Oscar Farinetti ha deciso: cambia vita e si dà al green. Così emerge dalle notizie, sempre più insistenti, di una svolta verso la sostenibilità nella sua nuova impresa che dovrebbe vedere la luce a fine 2017. L'avventura su strada di Oscar Farinetti con Eataly, il megastore del buon cibo da cui è uscito da una manciata di mesi, è durata meno di 10 anni, se iniziamo a contare dall'apertura del primo negozio al Lingotto di Torino nel 2007, a circa 3 anni dalla nascita del progetto, ora saldamente in mano ai figli (che detengono circa il 60% delle quote societarie) e al presidente esecutivo Andrea Guerra. Una trentina i negozi oggi operativi, indirizzo più indirizzo meno, e tante ancora le aperture in programma a fronte di una quotazione in borsa data sempre più per imminente. Senza contare il progetto Fico di Bologna, in ritardo sui tempi previsti, che vede ancora coinvolto Oscar Farinetti a pieno ritmo.
La svolta green
Dalle prime notizie della sua uscita dal colosso di “alti cibi” (come recita l'insegna), e forse anche prima, si sono susseguite notizie sul futuro dell'imprenditore piemontese: già prima di “autorottamarsi”, lasciava intendere che una fase di stanca era in agguato “la creatività è finita: dopo 10 anni bisogna cambiare”. Così mentre inanellava aperture su aperture iniziava a lavorare al suo nuovo progetto che, pur mantenendo un richiamo con il cibo, non si occuperà di agroalimetare, ma di “beni durevoli”. Si chiamerà Green Pea (il marchio è stato registrato da quasi 3 anni) e sarà un superstore della sostenibilità, una sorta di Muji green, di Ikea solidale: biciclette, auto elettriche, abbigliamento con tessuti derivanti da coltivazioni e allevamenti biologici, cosmetici, giocattoli, complementi di arredo bio, senza collanti e da materiali scelti in modo responsabile per non gravare sull'ambiente. Ovviamente il tutto con un controllo sull'impatto ambientale già a partire dalla struttura, che metterà in atto strategie di produzione energetica da fonti rinnovabili, come fotovoltaico e mini pale eoliche, e una nuova area verde sul tetto. Fino ad arrivare alla palestra all'ultimo piano (dove ci saranno anche ristorante e Spa) collegata a un sistema di produzione energetica attraverso tapis roulant e cyclette.
Lo storytelling
Mentre ancora non è chiaro se il progetto farà sue dinamiche che sono state di Eataly (per esempio l'acquisizione, totale o parziale, delle aziende produttrici e l'assorbimento di parte della filiera; l’imprenditore è in questi giorni in Brasile e non è riuscito a rispondere alle nostre richieste di chiarimento) Farinetti fa sapere che la chiave di volta per richiamare l'interesse dei consumatori sul green è la narrazione (del resto la vulgata vuole che sia proprio grazie alla sua capacità affabulatoria che ha ricevuto non pochi favori, per esempio la concessione gratuita per 60 anni della storica sede di Carpano a Torino, a fronte di una ristrutturazione di 11 milioni di euro). Insomma: sarà lo storytelling a rendere accattivante e desiderabile il prodotto sostenibile, che finora nel mercato del non alimentare stenta a decollare come dovrebbe, nel momento in cui verrà declinata tutta la sua storia. E sembra che l'Oscar nazionale abbia iniziato a raccontarne il prologo e i temi fondamentali.
Parola chiave rispetto
Gli slogan ci sono, e sono efficaci, come quello per cui l'obiettivo ultimo e la molla di tutto deve essere il rispetto della natura e dell'ambiente, ma non solo: a leggere tra le parole dell'ex patron di Eataly si scorge un approccio più ampio, che include anche il riguardo per le cose, il bene comune, le regole. “Trasferire il valore del rispetto dal senso del dovere a quello del piacere” dice, e chiarisce “deve diventare figo comportarsi bene”. Sono parole di Farinetti che in una recentissima intervista a L’Espresso ha proprio detto chiaro e tondo di essersi “stufato” di quello che fa oggi, che mescola con abilità marketing e mosse da capitano d'impresa (si vocifera che per Green Pea il suo investimento si aggiri intorno ai 50 milioni di euro), mentre ammonisce che “l'uomo di impresa deve occuparsi dei valori della società” soprattutto dopo i molti danni che sono stati fatti negli anni '70 e '80 di cui ancora si pagano le conseguenze. Economiche, ma non solo: disparità, disuguaglianze, debito pubblico, mancanza di coesione culturale e sociale. In più occasioni Farinetti ha dichiarato che guardando all'Italia che si sta consegnando alle nuove generazioni, emerge con forza l'esigenza di un cambio di rotta e di una presa in carico di un miglioramento complessivo. Che parte proprio dal rispetto. Quel rispetto che deve diventare cool. Chissà che questo non comporti anche un cambiamento nell'approccio del Farinetti imprenditore, che ha in più riprese dichiarato di aver aperto alcune sedi di Eataly senza avere in mano tutti i permessi e le licenze necessarie. E che è stato più volte oggetto di critiche per questioni legate alle forme contrattuali applicate e alle condizioni lavorative, fino allo storico sciopero di Firenze del 2014.
Una location simbolica
Quello che molti vedono come la terza fase o il piano C di Farinetti, dopo Unieuro ed Eataly, per la sua prima apertura sceglie uno spazio simbolico, accanto alla sede storica di Eataly Lingotto, dove tutto è iniziato. A sancire una vicinanza non solo fisica, ma che definisce l'idea di un mega concept store in grado di prendere in carico tutti gli aspetti della nostra quotidianità. Chissà se gli altri negozi (il progetto non si limita certo alla città della Mole) saranno comunque affiancati alle sedi del superstore del cibo o è solo una fortunata opportunità colta al volo per tenere a battesimo quella che per qualcuno potrebbe essere un'Ikea del green, e non solo un'Eataly del non food.
a cura di Antonella De Santis