I giovani
Un incontro a più voci apre la decima edizione de Le Strade della Mozzarella, ed è una partenza ad alta velocità, quella che porta sul palco, insieme a Barbara Guerra e Albert Sapere, ideatori e anima della manifestazione, 6 giovani talenti della nostra cucina. A loro il compito di tentare, per primi, una risposta al quesito posto da LSDM quest'anno: è possibile conciliare quantità e qualità? Ma il discorso si fa subito più ampio, e riguarda il futuro stesso della cucina italiana, la possibilità di costruire una nuova scena gastronomica forte e indipendente. A definire il panorama della ristorazione di domani, di cui si hanno concrete espressioni già oggi, Oliver Piras (AGA), Luca Abbruzzino (Ristorante Abbruzzino), Marco Ambrosino (28 posti), Martina Caruso (Signum), Lorenzo Stefanini (Ristorante Giglio) e Floriano Pellegrino (Bros). Quella che è emersa è una generazionale consapevole - non solo della propria cucina ma anche del ruolo della figura professionale nella società - capace di dirimersi nell'eterno dualismo tradizione-innovazione con un approccio disincantato e mai manicheo, sensibile alle tendenze internazionali, e allo stesso tempo capace di interpretarle senza rinnegare radici e territorio, ma – al contrario – valorizzandoli con orgoglio e freschezza, coraggio e qualche (dovuta) intemperanza giovanile.
Gli stranieri
Dalla Spagna alla Slovenia, all'Inghilterra passando per la Germania, sfiorando l'Olanda, la Francia e la Nuova Zelanda. L'onda lunga degli stranieri, in questa edizione di LSDM, si perde in mille rivoli e percorre altrettante strade prima di arrivare a Paestum. Sono tanti gli stranieri di nascita o di adozione, di origini o di suggestioni. Un catalogo di nazioni e sensibilità che pare convergere verso un unico precetto, che vorremmo sempre più albergasse anche fuori dalla cucina: zero confini. Nessuna barriera. Amore per il territorio, il proprio e quello di adozione, per quella geografia umana fatta di cultura, tradizioni e incontri, e apertura fiduciosa all'altro, a creare una fitta trama di rimandi e infiltrazioni. “Abbattete le frontiere, rompete le regole” dice Josean Alija del Nerua di Bilbao e aggiunge “condividete sempre quel che fate” due moniti che paiono parlare all'esistenza nel suo complesso e non solo alla vita in cucina. Insieme ad Alijaa, c'è un dream team eterogeneo: lo sloveno Tomaž Kavčič del Gostilna Pri Lojzetu di Vipava, la neozelandese di origini danesi di stanza a Londra Anna Hansen (The Modern Pantry), il pugliese MartinoRuggeri oggi a Parigi, al Pavillon Ledoyen, il tedesco Cristoph Bob del Refettorio del Monastero Santa Rosa di Conca dei Marmi e l'italo olandese Eugenio Boer di Essenza di Milano, protagonista in uno dei laboratori. Ognuno segna una linea di incontri e combinazioni. Ognuno sperimenta una cucina nuova nata dal confronto di anime e di territori.
Lo fa Alija (Nerua di Bilbao) quando racconta di una Bilbao che ha saputo affrancarsi da un passato industriale e un declino certo, grazie alle ardite architetture del Guggenheim che ne hanno cambiato non solo il lungofiume, ma anche il destino. Un cambio di passo che il cuoco ha fatto suo quando, nel 2011, ha aperto il Nerua proprio lì, negli spazi sinuosi disegnati da Frank Gehry scommettendo sulla trasformazione dell'idea di alta ristorazione, così come il museo negli anni '90 aveva scommesso su una nuova idea di città. Un cambio di prospettiva che ha una radice semplice: la felicità. Quella del cliente, di Alinja stesso e dello staff della cucina. “Volevo trovare uno stile personale, che mi facesse crescere con gli altri e mi rendesse felice” spiega, e continua “volevo che i clienti potessero partecipare a quel che accade in cucina, divertisti, imparare, stare bene con chi si prende cura di loro”. Così ha cominciato il suo lavoro alla ricerca di un'identità gastronomica che fosse, soprattutto, legame con la materia prima (per il quale ha strutturato un ciclo di tre menu stagionali studiati con un anno di anticipo), ricerca (dal 2003 ha un laboratorio dedicato solo allo studio), unione, gioco ed empatia, legame profondo con i prodotti del suo territorio e apertura verso sapori, prodotti e tradizioni altre. Lo dimostra qui a Paestum, dove si confronta con la parmigiana di melanzane (lavora sulla mozzarella in cubetti che hanno il compito di assorbire gli umori della melanzana), per carpire il cuore di un piatto che, dice, “unisce”.Forse per via del pomodoro su cui ha fatto il lavoro magistrale dei cinque pomodorini ripieni di aromi con sciroppo di acqua di pomodoro e capperi, un esempio cristallino di lavoro sul prodotto e sui fondi, le famose salse di Alija che sono essenza e base dei piatti del Nerua.
Lo sloveno Tomaž Kavčič (Gostilna Pri Lojzetu di Vipava), quarta generazione di cuochi, incarna lo spirito contemporaneo di una cucina che non tradisce le proprie radici – fatte di territori e tradizioni, e anche di confini – ma non ha timore di puntare lo sguardo al domani. Fresco dell'Innovation Award del JRE è il patron del Gostilna Pri Lojzetu di Vipavai. Gostilna, in Slovenia, è qualcosa che si avvicina alla nostra trattoria, ma nel suo nome c'è qualcosa di più: una radice che richiama l'ospitalità, il prendersi cura. Qualcosa che supera i confini del gusto per entrare nell'ambito dell'amore e delle cose belle. Un confine prezioso per chi, come Kavčič, ha visto cambiare più volte nel corso del tempo la bandiera della sua città. La sua è una cucina-madre, fatta di piatti completi che esprimono luogo, momento, persone, una cucina al servizio del cliente (“ci sono troppe primedonne, bisogna ricordarsi che noi cuochi non siamo niente senza i clienti” ammonisce), una cucina del rispetto: “del prodotto, del territorio, delle persone, di dove vivono e di dove vanno”, da una parte all'altra del bancone.
Dalla sua cucina emerge un evidente amore per il prodotto, e in questo caso è quello campano a fare da sponda ai suoi piatti: lo gnocco ripieno di mozzarella; l'Idea di paninoche ricorda il pasto dei pescatori, con alici marinate, formaggio e fili di un'erba che richiama, nel retrogusto, il sapore del grano; e l'ostrica con una perla di mozzarella. In quest'ultimo piatto, al miele il compito di addomesticarne gli aspetti più ostici che non tutti i clienti gradiscono. Anche questo significa prendersi cura di loro.
Anna Hansen
Anna Hansen (The Modern Pantry di Londra) è l'esponente di un'idea di ristorazione meticcia e responsabile, con un approccio onnicomprensivo alla sostenibilità che riguarda non solo i rifiuti, l'origine delle materie prime, ma anche il ciclo alimentare, i comportamenti virtuosi, il rispetto per i collaboratori, i clienti e le diverse scelte dietetiche o esigenze nutrizionali. Aperta alle contaminazioni per eredità familiare, per via di quella nonna danese che, trasferitasi in Nuova Zelanda negli anni '50, ha dovuto suo malgrado inventare una fusion replicando una cucina nordeuropea con i prodotti dell'altro emisfero. Un imprinting che la Hansen replica a suon di mescolanze di spezie e di suggestioni, attingendo a quell'enorme dispensa che il mondo contemporaneo mette a disposizione. Presenta pane e panelle, e contamina il classico street food siciliano (che ha tanto in comune con molte specialità di mezza Europa) con suggestioni e sapori esotici: “ci sono ingredienti dai 5 continenti qui” sottolinea allegra, e mescola spezie ed erbe aromatiche nel panino che trova un twist con la mozzarella nature e la salsa di tomatillos messicani. Il risultato è un robusto snack, con un equilibrio instabile negli accenti aromatici, ma molto gustoso. Il suo ristorante è semplice, leggero, festoso.
Il viaggio di Cristoph Bob parte dal nord della Germania per giungere, dopo esperienze di rango, in Campania. Una terra che incanta, dove la natura incredibilmente generosa regala panorami splendidi e materie prime straordinarie di cui, nel suo precedente girovagare professionale, non vedeva che timide repliche (“buona, sì, ma qui è straordinaria”). È il fil rouge che collega gli interventi di tutti gli stranieri, questo sguardo ammirato al prodotto mediterraneo che lascia stupiti e, talvolta, incerti sul come elaborarlo. Non per Bob, da 5 anni in quel Monastero Santa Rosa emblema di lusso e semplicità: 50 milioni per 20 stanze il costo di un restauro che ha trasformato il monastero del '600 in uno dei luoghi più esclusivi, incantati e discreti del mondo. Un posto che conserva una sua verità, e che non poteva che inserire il ristorante guidato da Cristoph Bob nell'antico refettorio. E infatti così si chiama il ristorante dell'hotel. Un posto che la clientela internazionale raggiunge per avere, nel piatto, la stessa autenticità e meraviglia che gli si offre allo sguardo. Semplice e lussuoso: “da noi non ci sarà mai foie gras o altri prodotti di questo genere” piuttosto una meravigliosa pasta al pomodoro. Ne dà un esempio nella costoletta di manzo, “wagyu dei poveri”dice lui, che dopo il trattamento che gli riserva, lasciato in acqua e poi cotto al bbq, è un eden di consistenza e sapore. Aromatizzato in cottura dai sassi lavici raccolti sul Vesuvio e poi abbinato a una salsa di mozzarella e a un ragù di radici è un piatto incredibile. Che dimostra la familiarità dello chef con la cucina del gesto, quella a cui non serve la tecnologia, che una volta si chiamava questione di manico. Del resto “la macchina non fa bravo il pilota” dice Cristoph il tedesco. Ci vuole tecnica. Lui l'ha appresa in Francia, alla corte di Ducasse, e la unisce a un'organizzazione teutonica e alla materia prima e lo spirito italiani.
Le radici di EugenioBoer sono il suo passato e il suo presente. Lo sono da sempre, da quando nei suoi piatti ha iniziato a riportare - una dietro l'altra - esperienze di vita e di lavoro: dai sapori conosciuti in quella sua famiglia italo (per un quarto siciliana) olandese, a quanto assorbito nelle esperienze tra Niederkofler, Gaetano Trovato e via dicendo. In questo caso è il suo quarto siciliano a venire a galla. Con la ravazzata che, nell'atelier del fritto - uno dei corner collaterali della manifestazione - mette nel piatto l'impatto opulento e rinvigorente del ragù di maiale, la spuma di ricotta, pane fritto e i piselli appena sbollentati, per dare un tono vibrante a un piatto dal morso godurioso e rinfrancante.
Dalla Puglia in Francia: è Martino Ruggieri, braccio destro di Yannick Alléno, che porta a Paestum suggestioni legate alle tendenze internazionali: fermentazioni, estrazioni, lunghe cotture elaborate alla luce di quella tecnica tutta francese di cui si fa ambasciatore. Qui si traduce nella proposta hardcore di una testa di vitello cotta sei ore e lasciata una notte ad asciugare, con la guancia affettata e saltata in padella con porri e mozzarella. O nei tempi lunghi necessari per il succo di sedano rapa: fermentato per 8 mesi e arricchito da vaniglia, fragole mature e pomodori secchi.
Nord Sud Italia
Contaminazione e territorio, materia prima e riconoscibilità: gli chef di casa nostra mettono in scena l'eterno gioco a rimpiattino con la propria identità. Si tratti di quella a tutta materia prima di Nino Di Costanzo (Danì Maison – Ischia) che apre con un elogio alla semplicità e al prodotto, invitando alla difesa del nostro patrimonio di tipicità da valorizzare anche grazie alle lezioni apprese nei viaggi: “senza una materia prima eccellente è impossibile fare davvero un piatto di grande livello” dice, ma ricorda anche come per materia prima si debba intendere un complesso sistema che include anche il territorio, il modo in cui un prodotto è coltivato, allevato o pescato, gli artigiani. Nei piatti portati a Paestum pesci poveri ancora poco valorizzati e le varietà di agrumi, oro giallo della Campania, qui in un risotto ai cinque limoni.
Il campano Gennaro Esposito della Torre del Saracino di Vico Equense si esibisce in un mini menu (4 piatti) che sono un omaggio senza vincoli al territorio e ai suoi produttori, di terra e di mare: alici su germogli di bietola con yogurt alla spirulina, ravioli ripieni di pesto trapanese con asparagi anemoni di mare, ricci e maruzzelle; cannoncino ripieno di ragù napoletano e, a conclusione il dessert a base di Melannurca del pastry chef Carmine Di Donna.
Francesco Apreda
Ancora Campania con il napoletano Francesco Apreda che quest’anno ha compiuto dieci anni con il suo Imàgo di Roma. Il più internazionale degli chef partenopei è il mago delle spezie che mescola con sapienza da alchimista tradizione campana e slanci orientali, gioco e abilità tecnica, come con la mozzarella con scapece di verdure, con le quattro consistenze del latticino, tra cui una ottenuta con il siero della mozzarella di bufala.
È un'accelerazione sui classici rinnovati da tecnica contemporanea l'intervento di Matteo Baronetto (Del Cambio – Torino), una macchina del tempo che mette in fila gamberetti in salsa rosa, vitello tonnato, acciughe in salsa verde, l’uovo sodo. Tra rassicuranti rivisitazioni e giochi sorprendenti accompagna i suoi ospiti in un percorso che rassicura e conforta senza mai annoiare.
Semplicità, cultura gastronomica, disciplina, studio costante su materie prime e tecniche. La strada intrapresa da Antonio Guida del Seta di Milano è chiara. Ed è quella che porta a una cucina godibile, che si apre alla città quanto agli ospiti del Mandarin Oriental “il cliente deve avere voglia di tornare” dice, intendendo anche lui che lo chef non deve lavorare solo per sé ma pensare anche agli altri. Nei suoi piatti tanta cultura e molto piacere: il pan perdu con pomodoro candito, il risotto con crema di riso alla curcuma, setosa e avvolgente, i ravioli ripieni di pomodori, crema di burrata.
Antonello Colonna
Da perenne outsider e protagonista della vita gastronomica laziale Antonello Colonna (Antonello Colonna Resort – Labico), è uno chef che ha saputo dare lustro alla cucina di territorio in un periodo, la fine degli anni '80, in cui le suggestioni francesi imprimevano una rotta decisa. Lui no, lui è sempre stato concentrato sul suo territorio di cui ha saputo smussare spigoli e valorizzare caratteristiche. Negli anni ha saputo dare - ancor di più - un ruolo di primo piano alle radici, alla terra e alla semplicità, qui rappresentata da un tortello ripieno con alici ripensamento della classica abbinata burro e alici.
LSDM | Paestum (SA) | Savoy Beach Hotel | il 19 e 20 aprile | www.lsdm.it
Le Strade della Mozzarella. Report della seconda giornata
a cura di Antonella De Santis