Quique Dacosta
Partiamo dalla fine, dall'intervento conclusivo della prima mattinata di Madrid Fusion 2018, che può dare indicazione di quali fuoriclasse la corazzata Spagna sia ancora in grado di sostenere e sfoderare. Così dopo vari anni di assenza da questo palco, Quique Dacosta arriva in grande forma a delineare lo stato attuale del suo tempio gastronomico di Denia (Comunità Valenciana): barba curata, camicia bianca d'ordinanza, tra i decani dell'avanguardia spagnola, presentato da un video immaginifico da superstar che anticipa il contenuto della sua ponencia, il sale.
Dopo tanti risultati consolidati, Dacosta si fa forte di uno stile indiscusso e celebrato da tutto il mondo e che potrebbe bastargli per arrivare alla pensione. Cambia invece le carte in tavola, presentando i risultati concreti di numerosi esperimenti sulla salagione del pesce, che vanno a modificare nel profondo alcuni grandi classici delle conserve di mare, a partire dalla bottarga. Dopo 3500 anni (pare che già gli egizi consumassero bottarga), arriva finalmente Quique Dacosta a dirci che l'uso aggressivo del sale per la disidratazione totale delle sacche ovariche non ci rappresenta più, non è lo specchio dei nostri tempi, e per gusto e per la perdita della sua funzione originaria, quella della conservazione in assenza di tecnologie per il controllo della temperatura. Non è certo il primo a riflettere sull'argomento (in Italia ci basta il nome di Gianfranco Pascucci a ricordarci la riflessione sull'affinamento del pescato), ma lo fa in maniera organica, presentando, con una precisione empirica che molto contraddistingue gli chef spagnoli, i vari risultati di sapore e consistenza ottenuti lavorando il pesce con una nuova ottica sull'uso del sale.
Bottarga 2.0
E così abbiamo le uova di muggine, lavate con acqua e sale e seccate per due giorni all'aperto, che diventano una bottarga umida e cedevole; l'enorme sacca ovarica della mulva (pesce atlantico di grandi dimensioni) affinata per avere una texture cremosa, che ricorda quella della torta del casar (o per fare un paragone nostrano, del gorgonzola al cucchiaio). Le uova di baccalà, marinate con pimentón, sale e zucchero, assumono forma e corpo di una sobrasada maiorchina (nell'aspetto come la nostra 'nduja), ma Dacosta non si ferma a bottarghe et similia, lavorando sulla stagionatura del pesce come fosse quella del maiale. Ed è proprio il maiale del mare, il tonno, il protagonista: utilizzando una sorta di camera di affinamento fatta di sale, ma senza porre il pesce a contatto diretto con quest'ultimo, ecco la splendida ventresca di tonno stagionata cinque mesi, sfruttando la circolazione dell'aria e l'asciugatura naturale dei liquidi; il filetto di tonno rosso, affumicato per 24 ore, quindi inserito in un tunnel di sale, sempre senza contatto diretto e sempre lasciando la pelle, che, con la sua componente grassa, mantiene la barra dell'idratazione. C'è la parte finale del lomo, dal sapore sanguigno e selvaggio, curata per una settimana con erbe aromatiche, per addomesticarne il sapore. E pure il polpo, salato con acqua di mare, stagionato un giorno e poi passato alla fiamma diretta per 5 minuti: non ha perso idratazione in una stracottura tradizionale e contiene ancora tutta la sua acqua, addirittura lacrima all'interno.
Il Portogallo
Arriva finalmente il lato b della penisola iberica, spesso ingiustamente trascurato nei grandi consessi gastronomici internazionali: è il Portogallo e la sua cucina di pesce a far capolino sul palco di MF - grazie anche, ricordiamolo perché senza il sostegno delle istituzioni non si va lontano, all'Ufficio del Turismo di Lisbona - schierando tre dei suoi interpreti più noti e attivi nella capitale, che vive uno stato di grazia gastronomico e un'apertura anche nel pubblico più conservatore alla cucina di ricerca. Una cucina che, nelle parole di José Carlos Capel, critico gastronomico de El Pais, oltre a essere il fondatore di Madrid Fusion, "non teme confronti e può guardare da pari le altre grandi correnti europee".
Joâo Rodrigues
Il primo a intervenire è Joâo Rodrigues, del Feitoria di Belém, ristorante in cui il culto della materia prima e del piccolo produttore assume valenza identitaria. È per il recupero del gesto, Rodrigues, del rapporto diretto con pescatori e contadini, della conoscenza profonda dei meccanismi e delle difficoltà che sottostanno alla produzione del cibo. Fattore da comunicare ai propri clienti, anche con un ritorno dell'artigianalità in sala: ecco così comparire (anche qui, ci verrebbe da dire, pensando a Riccardo Camanini) una pressa con cui si estraggono i succhi delle teste grigliate dei gamberi imperiali, che vanno ad arricchire i gamberi stessi, con un utilizzo del brodo molto tipico nella gastronomia portoghese.
Alexandre Silva
Una rivisitazione del passato è presente anche in Alexandre Silva, del Loco (dal latino "luogo", non derivato di locura), insegna che da un paio d'anni è andata ad arricchire la scena gastronomica lisboeta nel barrio di Estrela. Il ritorno all'infanzia di Silva, contraddistinta da una memoria gustativa dell'acido e delle acidità, come metodo di conservazione, ci riporta anche qui a quanto sta avvenendo in Italia con la ricerca del background gustativo salentino di Floriano Pellegrino al Bros di Lecce. Altro punto di congiunzione l'uso diffuso del garum, che Silva estrae da vari pesci, dalle ostriche al baccalà. Nella ponencia del cuoco portoghese questo filone si esemplifica in un'interessante escabeche (o scapece), in cui le componenti acide e grasse dell'antica tecnica di "cottura" sono entrambe ottenute da un'alga locale. Così nel piatto presentato abbiamo ostrica con olio, acqua e aceto (tutti e tre di alga) e una spruzzata finale di garum che è il cappello finale di un crescendo 100% iodato.
Henrique Sá Pessoa
Diverso il tenore dell'intervento di Henrique Sá Pessoa, celebrity chef con all'attivo libri, show televisivi e vari locali, tra i quali la tavola gourmet Alma e gli informali Tapisco e il box nel Mercato da Ribeira, gioiellino gastronomico cittadino. Il suo è un twist on classic, una rivisitazione in piena regola di un grande classico della ricettistica portoghese, il bacalhau à Braz, sorta di golosissimo pastone di baccalà, cipolle, patate fritte, uova e olive nere. Se non tocca nel cuore la ricetta tradizionale - pericolosissimo reintepretare il baccalà, in Portogallo, terreno minato come da noi la pasta! -Sá Pessoa sicuramente la migliora nella tecnica, cercando di tenerne la cremosità molto evidente, e la raffina nella presentazione, utilizzando una sfoglia di baccalà e olive nere, che alla vista va a ricordare la calçada portuguesa, ossia i decori dei marciapiedi che contraddistinguono le città lusitane.
Il Disfrutar di Barcellona
Cucine diverse tra loro, accomunate dalla spinta all'innovazione e da una sorta di omogeneità generazionale: Madrid Fusion quest'anno ha come tema il futuro visto dalla quarta generazione di chef (la conta comincia in ottica iberica, da quando Juan Mari Arzak e compagni cominciarono a dar lustro alla grande cucina dei Paesi Baschi). Della quarta generazione spagnola fanno sicuramente parte Oriol Castro, Eduard Xatruch e Mateu Casañas (unico assente), i tre bullinians cuore e anima del Disfrutar di Barcelona, tra le tavole più acclamate dalla critica gastronomica oggi.
Tutto il contrario dell'immediatezza e della venerazione del prodotto cui siamo abituati oggi la prima parte della loro ponencia, prepotentemente dominata dall'utilizzo di una macchina coreana chiamata OC'OO che praticamente unisce in sé le cotture a pressione, a vapore, in ceramica, con controllo di tempi e temperature. Una macchina che i tre utilizzano per stravolgere texture, sapore e colore di vegetali e frutta, per ottenere succhi, caramelizzazioni ed estratti dal gusto concentrato, che però, dopo 7, 14 addirittura 17 ore di cottura appaiono tutti dello stesso colore scuro (quasi nero), togliendo poesia cromatica e, probabilmente, componenti nutrizionali ai cibi. Divertente, invece, e qui ritroviamo finalmente lo spirito burlone della cucina di Adria, il gioco sull'uovo fritto, stravolto con tuorli non tuorli dai colori cangianti e dai sapori sorprendenti, dal salmone al pesto, dal tartufo alla barbabietola.
Il Giappone che diverte e si diverte
Giocoso (contro ogni aspettativa) anche il primo momento dedicato al Giappone, nazione ospite di questa edizione. Ad aprire gli interventi del paese che non smette di ispirare i grandi cuochi di tutto il mondo è Zaiyu Hasegawa, del ristorante Den di Tokyo, locale diventato famoso per un menu degustazione, ispirato al tradizionale Kaiseki, che rivisita lo spirito nipponico secondo contaminazioni internazionali e istanze della contemporaneità. Partito dal servire piatti tradizionali, Hasegawa ha viaggiato per il mondo, assorbito ispirazioni, per rivoluzionare la sua cucina, rendendola tutt'altro che rigida e granitica come codice nipponico imporrebbe. Così sul palco arrivano delle alette di pollo fritte ripiene di riso - in pieno stile USA, con tanto di scatolina alla KFC - che nel menu sostituiscono il riso che prepara alla degustazione del matcha.
Non cambia negli anni l'assetto classico della giornata congressuale, con il pomeriggio dedicato a varie esperienze regionali della penisola iberica. Si parla di tapas con alcuni chef andalusi, dell'importanza delle fibre con Mario Sandoval del Coque, di diritto all'immaginazione con la fenomenale Elena Arzak, di pasticceria e di esperienze di nuovi format, dalla cucina in sala di Es Molí d´en Bou (Mallorca) all'alta cucina informale del Singular di Iñigo Lavado a Irun.
a cura di Pina Sozio
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