Marco Carboni, ventottenne modenese, dopo aver lavorato in cucine blasonate, affiancando chef di livello tra cui Jordi Vilà, Massimo Bottura, Gordon Ramsay e Jamie Oliver, decide di intraprendere la carriera di fotografo. E l'ha fatto senza rinnegare il suo passato, diventando così food photographer.
Parlaci del tuo primo amore, quello per il cibo.
Come milioni di giovani, dopo le superiori sono andato a Londra e lì, per mantenermi, ho cominciato a lavorare dietro ai fornelli. Da pura necessità è diventata un'autentica passione. Ho lavorato per un anno al Bistrot Aix con la chef Lynne Marie Sanders,di impostazione ducassiana, poi sono volato a Barcellona dove ho avuto la fortuna di lavorare con Jordi Vilà dell'Alkimia. Qui ho imparato a comporre piatti tipici della cucina catalana, con quel tocco di modernità, freschezza e leggerezza che caratterizzano Jordi.
Perché sei ritornato in Italia?
Perché non sapevo cucinare italiano! Era davvero giunto il momento di dedicarmi alla cucina italiana. Sono sempre stato affascinato dalla cucina di Massimo Bottura, una sera andai a cena all'Osteria Francescana e gli chiesi se potevo fare uno stage da lui. Massimo dopo un po' di titubanza mi rispose “se ti dicessi di venire domani mattina saresti pronto?”. Così cominciai l'indomani e poi venni assunto. Il clima all'Osteria Francescana è fantastico, il team è giovane e pieno di creativi, è ben lontano dai blasonati patinati, qui ci si sente in famiglia. Mi è infatti dispiaciuto andarmene ma volevo gestire una cucina da solo, per mettere in pratica ciò che avevo imparato fino ad allora, così sono andato a lavorare come sous chef alla Locanda del Feudo. Purtroppo non era ancora ciò che volevo. Il lavoro di cuoco è stupendo ma è veramente duro, gli orari sono massacranti e non ti permettono di sviluppare altre passioni al di fuori di quella per la gastronomia.
Poi ti sei dato al mondo del vino.
Durante le pause dai fornelli avevo già cominciato a fare il corso per diventare sommelier. Degli amici nel frattempo hanno aperto un locale, L'Église Café, e qui ho curato l’Enoteca Regionale. Ciò nonostante non riuscivo ancora a vedere un futuro, soprattutto in Italia. Sono ritornato nuovamente a Londra ma con nuove intenzioni e una nuova passione, che in realtà ho sempre avuto: la fotografia. Per mantenermi ho continuato a fare il sommelier, lavorando per Gordon Ramsay e poi per Jamie Oliver, con il quale mi sono trovato benissimo tanto che ho collaborato con lui anche in veste di fotografo.
Londra ti ha accolto nuovamente a braccia aperte anche in questa tua nuova avventura all'insegna della fotografia?
Direi di sì. Ho iniziato come assistente di Patrick Lindblom, importante fashion photographer londinese. È successo un po' per caso: stavo in un club e abbiamo cominciato a parlare, poi gli ho scritto per tre mesi e il quarto mese, forse per sfinimento, mi ha assunto come suo assistente!
Poi ti sei dedicato al food?
Nel mondo del fashion mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Non vedevo l’ora ci fosse il pranzo, e mi accorgevo che alla gente che mi circondava non importava assolutamente nulla. Mi sono detto che così non poteva andare, perché era come rinnegare il mio passato. Quindi mi sono dato al food e ho avuto la fortuna di fare da assistente a Jason Lowe, il food photographer più conosciuto d’Inghilterra. Ora collaboro a molti progetti, è una strada ancora tutta in salita.
È da escludere un eventuale ritorno ai fornelli?
Assolutamente no. La mia ragazza Carmen e io organizziamo delle serate in stile supper club, dove amici e amici di amici vengono a cena da noi. Uno dei miei sogni è quello di aprire un ristorante; prima di morire lo farò.
Se ti dicessimo Food Porn?
Come tutte le mode, passerà. Poi rimarranno solo quelli che hanno una reale passione per il cibo, quelli che lo percepiscono come una vera e propria scelta di vita. Purtroppo e per fortuna, oggi i mezzi sono accessibili a tutti, ma solo chi fa eccellenza nel proprio campo - dal fotografo, allo chef, al giornalista - riesce a distinguersi. L’accessibilità facile non impedisce ai veri professionisti di realizzarsi.
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a cura di Annalisa Zordan