Protagonista del nostro focus è uno dei piatti più popolari della cucina romana e dello street food capitolino, parente stretto delle arancine siciliane e delle palle di riso campane. Il supplì è un piatto umile, casalingo, tra gli antipasti tipici delle pizzerie – più che dei ristoranti – compagno fidato di pizza al taglio e altri golosi cibi da passeggio.
A Roma è, da diversi anni, strettamente legato a un nome e un cognome, quelli di Arcangelo Dandini, oste e ristoratore, capace di raccontare in modo contemporaneo storie e tradizioni laziali (ne sia un esempio il Il mio viaggio a Rocca Priora) e che ha portato sulla tavola del suo locale del Rione Prati proprio il supplì, nobilitato in un goloso trittico in compagnia di una crocchetta di patate e un croccante di mandorle e colatura di Alici. Ma questa è solo una delle ultime versioni del Supplizio, a oggi il supplì classico si affianca a una versione bianca conrigaglie di pollo, una crocchetta di patate e crema fritta, poi ancora pecorino, cannella e zucchero. Un mix pieno di sapori evocativi e suggestioni che inaugura il nuovo corso di questo che è sempre più tra i signature dish di Arcangelo, che lo ha scelto anche come nome della friggitoria di imminente apertura, di cui abbiamo già ampiamente parlato. Il Supplizio è – soprattutto - una creatura multiforme e mutevole, in continua trasformazione che ha, come punto di partenza, il supplì. Il famoso supplì di Arcangelo.
A lui chiediamo di svelarcene i segreti. Per capire in che modo preparare questo piatto domestico, che in molti casi è il naturale sviluppo degli avanzi del risotto, spesso strategicamente preparato in abbondanza proprio per dare ai resti questa onorevole e golosissima sepoltura.
“Quando penso al supplì penso a un risotto arricchito” dice Arcangelo “È un po' l'anello di congiunzione tra il riso al salto lombardo e sartù napoletano con un'ideale aggancio all'arancina”. Ma è una pietanza ricca di sapori e di equilibri delicati. Centrare quelli significa avere una buona possibilità di fare un buon supplì.
Partiamo dal riso, che deve essere quello da risotto: carnaroli, eventualmente vialone nano. Ma come scegliere un buon riso? Nella risicoltura l'acqua è un elemento fondamentale, è importante che sia pura e controllata, meglio ancora se di sorgente. Così sia: “tra i miei fornitori una riseria che ha sette sorgenti naturali nell'area in cui coltiva il riso”. Così l'acqua assorbita dalle piante è pura e ricca di elementi, e il riso di conseguenza.
Il riso poi deve essere stagionato almeno sei mesi o un anno. Con l'invecchiamento l'amido migliora, diventa meno solubile, così come le proteine. Il risultato è che si insaporisce meglio e mantiene moltissimo la cottura, un fattore indispensabile per la buona riuscita del supplì.
Il primo passaggio è la tostatura del riso, fatta a secco, quindi senza aggiungere alcun elemento grasso. “Questo passaggio serve per essiccare amido all'interno”. Dice Arcangelo. Quando è pronto? “Lo capisco dall'odore, di amido”.
Si fa una brunoise di sedano e poca cipolla, senza carota “perché non serve un altro elemento dolce oltre a quelli già presenti”. Inizia così il gioco dei bilanciamenti dei sapori. Si aggiungono i durelli di pollo, che danno una nota amarognola, tritati della grandezza di un centimetro circa, quando iniziano a colorarsi si regola di sale. Quindi si aggiunge una salsiccia di maiale macinata grossa, sbriciolata a mano. La scelta della carne è fondamentale perché deve dare carattere al sugo prima e al supplì poi. “A volte cambio la carne, magari aggiungo carne di manzo”. Dipende dal gusto personale, ma secondo Dandini serve lo spunto amarognolo e una bella nota grassa per reggere la cottura, e deve essere di maiale: “così abbiamo un grande ragù”.
È il momento di inserire un elemento aromatico, che è dato dai semi di finocchietto selvatico.
A questo punto si aggiunge il pomodoro. Sugo fresco o passata? “Dipende dalla stagione”. Attenzione anche qui alla scelta: il supplì vuole una spinta acida, non prendete un ciliegino o un pachino, “altrimenti esce fuori una marmellata”. Il ragù deve essere nervoso, dare carattere al supplì e tenere testa sia alla componente grassa che al fritto portando in equilibrio i sapori. Usando un pomodoro dolce il piatto sarebbe troppo carico.
Quando il pomodoro inizia a bollire si butta il riso e si fa cuocere. Senza risottare, ma semplicemente in immersione. A cottura ultimata si spegne la fiamma, si aggiunge basilico e parmigiano. Quale? “Dipende dalla sensibilità di chi fa il piatto, per me deve avere almeno 24 mesi di anni di stagionatura per bilanciare gli altri ingredienti, ma non oltre i 36... quei parmigiani preferisco mangiarli anziché usarli per cucinare”.
Lasciare riposare coperto per circa tre minuti. È il momento di stendere il riso su un piano e lasciare che si freddi. Bisogna avere pazienza, fare il supplì non è cosa breve: per farne 150 Dandini impiega più di tre ore e mezzo. I supplì al telefono hanno un cuore filante, quello del fior di latte nascosto al centro del riso. Fior di latte, non mozzarella di bufala, “era questa la tradizione romana, la diffusione della mozzarella di bufala è arrivata molto tempo dopo” aggiunge. Attenzione: il fior di latte deve essere asciutto, meglio farlo riposare dal giorno prima per eliminare l'acqua. La panatura è con uovo e pan grattato. La frittura con olio di semi di girasole alto oleico. Olio di oliva? “Ho provato” conclude lo chef “ma è troppo invadente come sapore”.
L'Arcangelo | Roma | via G. G. Belli, 59 | tel: 06.3210992
Supplizio AD | Roma | via dei Banchi Vecchi, 143 | prossima apertura
a cura di Antonella De Santis
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