Dal Perù a Wall Street e ritorno. Lei è la prima donna distillatrice di pisco e la sua storia sembra la trama di un film. Nata a Ica, in Perù, trasferitasi in giovane età negli States con mamma, papà e sorella, un giorno ritorna in patria, come ogni anno durante le vacanze estive - “mia mamma ha sempre voluto mantenere il legame con il nostro Paese d'origine” - e nel corso di un pranzo in famiglia aggiunge un po' di pisco al suo gelato. Da lì l'illuminazione: portare questo prodotto cento per cento peruviano negli Stati Uniti. Già, però lei aveva solo dodici anni. Passano gli anni, Melanie Asher si diploma in un campo particolare, chiamato Comparative Area Studies, una specie di storia specializzata solo in alcune aree geografiche, inizia a lavorare a Wall Street, concentrandosi sui mercati emergenti dell'America Latina, e si laurea ad Harvard dove redige il business plan della sua futura azienda. Idee chiare. Basti pensare che nel suo armadietto di scuola, invece di tenere le foto della boy band di turno, esponeva Donald Trump.“Fin da piccolina sapevo di voler diventare un'imprenditrice e lui era la mia massima aspirazione. Era ovunque a promuovere il suo brand, ha pure fatto una comparsata in Mamma ho perso l'aereo 2!, era determinato e vero leader. C'è da dire che all'epoca non c'erano donne imprenditrici, altrimenti la foto nell'armadietto sarebbe stata diversa”. Ma torniamo alla sua intuizione, quella di individuare una nicchia nel mercato nordamericano totalmente inesplorata.
Macchu Pisco
Prima del 2004, quando Melanie ha iniziato a muoversi per introdurre Macchu Pisco (questo il nome del suo brand) nel mercato nordamericano, la categoria del pisco era piccola e poco conosciuta, nonostante quel mercato si dimostrasse assai interessato a tutto quello che ruotava attorno a cocktail&spirits. Una base solida per gli affari dell'ex niña terrible - “così mi chiavano a Ica” - alla quale si aggiunge la conoscenza della vinificazione, appresa in Francia, dove ha trascorso un po' di tempo nelle cantine Mouton Rothschild e Lafite Rothschild. “Queste conoscenze sono state essenziali, dato che il primo passo per la produzione di pisco è creare un vino giovane, da distillare successivamente”. Di lì a poco il business diventa cosa di famiglia: la sorella Lizzie è presidente della società che ha base sia in Perù (per la parte produttiva) che in America (per la parte logistica), mamma e papà le hanno dato il loro sostegno e la nonna di 98 anni la appoggia con il suo mantra: “un sorso di pisco ogni notte è quello che mi ha mantenuta giovane”. “Mia nonna degusta ogni blend della nostra linea ultra-premium, La Diablada, prima che venga ufficialmente imbottigliata”. Tutto molto bello, non senza le difficoltà iniziali del caso.
Un pisco buono, etico e autentico
“Fin dall'inizio ho voluto integrare la qualità all'autenticità e all'etica, ideando una società verticalmente integrata, per garantire il controllo su gusto, qualità e valore a ogni passo del processo produttivo. Da sempre, poi, ho voluto pagare salari equi alle donne che facevano la vendemmia. Il che ha costituito un precedente per gli standard delle condizioni di lavoro peruviane. Ci siamo dovuti scontrare contro la resistenza delle altre aziende che comprano l'uva cercando di mantenere bassi i costi a scapito dei lavoratori. Noi vogliamo semplicemente creare posti di lavoro per garantire una reale qualità di vita ai nostri dipendenti, per produrre un pisco di cui andare orgogliosi”. Melanie è anche attivamente coinvolta in organizzazioni che promuovono il commercio equo nel suo paese d'origine e le donne latino-americane nel mondo degli affari.
Le origini del pisco
Ma vediamo cos'è il pisco? E quali sono le sue origini? Una delle versioni più accreditate - anche se i vicini cileni rivendicano a loro volta la primogenitura – racconta che si tratta di un distillato nato alla fine del XVI secolo, sotto la dominazione spagnola. I colonizzatori introdussero la coltivazione della vite per produrre in loco l’aguardiente che non riuscivano a far arrivare dalla madrepatria. Senza sapere che stavano inaugurando una storia che nei secoli avrebbe unito due culture, quella iberica e quella andina. Sì, perché ancora oggi la coltivazione della vite prospera nei dipartimenti di Lima, Ica, Arequipa, Moquegua e le valli di Locumba, Sama e Caplina in Taca. Ovvero le zone dove si coltiva l’uva pisqueras dal cui mosto fermentato si ricava, per distillazione, il pisco, nome che deriva da quello del porto da cui si esportava: Pisco, una città a circa 200 chilometri a sud di Lima. Melanie aggiunge un tassello in più alla storia: “In pochi sanno che il primo centro di viticoltura nel nuovo mondo doveva essere Machu Picchu, ma purtroppo (o per fortuna) ad alta quota le vigne non resistevano all'inverno, così vennero trapiantate a valle di Pisco. Ecco spiegato il nome del nostro brand, che vuole essere un inno alla storia della viticoltura in Perù”.
La vendemmia e la produzione
Le vendemmia avviene fra febbraio e marzo - “durante questo periodo ci avvaliamo anche di cinquanta persone” - ed è proprio in questi mesi, caratterizzati da molte feste popolari, che inizia la distillazione. Le uve impiegate dall'azienda sono quattro: quebranta, moscatel, albilla e italia. E vengono usate o singolarmente o in blend. “Produciamo tre pisco differenti: Macchu Pisco, il nostro monovitigno a base di uva quebranta; Diablada, con un blend delle quattro uve come suggerito da nostra nonna fan del pisco; Nusta ottenuto da uve italia, che necessita di circa 15 chili di uva per bottiglia, più di un cognac”. Quest'ultimo è stato introdotto nel 2016 con una produzione di sole 200 bottiglie. Davvero poche se paragonate alla produzione totale che conta 100.000 bottiglie, con acquirenti da tutto il mondo, compresi Australia ed Emirati Arabi Uniti. “In questo momento il nostro brand è presente negli Stati Uniti, Inghilterra, Italia, Francia, Dubai, Hong Kong, Thailandia, Singapore e Australia. Vendiamo ogni bottiglia che produciamo e tutte le nostre bottiglie incarnano l'uva e la terra che hanno dato loro i natali. In realtà, la nostra sfida più grande, ora, è stare al passo con la domanda! La particolarità del nostro pisco è che il tempo di riposo supera di gran lunga i dictat della DOO (simile alla nostra DOC). Secondo i quali il prodotto deve riposare minimo tre mesi prima di essere imbottigliato. Noi lo facciamo riposare per circa un anno”. Parla del loro prodotto base. “Per quanto riguarda La Diablada, gli anni diventano due, e per la Nusta tre”. Un tratto davvero distintivo, che ovviamente si percepisce soprattutto degustando.
Le note organolettiche
Va bevuto a piccoli sorsi, per coglierne tutti gli aromi. Ma qual è la particolarità dei loro pisco? “Ovviamente ciascuno dei tre ha delle caratteristiche ben precise ma il fil rouge è che in generale risultano più leggeri rispetto ai pisco che si trovano attualmente in Perù, quelli che ti tagliano le gambe. Ho cercato di ritornare ai pisco che bevevano i nostri nonni, decisamente più delicati, recuperando la lunga esperienza peruviana. Ecco perché il periodo di riposo è così lungo ed ecco perché ho un gran rispetto dell'uva che utilizzo”. A coronare questa bella storia, i molti riconoscimenti: l'ambasciata peruviana l'ha nominata nel 2013 La donna imprenditrice peruviana dell'anno negli Stati Uniti", nel 2016 è stata selezionata come una delle dieci migliori distillatrici donne nel mondo da The Spirits Business journal. E il ministero degli Esteri del Perù l'ha premiata per il suo impegno volto alla promozione della cultura peruviana.
a cura di Annalisa Zordan