Manuale e diario di viaggio. Oltre il racconto gastronomico
Quando una lettura, per leggera che sia, si rivela capace di suggerire più interpretazioni, come una scatola cinese in cui è bello perdersi fin dopo aver sfogliato l’ultima pagina, l’obiettivo dell’autore può dirsi compiuto. Questo non significa che il libro in questione aspiri a iniziare il lettore ai culti misterici – sebbene le pagine non difettino di momenti di ironica suspense, tra malocchi, aure sciamaniche e pozioni magiche - né tanto meno che si avvalga di una scrittura compiaciuta. Ben lontano dall’essere un mero esercizio di stile o l’ennesimo racconto fatto di stereotipi esotici, scenari incontaminati e cornici suggestive, il diario di viaggio che Sara Porro ha racchiuso in 127 pagine di agile lettura incarna alla perfezione lo spirito condiviso dai titoli della collana Allacarta, edizioni EDT (l’editore di Lonely Planet, per essere più chiari).
Il progetto editoriale a cura di Luca Iaccarino – che con l’ultimo arrivato conta 7 titoli – solitamente arruola autori che poco hanno a che fare con il mondo del cibo, se non per una passione amatoriale che li porta a condividere con i lettori la gioia di scoprire la buona tavola in ogni parte del mondo, come qualunque viaggiatore buongustaio che si rispetti. E invece, “quando con Luca abbiamo deciso che avrei scritto qualcosa sul mio viaggio in Perù, la preoccupazione maggiore riguardava il rischio di concentrarsi eccessivamente su una prospettiva gastronomica, io che per mestiere ho sempre scritto di cibo”, esordisce Sara nel ricostruire la genesi del suo Manuale di sopravvivenza amazzonica per signorine di città. “L’idea piuttosto era quella di utilizzare il cibo come pretesto per raccontare storie di persone, luoghi, culture diverse dalla nostra. Il consiglio, da subito, di rendere la narrazione più accattivante sperimentando una permanenza in Perù un po’ più avventurosa di quanto la mia indole mi avrebbe suggerito di fare”.
“Sopravvivere” in Perù
Manuale di sopravvivenza, dunque, per “insegnare” con una buona dose di ironia come si resiste per qualche giorno in un lodge circondato dalla foresta amazzonica, dove l’incontro della buonanotte con una tarantola non è affatto inusuale, l’avvistamento degli occhi di un caimano nel buio impenetrabile eccita gli animi, e l’ambizione gourmet di una professionista del cibo deve fare i conti con la razione giornaliera di “riso, patate stufate e una soletta di carne bovina”. Ma sopravvivere in Perù, per una signorina di città – “che non è solo la giovane donna impacciata e un po’ schizzinosa che tutti ci aspettiamo; il libro si rivolge anche agli uomini. E trovo limitante l’idea che quando c’è una donna a scrivere il suo pubblico debba essere necessariamente come lei” – significa anche confrontarsi, con sano sprezzo del pericolo, con il rituale dell’hayahuasca, al confine tra tradizione (“per i locali è una pratica depurativa a cui sottoporsi una volta all’anno, come noi andiamo dal dentista per la pulizia dentale”, scherza Sara) e spettacolo a uso e consumo dei turisti, che accorrono numerosi dallo sciamano di turno per sorbire questa pozione a base di sostanze psicotrope naturali.
Un capitolo dopo l’altro l’orizzonte si muove tra Lima, Cuzco, Iquitos, il lago Titicaca, inanellando aneddoti vividi che fanno dell’esperienza di viaggio un momento di riflessione personale, da condividere con gli altri: “Il lavoro di editing è stato molto importante, ma mi piace che il risultato finale mi assomigli molto. Ogni giorno, specialmente durante gli spostamenti tra una tappa e l’altra, mi sono presa tempo per scrivere, annotando tutto su un block notes, vecchia maniera”.
Mangiare in Perù. La cucina come orgoglio nazionale
Il risultato più evidente è che l’interesse di Sara per il cibo, il suo punto di vista critico come la sua curiosità di scoprire una nuova cultura gastronomica, corrono come un fil rouge sotteso all’intera narrazione, anche quando si sta parlando d’altro. E non è un caso che il libro sarà presentato anche al Salone del Libro di Torino tra gli appuntamenti in calendario a Casa CookBook (nel pomeriggio di lunedì 16 maggio). In questo racconto del Perù, girato in lungo e in largo per quattro settimane insieme al compagno Stefano, ci sono il cibo popolare e quello rituale, la varietà dei mercati cittadini e il “bestiario” della frutta peruviana (“buonissima, da assaggiare senza pregiudizi”); meno in evidenza i protagonisti che negli ultimi anni hanno rivoluzionato la geografia dell’alta cucina, portando il Perù in cima alle classifiche internazionali. Se non per un rapido accenno al papà di questo rinnovamento, lo chef Gaston Acurio: “In Perù Gaston è un eroe nazionale; i sondaggi dicono che se entrasse in politica spunterebbe sicuramente un grande risultato. A lui e ai suoi colleghi si deve il merito di una rivoluzione culturale che oggi determina un’acutissima percezione dell’identità gastronomica nazionale. I peruviani sono orgogliosi della propria cucina e gli ambasciatori più celebri hanno svolto un lavoro importante per comunicarlo al mondo. Ma io ero curiosa di esplorare tutte le sfumature, anche perché i ristoranti di ricerca nel Perù contemporaneo sono interessanti quanto le realtà popolari”.
Virgilio Martinez, l’Amazzonia, il ceviche e il cuy
E infatti un buon ceviche puoi trovarlo anche al mercato, grazie alla straordinaria freschezza e varietà delle materie prime, dal pescato giornaliero ai peperoncini più diversi. E il porcellino d’India (cuy), non dissimile da un grosso topo che finisce nel piatto arrostito tutto intero, denti digrignati compresi, è una specialità da non farsi mancare. Ma se invece parlassimo di cucina d’autore, qual è l’esperienza più significativa per Sara? “Virgilio Martinez, senza dubbio. Provare il menu degustazione del Central di Lima, incentrato sulle molteplici altitudini del Perù, è un’esperienza suggestiva oltre che un’interessante operazione culturale messa in atto da chi l’ha concepito, impegnandosi nella ricerca e nella valorizzazione degli ingredienti più impensabili”. Altri suggerimenti gastronomici oltre le pagine? “Scoprire la cucina e gli ingredienti amazzonici da Amaz a Lima, provare i ristoranti di Iquitos, proprio alle porte della foresta (la città è ancora piuttosto incontaminata, non ci sono strade carrabili che la raggiungono, ndr), dov’è in atto la riscoperta di una nuova commestibilità, dai tuberi ai semi, alle radici”. Poi, ovviamente, ci sono i mercati, dal coloratissimo Surquillo di Lima a quello di Sant’Antonio ad Arequipa - “il più godibile tra quelli visitati” - al Mercado Belen di Iquitos, il più autentico nella sua cruda realtà.
Consigli per l’uso
E per finire, nel puro spirito di un manuale di sopravvivenza, qualche valido consiglio per l’uso? “In primo luogo attenzione all’altitudine: è bene salire per gradi, quindi sconsiglio il trasferimento in aereo da Lima a Cuzco. È molto meglio usufruire dei collegamenti in bus. Per il resto non abbiate paura di esplorare il Perù: è un posto sicuro, la gente è ospitale e organizzarsi è facile”. Mete imperdibili? “La città di Cuzco e l’Amazzonia, qualche giorno sulle isole del lago Titicaca, meglio se ospiti delle famiglie del luogo, un giro più approfondito di Lima: la capitale non è bella di per sé, ma molto vivace da un punto di vista culturale, artistico e gastronomico. Sorseggiare un pisco sour osservando lo struscio sul Corso è l’ideale per chi ama la vita di città”.
Manuale di sopravvivenza amazzonica per signorine di città | di Sara Porro | 2016 | Edt, collana Allacarta | 127 pagine | 8,90 euro
a cura di Livia Montagnoli