Lo è sia nei pensieri, nelle idee, che negli insegnamenti. Oggi l’Università di Parma gli conferisce la laurea in Scienze Gastronomiche honoris causa. Un evento per l’Italia. Un avento che abbiamo commentato con quattro dei suoi migliori allievi e oggi tra i più acclamati e tra loro diversissimi cuochi italiani: Paolo Lopriore, col suo stile espressionista-concettuale (Il Canto dell’Hotel La Certosa di Maggiano | Siena); Carlo Cracco, elegante sperimentalista (Cracco | Milano); Enrico Crippa, anima orientale ed estetica della nuova cucina italiana (Piazza Duomo | Alba); Pietro Leeman, guru dell'alta cucina vegetariana (Joia | Milano)... La parola a loro.Â
Qual è, oggi, il vostro rapporto con Marchesi?
Paolo Lopriore
«Magico. Ogni volta che ho un problema, chiamo lui e me lo risolve. Dà sempre un senso all’idea».
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Carlo Cracco
«Molto bello e intenso. Allo stesso tempo libero»
Enrico Crippa
«Lui mi ha imi ha iniziato professionalmente a via Bonvesin de la Riva a Milano, poi negli anni è diventato un riferimento, l'esempio da seguire, cui si vorrebbe assomigliare. Un esempio del genere racchiude in sé la formula per andare avanti e migliorare sempre».
Pietro Leemann
«Ho lavorato da lui nel 1985 per me è stata un momento fondamentale della mia carriera. A quel tempo Marchesi era promotore di una rivoluzione nell'ambito della cucina italiana e già allora era un uomo di grande cultura, in grado di vedere con grande lucidità la situazione della cucina italiana da allora e la direzione verso la quale avrebbe potuto evolversi. Prima di lui lavoravo in u importante ristorante in Svizzera, quindi sono entrato con un bagaglio di conoscenze tecniche, lui mi ha insegnato a pensare alla cucina. È un cuoco famoso, ma è soprattutto un pensatore e un filosofo in cucina. C'è un grande legame, ogni volta che vedo Marchesi, anche se ci siamo visti mesi prima, sembra che sia passato poco tempo. È un'affinità molto forte, anche se la mia cucina è andata in una direzione diversa rispetto al suo pensiero, e che va oltre il fatto di essere stato suo allievo. Tra l'altro la settimana prossima cucineremo insieme in casa mia in Svizzera per la tv svizzera, un'occasione per parlare di cibo e alimentazione e non solo di cucina».
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L’insegnamento fondamentale che vi lascia?
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«L’ho capito quest’anno e voglio metterlo in pratica il prossimo: il cuoco è un lavoro di tutti. Noi lavoriamo per la prossima generazione e non per noi stessi. Lavoriamo per chi verrà e non per chi sta. Il nostro lavoro, quello del cuoco, va consolidato per la prossima generazione. Lui è il massimo esempio di questo».
«Eleganza e pulizia nei piatti. È stato un esempio grande in questo. La dua pulizia e la sua eleganza sono davvero unici»
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«Gualtiero Marchesi ha la capacità di individuare il carattere delle persone che lavorano con lui. Non ha un metodo classico, non insegna e allo stesso modo a ognuno a realizzare un piatto. Ricordo che lanciava continui input mentre parlava, stava a me riconoscerli e metterli a frutto. Molte cose le ho capite pienamente dopo, quando sono andato a lavorare in uno dei ristoranti in Giappone, a Kobe».
«Il pensare prima di agire. Una ricetta è giusto che sia istintiva se si appoggia alla tradizione, ma se lo stile di cucina va in direzione nuova è importante che ogni cosa venga pensata molto bene. Un'altra cosa che mi ha insegnato e che cerco di mantenere sempre è la gentilezza e il rispetto verso tutti e in ogni circostanza».
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Il senso, secondo voi, di questa laurea?
«Finalmente vengono riconosciuti i cuochi in questo Paese! Il signor Marchesi si porta dietro un pezzo di storia. Negli altri Paesi i riconoscimenti ci sono, nel nostro ancora no. Non è la dottrina, ma la Storia, i fatti che parlano».
«Non saprei cosa rispondere. Ma sicuramente una cosa bella è che si tratta della prima volta che in Italia un cuoco prende la laurea honoris causa».
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«Forse finalmente si è capito che è l'unico grande maestro della cucina italiana. Uno personaggio rivoluzionario che ai tempi non è neanche stato completamente compreso, forse proprio perché era troppo avanti rispetto ai tempi. Qualcuno si è accorto del suo modo incredibile di insegnare, che riesce a far emergere le caratteristiche di ognuno. Basti pensare che in pochi anni hanno lavorato con lui, oltre me, Lopriore, Oldani, Cracco, Leeman. Nomi di rilievo del panorama attuale della cucina italiana, ma ognuno con una filosofia assolutamente personale di cucina».
«Marchesi sostiene che per i cuochi per imparare c'è la scuola e i ristoranti, ma ci poi quando si inizia a lavorare nei grandi ristoranti è come frequentare in una specie di università. Lavorare con lui è sempre stato come fare un corso di filosofia applicata. E questa laurea è la conferma di questo».
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Qual è un vostro piatto che parla di lui?
«Difficile. Ma credo sia l’insalata di alghe, la massima semplicità e insieme il piatto più criticato. Credo sia l’essenza di Gualtiero Marchesi».
«Forse il risotto e la milanese, sono i piatti che mi sono rimasti più attaccati. Il riso per il modo di farlo e svilupparlo. La Milano, perché è il piatto che quando ero giovane mi ha più colpito quando ero da lui: molto alta e leggermente rosa, fantastica. Non per la difficoltà, ma era bello come con un solo taglio avesse fatto la differenza. La faccio ancora e come la faceva lui. Ho aggiunto un piccolo tocco: lui usava solo la costola che poi tagliava a cubi e la ricomponeva. Io prendo tutta la lonza, che è anche molto costosa, e ritaglio più cubi che non assemblo. Ma non cambia nulla, "solo" il taglio».
«Gualtiero Marchesi mi ha insegnato a riflettere sull'intera composizione di un menu, i passaggi e le regole fondamentali. Ma se devo dire un solo piatto, gli dedicherei quello presentato alla cena delle Tre Forchette di Roma, la tinca in carpione. In questo piatto si incontrano la cura per l'estetica del piatto di stampo giapponese, il legame con la tradizione alla terra che mi ospita, il Piemonte, e un rimando al famosissimo risotto con la foglia d'oro».
«Tre anni fa, in occasione dei suoi 80 anni, gli ho dedicato un piatto: “omaggio a Gualtiero Marchesi”. Un primo con crema di patate che ha all'interno un pesto di nocciole piemontesi e sopra una spuma soffice di tartufo pregiato di Norcia. Un piatto che gioca con le consistenze, le morbidezze ak cui interno si nasconde un cuore ricco di carattere. È in carta ancora oggi perché è richiestissimo».
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Chiudiamo con un pensiero di Paolo Lopriore che va al nocciolo dell'insegnamento del Mastro:
«Voglio citare un pensiero di Escoffier che ho appena letto: “Se noi continuiamo a dire di sì a tutti, facciamo sì che il nostro diventi un mestiere e non più un’arte”. Ovvero che puntiamo più ad assecondarle che non a farle gioire. Anche questo è Gualtiero Marchesi».
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Antonella De Santis | Stefano Polacchi
9 ottobre 2012