“Chi è uso alle rape non vada ai pasticci”. È l'ironico epitaffio sulla tomba del contadino Bertoldo, protagonista di un racconto di Giulio Cesare Croce (pubblicato nel 1620), morto per aver mangiato cibi non adatti alla sua estrazione sociale. Un tempo, infatti, ogni cibo aveva una connotazione specifica e persino le diete prescritte dai medici rispettavano le differenze sociali: in questo caso il pasticcio è un tipo di alimento adatto ai nobili, di contro le rape sono connesse alle classi sociali inferiori.
L'opulenza del pasticcio
Da questo racconto si evince che il pasticcio era roba da ricchi, o quanto meno un cibo concesso nei banchetti di nozze. Ma che cosa si intendeva esattamente per pasticcio? Era quel che oggi chiameremmo timballo o meglio torta salata, quindi un involucro di pasta (dura e dolce) ripieno degli ingredienti più disparati, dalla selvaggina al pesce, dalla verdura fino alla frutta. Così si evince dalla ricetta del pasticium nel “De re coquinaria” di Apicio. Confermata, qualche secolo più tardi, anche da Maestro Martino che però lo chiama pastello, e che lui propone di cervo, di vitello, cappone o qualunque altra carne di uccelli (inseriti vivi!), di pesce o di mele cotogne. O addirittura di creste e testicoli di gallo. Se poi, il pastello, veniva fatto con l'anguilla, chissà perché Martino lo chiamava proprio pasticcio. Insomma una preparazione che rappresenta da sempre opulenza e che nei secoli si è prestata a libere interpretazioni, come quando si è cominciato a utilizzare più strati sottili e friabili oppure quando si sono inseriti i maccheroni all'interno; dietro questa variante c'è un matrimonio.
L'introduzione dei maccheroni
Il tipico piatto ferrarese ha, infatti, origini lontane: leggenda narra che questo piatto sia frutto di un matrimonio, quello tra Eleonora d'Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, ed Ercole I d'Este nel 1473, un'unione che ha dato vita a scambi culturali fra le due signorie. Questo spiegherebbe l'inserimento nella ricetta del pasticcio (molto in voga nelle corti ducali) dei maccheroni, un tipo di pasta diffusa al Sud. Il risultato? Un piatto dalla preparazione molto laboriosa. Lo scrive anche Pellegrino Artusi ne “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”: “I cuochi di Romagna sono generalmente molto abili per questo piatto complicatissimo e costoso, ma eccellente se viene fatto a dovere, il che non è tanto facile”. La ricetta infatti prevede maccheroni, parmigiano, animelle, burro, tartufi, e ancora prosciutto, funghi, rigaglie e creste di polli, noce moscata. Il tutto racchiuso nella pasta frolla. Artusi dà anche un consiglio pratico sui maccheroni: “A mio giudizio, i maccheroni che meglio si prestano per questa pietanza sono quelli lunghi all’uso napoletano, di pasta sopraffine a pareti grosse e foro stretto perché reggano molto alla cottura e succhino più condimento”. Del pasticcio di maccheroni, attualmente, ci sono diverse varianti, alcune comprendono i funghi, come la ricetta dell'Artusi, altre la besciamella. Qui la nostra versione (facilitata).
Pasticcio di maccheroni
Ingredienti per la pasta frolla
300 g di farina
50 g di burro
100 g di zucchero
3 tuorli d'uovo
Scorza grattugiata di 1 limone
Sale
Per il ripieno
400 g di maccheroni
100 g di burro
200 g di ventrigli di pollo puliti
200 g di fegatini di pollo
1/2 cipolla
brodo di carne
Passato di pomodoro concentrato
100 g di parmigiano grattugiato
Sale e pepe
Burro e pangrattato per lo stampo
Preparate una pasta frolla con gli ingredienti indicati (vedi ricetta). Per il ragù, tritate finissima la pancetta insieme alla cipolla, al sedano e alla carota. Scaldate il burro in un tegame e fatevi appassire dolcemente il trito. Proseguite la rosolatura per circa mezz'ora in modo che la cipolla cuocia lentamente e solo a questo punto unite la carne macinata sminuzzandola bene, rialzate la fiamma e continuate la rosolatura, mescolando spesso, fino a quando la carne avrà preso colore. Insaporite con sale e pepe e bagnate con il vino. Appena è sfumato, unitevi il concentrato, diluito in una tazza di brodo caldo, abbassate la fiamma al minimo e proseguite la cottura per circa due ore aggiungendo ogni tanto poco brodo caldo tenendo presente che alla fine il ragù dovrà risultare piuttosto denso. Fate cuocere la pasta, scolatela al dente e conditela con il ragù e con il parmigiano. Dividete la pasta frolla in due pezzi di cui uno il doppio dell'altro, stendete quello più grosso in un disco dello spessore di tre o quattro millimetri e foderate uno stampo da zuccotto ben imburrato. Riempitelo con la pasta condita e copritelo con il secondo pezzo di pasta frolla steso a disco. Ritagliate l'eccesso di pasta tutto intorno e sigillate bene i due strati. Con i ritagli, formate un cordoncino e attaccatelo tutto intorno con un goccio d'acqua. Sforacchiate la superficie con uno spiedino e mettete il pasticcio nel forno a 180° C, lasciandolo cuocere per circa tre quarti d'ora. A cottura ultimata, toglietelo dal forno e lasciatelo riposare per una decina di minuti prima di sformarlo.
a cura di Annalisa Zordan
foto di apertura: www.prolocoferrara.it