Olio di Palma sì, olio di Palma no
Lo scorso 10 febbraio presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II si è tenuta una giornata di informazione e di approfondimento intitolata "Olio di Palma sì, olio di Palma no" sulle varie criticità collegate all'uso dell'olio di palma nel campo salutistico-nutrizionale e al suo impatto a livello ambientale ed ecologico. Subito dopo è circolato un comunicato dove si affermava che l'olio di palma non fa male se lavorato con adeguati controlli tecnologici e rimanendo al di sotto dei 200° C. Noi ne abbiamo parlato qui. Ma abbiamo volutamente omesso un altro punto del comunicato che diceva: “La sua assimilazione giornaliera, con il consumo di prodotti confezionati, sarebbe piuttosto limitata, se confrontata all’assunzione di grassi saturi derivanti da alimenti come carne e formaggi. Anzi, poiché i bambini avrebbero particolare necessità di acidi grassi saturi nelle prime fasi di vita, secondo gli esperti l’olio di palma potrebbe addirittura svolgere un ruolo positivo: è infatti ricco di acido palmitico, lo stesso che compone fino alla metà dei grassi presenti nel latte materno”.
Per chiarire questo punto, per noi sospetto, abbiamo contattato Gabriele Riccardi, ordinario di Malattie del Metabolismo presso l’Università Federico II, presente al convegno in veste di relatore. Che ci ha confermato ogni dubbio. Ovvero che tutti i relatori presenti hanno sottolineato come, pur senza voler lanciare anatemi e liste di proscrizione, sia necessaria una certa cautela nell’uso dell’olio di palma e degli alimenti che lo contengono. Tra questi sono presenti prevalentemente prodotti da forno, creme spalmabili e merendine preparati a livello industriale.
I valori nutrizionali dell'olio di palma
L’industria alimentare preferisce l’olio di palma ad altri grassi perché costa poco ed è in grado di dare consistenza cremosa o croccante agli alimenti. Tuttavia, l'olio di palma presenta un contenuto di acidi grassi saturi- i grassi che favoriscono l’innalzamento dei livelli di colesterolo nel sangue - superiore alla maggior parte degli altri oli usati in alimentazione, quali olio d’oliva, olio di semi di girasole, olio di soia e olio di mais e, rispetto a questi, un minore contenuto di acidi grassi mono/polinsaturi che contribuiscono, invece, a mantenere il colesterolo sotto controllo. Solamente il burro ha un contenuto percentuale di acidi grassi saturi simile a quello dell'olio di palma. Ma, punto primo: quanti di noi mangiano alimenti realizzati col burro tutti i giorni? E in quali quantità? Invece sono sicuramente tanti coloro che, ogni giorno, ingurgitano olio di palma sotto forma di alimenti trasformati. Punto secondo: la quota di acido palmitico nel burro è circa la metà rispetto a quello contenuto nell'olio di palma. Questo va debitamente considerato giacché ricerche recenti hanno dimostrato che non tutti i grassi saturi hanno gli stessi effetti negativi per la salute umana e per il sistema cardiovascolare; infatti, mentre alcuni di essi- in particolare l’acido palmitico – contribuiscono ad aumentare significativamente i livelli di colesterolo, altri, come l’acido stearico (contenuto, ad esempio, nella sugna) sono relativamente meno dannosi.
Il consiglio all'industria alimentare: sostituite l'olio di palma
L’acido palmitico è presente anche in altri alimenti come la carne e i prodotti caseari (formaggi, latticini, burro, creme) ma è particolarmente abbondante nell’olio di palma (si chiama acido palmitico proprio per questo). Alla luce di queste considerazioni appare logico raccomandare all’industria di sostituire, quando possibile, l’olio di palma con altri grassi che, anche se più costosi, sono certamente più salutari in quanto in grado di contribuire a mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo riducendo, così, il rischio cardiovascolare. Occorre, però, considerare che gli alimenti contenenti olio di palma forniscono, in media, soltanto circa il 10 % del totale di acidi grassi assunti dalla popolazione adulta in Italia (nei bambini e negli adolescenti il suo contributo è significativamente più elevato); tuttavia, essendo principalmente rappresentati da prodotti industriali in gran parte utilizzati a fini voluttuari, sono anche quelli che si possono più facilmente limitare. Infatti, altre fonti di grassi saturi- come i derivati del latte o la carne- contengono proteine nobili e altri nutrienti che giustificano ampiamente la loro presenza, sebbene in quantità moderate, nella dieta abituale.
Non è solo un problema di acido palmitico
E ancora una volta sottolineiamo che i potenziali problemi per la salute dovuti a un eccessivo consumo di olio di palma sono legati anche al suo contenuto di tre sostanze tossiche (una delle quali classificata come genotossica e cancerogena) appartenenti al gruppo dei glicidili esteri. Pertanto il consumo abituale di prodotti alimentari contenenti quantità rilevanti di olio di palma viene indicato come potenzialmente rischioso soprattutto per bambini e adolescenti da parte dell’Autorità per la sicurezza alimentare europea (EFSA) in un documento che richiama l’attenzione sulla presenza nell’olio di palma di questi tre contaminanti che si formano nel processo di raffinazione ad alte temperature (200°C) di oli vegetali. L’EFSA ha focalizzato l’attenzione sull’olio di palma perché le quantità in esso presenti sono di gran lunga superiori rispetto agli altri grassi vegetali: 6 – 7 volte superiore rispetto all’olio di mais, alle miscele di olio per friggere e almeno 70 volte rispetto all’olio di oliva. Insomma, olio di palma sì o olio di palma no? Il convegno ha lasciato la risposta, come ovvio, ai singoli consumatori. Anche perché le informazioni condivise con i partecipanti consentono a ciascuno di fare la scelta giusta che, come sempre in ambito nutrizionale, non può che basarsi sul senso dell’equilibrio e la razionalità.
a cura di Annalisa Zordan