfruttando molto spesso le debolezze dei giovani”. Cursano parla dei locali che hanno fatto della vendita scriteriata di alcolici il loro core business. “È stato un fenomeno, che abbiamo fatto notare in quanto categoria, fino a oggi subìto e non governato. Finalmente l'ambito Unesco ha creato i presupposti per questo regolamento, che in un certo senso va contro alla banalizzazione dell'offerta, combattendo prima di tutto la distribuzione di alcol in maniera sregolata. Poi, colpendo questi luoghi, si va a legittimare i locali storici o i bar che possono accogliere i clienti e somministrare”.
Ma vietare non significa proporre un'alternativa, anzi, si rischia così di spopolare il centro storico. “Vero, però è altrettanto vero che nel momento in cui si pone fine a questo abbassamento di qualità, le offerte alternative avranno la meglio”. Come? Dato che molti locali storici hanno chiuso prima dell'avvento dei minimarket, il più delle volte per questioni economiche. “Innanzitutto ci auguriamo che ci sia un passo in avanti, verso la qualità, anche da parte della clientela”. A questo proposito, con questo regolamento si alza l'asticella della qualità dell'offerta gastronomica? “Come ben capite, questa non si può regolamentare, tanto meno si possono vietare le aperture di locali con proposte gastronomiche mediocri. Quello che può fare il legislatore è incentivare i virtuosi – includendo anche gli etnici che lavorano in questa direzione - attraverso delle agevolazioni economiche, magari eliminando i costi di occupazione del suolo pubblico o inserendo questi posti nel circuito turistico. La stessa Unesco predispone, mettendolo nero su bianco, degli incentivi”. Per ora i locali realmente legati al territorio e alla sua storia sono riconoscibili dal marchio “Vetrina Toscana”.
Nico Gronchi, presidente Confesercenti Firenze
“Abbiamo sempre sostenuto che le liberalizzazioni si sono trasformate, nel mondo del commercio, in una corsa alla deregulation totale con il risultato di avere tolto a Regioni e Comuni la possibilità di regolare e decidere lo sviluppo delle Città. Tutto questo ha prodotto in molte città italiane, e in particolare in quelle a forte vocazione turistica, un'esplosione di offerta soprattutto nel settore food e ristorazione. In città come Firenze questo si è tradotto nel fatto che ormai si può mangiare quasi a ogni numero civico del centro, e ovviamente non sempre regna la qualità”. Tornando però al regolamento, basta dunque vietare un tipo di attività per sostenere, automaticamente, la “qualità” di altre? “Non credo, così come non penso che l'obbligo dei 40 mq rappresenti una soluzione. Regolare nuove attività commerciali attraverso la dimensione è esattamente quello che l’Europa ha contestato quando si è trattato di discutere le norme, quindi ancora non sappiamo se attraverso il Codice dei Beni Culturali si potrà rimettere un limite di questo tipo”.
Una cosa certa, invece, è il fatto che quella individuata dal Comune di Firenze sia una strada coraggiosa, oltre a rappresentare un messaggio forte nel volersi riappropriare dell’onore-onere di decidere lo sviluppo della città: “La strada maestra resta la tutela delle città, una cosa che in molte realtà europee hanno capito prima e bene, tanto da investire in maniera forte sulla qualità urbana, cercando di riportare in centro funzioni, residenza, servizi e commercio, perché un bel ristorante in una piazza o in un quartiere degradato non funziona”.
Umberto Montano, presidente e ideatore del Mercato Centrale
È uno dei tre imprenditori (visionari?) che hanno ridato vita al Mercato Centrale di Firenze, un luogo, restituito ai cittadini, interamente dedicato ai prodotti tipici e alla tradizione toscana, con botteghe, ristoranti, enoteca e scuola di cucina. Esempio concreto di un percorso verso l'offerta di qualità. Che ne pensa Montano del regolamento Unesco? È un passo in avanti (concreto) o parla (come troppo spesso accade) in politichese? “Non posso parlare del regolamento, non lo conosco, ma voglio entrare nel merito della mentalità del nostro Paese, nel quale tutti si lamentano di tutto ma poi, non appena si impone una regola, cercano il modo di aggirarla. Il punto è che dobbiamo abituarci a rispettare le regole altrimenti l'Italia non uscirà mai dalla mediocrità”.
Le regole ci devono essere e, se possibile, dovrebbero puntare ancora più sulla qualità dell'offerta. Ma esiste, concretamente, un modo per farlo? “La qualità non è legata solo all'offerta ma è connessa anche alla domanda. Purtroppo non c'è ancora una cultura incentrata sulla qualità, la maggior parte dei nostri giovani non sa distinguere un vino cattivo da uno buono. Per non parlare delle scuole alberghiere italiane, praticamente delle barzellette, tant'è che quasi nessuna attività economica reperisce il personale da queste”. Dunque, esistono dei criteri tangibili per dimostrare la qualità? “La trasparenza potrebbe esserlo, così come la certificazione di provenienza delle materie prime. Se poi devo rispondere se si può fare un distinguo legislativo tra chi fa qualità e chi non la fa, in questo caso rispondo candidamente di no”.
a cura di Annalisa Zordan