LSDM 2018 report. Prima giornata: Joshua Pinsky, Heinz Beck, Corrado Assenza, Mauro Colagreco

24 Mag 2018, 10:00 | a cura di

Prima giornata del congresso LSDM di Paestum, dove si ragiona sulla cucina mediterranea con i suoi prodotti più importanti, non più solo mozzarella, ma anche pasta, pomodoro con una riflessione profonda e produttiva sulla contaminazione e l'uso della tecnica.

 

LSDM numero 11. O prima edizione, volendo accogliere come spunto per la ripartenza l’auspicio che Albert Sapere annuncia sul palco, ampliando le ambizioni delle Strade della Mozzarella al più lungimirante acronimoLe Strade del Mediterraneo. Sempre di rotte gastronomiche si tratta, ugualmente aperte all’importanza della valorizzazione territoriale e culturale che scaturisce dal cibo. Ma su scala mediterranea, perché il messaggio del congresso acquisti più forza da quella circolazione di idee che da secoli influenza e contamina le cucine del mondo. Sui palchi di Paestum, nelle sale rinnovate dell’Hotel Savoy, il valore della dieta mediterranea - al motto di Eat Well, Stay Well - è declinato in due giornate dense di relatori in arrivo dal mondo, che probabilmente definiscono i confini (di fatto annullati dall’approccio cosmopolita che negli anni si è fatto stradatra le priorità degli organizzatori Barbara Guerra e Albert Sapere) dell’edizione di LSDM più internazionale di sempre.

Le linee guida per gli chef, che siano ambasciatori della Campania e dei prodotti del Sud od ospiti in arrivo dall’altra parte del mondo, sono quelle tracciate dal decalogo che scandisce il Manifesto del cuoco moderno. Quindi sinergia con il territorio, le sue tradizioni e i produttori che preservano le filiere locali, ma anche apertura mentale e curiosità di scoprire nuove culture gastronomiche; capacità tecnica, mai fine a se stessa, ma al servizio di una cucina del benessere che sia fisico quanto mentale, perché chi siede in tavola apprezzi il prodotto nella sua integrità, possa divertirsi grazie a nuovi spunti e tornare a casa appagato, ma leggero. In modi diversi, tutti affrontano i temi di cui sopra, li sviluppano accordando preferenze al mondo vegetale o interpretazioni personali della tradizione (che non è mai ferma, si sente dire a più riprese), che però conservino l’integrità della materia prima (anche quando dietro c’è molta tecnica per raggiungere il risultato finale) e la riconoscibilità del piatto. La mozzarella di bufala, prodotto principe del Cilento che ha fatto da culla alla manifestazione negli ultimi 10 anni - lasciandola libera di viaggiare per portare nel mondo la voglia di crescere del territorio campano e dell’Italia tutta della ristorazione e dell’agroalimentare - c’è, com’è giusto che sia. Ma non è più l’unica protagonista.

Pasta e riso. Dall’Italia al mondo, e ritorno

E così, simbolicamente, il congresso 2018 inizia in Sala delle Foglie con un piatto di pasta, per giunta realizzato da un cuoco straniero, che in Italia è arrivato per la prima volta proprio per raccontare la sua ricerca a Paestum. JoshuaPinsky, da Momofuku Nishi, propone la sua versione di una Cacio e pepeche sostituisce il formaggio con una crema di ceci fermentata: un gioco sull’umami e la possibilità di ricreare una ricetta tradizionale adattandola alla disponibilità degli ingredienti sul territorio, in Giappone come a New York. Il suo è un divertissementche può funzionare solo grazie alla suddetta apertura mentale, alla voglia di sperimentare e alla creatività incanalata in anni di esperienza nella squadra di Momofuku, sotto l’egida di David Chang. A New York, qualche tempo fa, la Ceci e pepe ha stupito i giurati del contest Primo piatto dei Campi, che Pastificio dei Campi ha promosso insieme alla James Beard Foundation. Convincente la piacevolezza dell’insieme, interessante l’idea di rendere omaggio alla cucina italiana (e alla pasta che oggi a New York conquista un numero sempre maggiore di proseliti) ma mettendoci dentro il proprio vissuto.

Sarà questo uno dei fil rouge della prima giornata: lo scambio vicendevole tra Italia e resto del mondo, con gli chef stranieri che traggono ispirazione da quello che nei secoli abbiamo seminato intorno, e i (moderni) cuochi italiani sempre più curiosi di scoprire all’estero gli spunti che possono aiutarli a ripensare le tradizioni regionali della Penisola. Di pasta, non a caso, racconta anche Daniel Berlin, (Daniel Berlin Krog, Skåne Tranås) che dalla Svezia arriva portando l’esperienza di un ristorante contemporaneo di grande successo (recentemente insignito con la seconda Stella Michelin), e un’idea che a centinaia di chilometri di distanza lo accomuna alle ricerche di molti chef di casa nostra: abbattere gli sprechi per promuovere un consumo più consapevole, abbracciare il concetto di sostenibilità, servire in tavola piatti che rappresentano il mondo dell’agroalimentare nella sua autenticità. L’omaggio a LSDM si esplicita in un piatto di pasta creato per l’occasione - “solitamente non serviamo pasta, perché lavoriamo sui prodotti della nostra cultura rurale, per sostenere il sistema” - però calato nell’ambito di una ricerca molto familiare, con cottura in un brodo di gallo che sfrutta tutte le parti dell’animale, pelle compresa (che ritorna, croccante, a completare il piatto), e la sapidità naturale della lingua di anatra selvatica. Per l’acidità, invece, sfrutta il succo di mela, e il liquido di governo della mozzarella. E sul palco Berlin parla anche di attenzione al benessere, un concetto che naturalmente appartiene alla sua cucina, praticamente concepita in assenza di sale: “La sapidità può essere trovata in modo naturale”, ribadisce.

Riso con limone, rosmarino e capperi di Andrea ApreaRiso con limone, rosmarino e capperi di Andrea Aprea

Di riso, e non di risotto (almeno nel senso “nordico” del termine), parla Andrea Aprea, campano di stanza a Milano (al ristorante VUN), dopo un bel bagaglio di esperienza maturato in Inghilterra. Lui però non ha mai perso di vista le sue origini, e il riso con limone, rosmarino e capperi ne è piena dimostrazione. Nel suo discorso sulla valorizzazione di una cucina del benessere in grado di concentrare tutto il gusto del Mediterraneo, spicca la capacità di servire un risotto vegano facendo ricorso alla tecnica, chiaramente ben indirizzata a privilegiare il sapore: quindi per mantecare, un burro vegetale che altro non è se non un’emulsione ottenuta mixando la fibra del bianco del limone con acqua, succo di limone e olio extravergine. A profumare interviene il rosmarino, a creare acidità il succo del limone e una crema realizzata con la parte gialla della buccia. Completa il tutto il cappero utilizzato nelle sue molteplici forme: le foglie, la polvere, i cucunci.

La melanzana e le sue declinazioni

In questo gioco di vasi comunicanti tra Italia e resto del mondo, ci si imbatte in uno dei nostri piatti iconici. È la parmigiana di melanzane, monumento della cucina domestica scelto come piatto simbolo di questa edizione delle Strade nella versione presentata da AngeloSabatelli, del ristorante omonimo di Putignano. “Quando sono tornato nella mia terra dopo oltre 10 anni in oriente, ho cominciato a introdurre molto gradualmente dei cambiamenti” dice per spiegare il suo progetto di cucina ultratradizionale che elabora le esperienze avute in giro per il mondo. Il risultato è una riuscitissima sintesi di sapori mediterranei pienamente fedeli a quelli della tradizione ma arricchiti dalle sfumature portate in dote dalla contaminazione. L'obiettivo è dunque la riconoscibilità nel rinnovamento, il mezzo l'uso di nuove tecniche e procedimenti. Procede spesso per gradi e tentativi, come in questo piatto.

la parmigiana di melanzane di Angelo SabatelliParmigiana di melanzane di Angelo Sabatelli

La melanzana fritta intera e sbucciata subisce più passaggi in forno laccata – ogni volta – con una miscela di olio e salsa di soia. Servita in una prima versione intera, successivamente in lingotti in un primo momento semplicemente ritagliati, poi pressati per compattare la polpa ed eliminare il succo, impiegato poi come condimento insieme alla salsa di soia. A creare dei cortocircuiti con quell'oriente che lui ha così a lungo frequentato. Nel suo intervento porta le tre versioni della parmigiana sono succedutesi negli anni: con stracciatella pomodoro confit e basilico; con olio di olive nere e una lastra di ricotta di bufala che lentamente si scioglie e avvolge il lingotto di melanzana e infine quella con olio di olive nere, crema di ricotta di bufala e crema di miso. A testimonianza di una cucina che deve essere territoriale, semplice (mai più di tre ingredienti nel piatto, ricorda), aperta alle contaminazioni.

Altro giro altra corsa: si parla ancora di parmigiana di melanzane con Francesco Sposito, pure lui arricchito dalle esperienze nel mondo, e particolarmente dalla Francia di Passard. Il suo è un Naturalismo di melanzana che insieme alla frittura sfrutta una lunga cottura confit di scuola ducassiana: “Tra la tradizione della mamma e quella della nonna, metto pure Ducasse”. Così ragiona un cuoco moderno, che della sua tradizione ha fatto il centro di una ricerca che non ha paura di osare, ma tiene sempre conto della riconoscibilità, e rispetta il territorio di appartenza, “perché i clienti cercano anche questo: il ricordo della parmigiana, i carciofi alla fornaciedda della domenica, che ripensiamo in chiave moderna”. Tanta tecnica, al servizio del cuore. E l’apporto essenziale di una giovane squadra che cresce insieme, accrescendo il valore di Taverna Estia, da Brusciano aperta sul mondo.

Naturalismo di parmigiana di SpositoNaturalismo di parmigiana di Francesco Sposito

Sempre la melanzana è protagonista di un elogio al sud, come definisce Niki Sergeev (L'Arcade, Porto San Giorgio,  allo stand dell'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto) la sua Caponata imbufalita (foto in apertura) che omaggia con ossequio assoluto la tradizione tricolore, i sapori, i colori, gli ingredienti. “Abbiamo provato a lavorare la mozzarella in modo diverso, filandone la pasta una seconda volta, ma non ci convinceva perché cambiava troppo struttura e consistenza”. Senza quel rispetto che voleva comunicare con il suo piatto: è la cucina del sud vista dalla Marche, scherza. E allora una caponata fedelmente riprodotta (solo i pinoli arrivano dalla lontana Siberia) che farcisce la mozzarella. A completare il piatto un “San Marzano cotto come una volta, con tanto aglio e basilico” perché, spiega “nei ristoranti si sta usa sempre meno l'aglio, anche nel mio” e invece stavolta “come una volta” è la parola chiave.

 

Questioni di tecnica

La bufala e i suoi amici. Scherza HeinzBeck (La Pergola, Roma), ma non perde di vista i temi a lui cari: sostenibilità e salubrità di cui, già in tempi non sospetti, si è fatto testimonial (“siamo ciò che mangiamo”, ricorda, ma poi mette in guardia dall'eccessivo rigore alimentare). Elementi strettamente correlati, se nascono da una materia prima prodotta in modo responsabile. Nel caso la carne di bufala, proveniente da allevamenti non intensivi, in cui gli animali sono parte di un ecosistema in armonia con l'ambiente. È una carne nobile, con maggiori elementi nutritivi - soprattutto vitamina B6 e B12, spiega lo chef, forte di una formazione da naturopata – di consistenza più tenace e con meno grasso.

Carne di bufala di Heinz BeckCarne di bufala di Heinz Beck

Elementi che occorre gestire mediante la tecnica: marinatura di 24 ore sottovuoto con yogurt di bufala (enzimi e acido lattico rendono le carni più tenere) e aromi, un'ora in sale e zucchero per asciugare e creare uno schermo esterno. Ci pensa poi il Green Egga dare l'affumicatura al controfiletto che rimane crudo all'interno mantenendo integre le sue proprietà. Lo stesso Green Egg usato per affumicare la ricotta. Ancora tecnica per i vari elementi del piatto: marinature (per carne ed erbe miste) fermentazione (per una salsa di ceci molto simile a quella di soia), il riuso del grasso della bufala come nella tradizione antica (rinnovato dall'aroma di cipolla e mele, e addensato con amido), la piastra a temperatura negativa o l'azoto liquido per una crema ghiacciata di latte di bufala, poi diventata una semplice spuma, per motivi tecnici. La tecnologia è fondamentale per migliorare i piatti, chiosa lo chef, ma solo dove è necessaria, mai fine a se stessa.

Corrado Assenza sul palco di LSDM 2018

Lo dimostra CorradoAssenza (Caffè Sicilia, Noto) nel suo intervento, come sempre un concentrato di saperi e sapori, di visione della cucina e del mondo che unisce gusto, cuore e testa. È uno che ha anticipato, in 37 anni di carriera, moltissimi dei temi oggi più attuali. Il lavoro sul vegetale e quella perdita di confini tra dolce e salato, la scoperta della naturale dolcezza degli ingredienti valorizzata da tecnica e sensibilità. No a zuccheri aggiunti se non poco miele (nell'ordine di 40-50 grammi per chilo, o anche meno) per evidenziare i sapori. Torna indietro per andare avanti, usa il grano locale - il russello – quasi come un cous cous: idratato per 2 giorni a 0 gradi poi cotto a 100 gradi, abbattuto per ricompattarlo e sminuzzato. “Occorre trovare un metodo coerente con le esigenze e le tecniche di oggi, perché di certi piatti e prodotti possano goderne tutti, semplicemente perché sono buoni”. È un recupero della dimensione elementare della cucina: bontà, gusto, armonia.

Grano, verdure, crema di ricotta di bufala e gelato di zucchine saltate con il cipollotto di Corrado AssenzaGrano, verdure, crema di ricotta di bufala e gelato di zucchine saltate con il cipollotto di Corrado Assenza

Nel piatto, col grano, verdure – carote e cavolo - di cui porta a galla la nota dolce, crema di ricotta di bufala e uno straordinario gelato di zucchine saltate con il cipollotto. Dolce, predessert, antipasto? “Dipende da quel che precede o segue” spiega, così ridefinisce il ruolo del pasticcere, preposto a intercettare ed esaltare le dolcezze all'interno di menu e piatti. Pomodoro fragole e mozzarella, crema con zafferano di Navelli e limone femminello è il suo secondo piatto, un inno ai procedimenti che permettono di mantenere il tempo: è una nuova visione di confetture e altri metodi di conservazione in cui il prodotto rimane quasi integro. Le fragole sono cotte dai 3 ai 7 minuti a 110 gradi con il 50% di umidità, l'abbattitore ne fissa colori, sapori, gusto e consistenza e la conservazione in sciroppo regala un'inedita longevità. Il pomodoro è sbianchito, spellato e messo sotto vuoto con basilico e cipollotto, miele e sale. Insieme fragola e pomodoro danno un nuovo sapore, la mela verde. Una magia già presente nei prodotti che lui non fa che portare alla luce.

 Pomodoro fragole e mozzarella, crema con zafferano di Navelli e limone femminello di Corrado AssenzaPomodoro fragole e mozzarella, crema con zafferano di Navelli e limone femminello di Corrado Assenza

Tecnica anche per quanto riguarda SalvatoreTassa, (Le Colline Ciociare, Acuto) che porta un piatto servito nella plastica poi sciolta, una provocazione per denunciare l'atteggiamento irresponsabile dell'uomo nei confronti dell'ambiente. Per Tassa un modo di fare che riguarda anche il modo di cucinare: “sto facendo una rivoluzione al contrario, un ritorno al passato” dice annunciando il prossimo menu Opera “rinunciando alla tecnologia” in favore della tecnica, del gesto dell'uomo. Via il forno, dunque, per tornare al fuoco vivo e ai carboni, perché a cuocere sia la persona e non un programma preimpostato. Via dunque a fermentazioni (del Pomodorino del Piennolo che acquista note acide e accentua quell'amaro del terreno vulcanico, e delle mandorle che si aprono ad accenti frizzanti) e crioestrazioni, eredità dell'esperienza da Yannick Alléno, impiegate per la massa della mozzarella strizzata e poi riposta nel liquido di conserva per far partire una lieve fermentazione per il ripieno dei ravioli. La crioestrazione concentra aromi e sapori attraverso il freddo, restituisce una mozzarella simile alla fresca, permette di ridurre grassi e sale. Ne avevamo già parlato quando presentava il menu Tassa Experience. Oggi continua la sua rivoluzione nella tradizione che, dice, non è mica ferma lì, si sposta sempre in avanti. E conclude con il gesto di giovanile insubordinazione: “ci ho messo 60 anni a tornare ragazzo e togliere cose inutili” dice arringando sulla necessità di un'assunzione di responsabilità del cuoco verso chi mangia, e verso il territorio in cui cercare “la materia prima che gli appartiene”: un approccio baconiano, lo chiama.

E la mozzarella? L’interpretazione degli stranieri

Connubio, quello tra Agostino Iacobucci e Mauro Colagreco (Mirazur, Mentone) e quello tra la mozzarella di bufala e la dieta mediterranea. Lavorano insieme e si rimpallano commenti e ingredienti, separando la mozzarella in massa e liquido semplicemente strizzandola, e impiegando ognuno una parte. La massa Colagreco, il liquido Iacobucci che lo mette in infusione a 35°-40° gradi - cioè prima del punto di cagliata - con il fieno, “insieme a mais ed erbe mediche alla base dell'alimentazione delle bufale” spiega. E sono questi gli ingredienti che mette insieme: salsa di erbe mediche, pop corn e pane tostato a fermentazione acida con yogurt di bufala, lo stesso pane duro che un tempo si bagnava nel liquido della mozzarella a creare una merenda fatta di nulla, ma buonissima. Ma è Mauro Colagreco a impiegare la mozzarellaper presentare un piatto a lui familiare, il taco. Che realizza a partire dalla massa di mozzarella strizzata e compattata, poi scaldata a bagnomaria nel liquido di governo, schiacciata e pressata fino a diventare una cialda sottile, passata in forno ad asciugare e sotto la salamandra a colorire un po' e conquistare il giusto grado di croccantezza. Quel che emerge è un taco di sola mozzarella, con pomodorini semisecchi, stracciata e basilico. Italianissimo nei sapori, semplice, pulito, sorprendente.

Pane tostato, salsa di erbe mediche, pop corn di IacobucciPane tostato, salsa di erbe mediche, pop corn di Agostino Iacobucci

C’è anche l’esperienza di Aylin Yazicioglu : turca di Istanbul, laureata in filosofia a Cambridge, poi folgorata dalla cucina, studiata a Parigi al Cordon Bleu. Da 5 anni è tornata a Istanbul, dove guida Nicole, ristorante fine dining che sposa le tecniche apprese in Francia con i sapori e le ricette della tradizione turca. Di mozzarella parla anche lei, aprendo una prospettiva insolita: la mozzarella che propone in menu è prodotta in Turchia, nelle campagne intorno a Istanbul, “da un amico in pensione che ha deciso di dare nuova spinta alla tradizione rurale, ha studiato in Italia, visitato i migliori produttori di mozzarella, e oggi dà linfa alla nostra economia rurale. È importante per noi cuochi sostenere i produttori locali”.

Per la prima volta a LSDM, il portoghese José Avillez (Belcanto, Lisbona) presenta la filosofia di cucina di un gruppo di ristorazione cresciuto fino a inglobare 7 diversi ristoranti: un’impresa che oggi dà lavoro a più di 500 persone. Lui, l’ambasciatore più celebre della moderna cucina portoghese nel mondo, presiede tutto dal quartier generale di Lisbona, con la proposta ambiziosa di Belcanto. Si ragiona di evoluzione della cucina portoghese, per passare rapidamente all’omaggio alla mozzarella (e al pomodoro). Due i piatti, uno giocato sulla mozzarella leggermente affumicata, l’altro sulla ricotta: tenuti insieme dall’utilizzo dell’acqua di pomodoro. Il primo celebra anche visivamente l’ispirazione fornita da Paestum, con una neve di acqua di pomodoro (e albumina) ispirata ai templi innevati dopo l’ultima (rara) nevicata caduta copiosa lo scorso febbraio. C’è la voglia di avvicinare un’altra cultura gastronomica, omaggiarla e prendere spunti per crescere a propria volta. In Portogallo Avillez gestisce anche una pizzeria, in omaggio a quella del papà, che molti anni fa guidava una delle prime pizzerie di Lisbona: “Ora tornerò a casa con una nuova consapevolezza di cosa possa rappresentare davvero la mozzarella, di quanto possa essere potente il suo gusto autentico”. Missione compiuta, dunque: sulle strade della mozzarella si continuerà a viaggiare ancora a lungo.

 

www.lsdm.it

 

a cura di Antonella De Santis e Livia Montagnoli

foto di apertura: Caponata imbufalita di Niki Sergeev

 

 

 

 
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