Che mondo sarebbe se fossimo davvero come la pubblicità – quella del cibo – ci rappresenta? Saremmo noiosi, retrogradi, sessisti, aderenti a luoghi comuni stantii, ma anche bellissimi, perfetti, in forma, sorridenti con case lustre e sempre in ordine. Ma preda di osceni luoghi comuni.
Cinzia Scaffidi, nel libro edito da Slow Food, guarda alle pubblicità del cibo e analizza come queste promuovono i prodotti e, insieme, come ci rappresentano. Che è solo in parte come siamo, ma anche e soprattutto come il mercato ci vorrebbe. E come noi – in modo più o meno consapevole – stiamo abituando a vederci.
Si parte da una considerazione generale: le pubblicità, in linea di massima, riguardano prodotti processati, e mai ingredienti. Ci sono biscotti, pizze surgelate, sughi pronti, insalate in busta o pasta secca, mentre uova, farina, zucchero sono rari. Questo perché insieme a quei prodotti ci vendono del tempo: quello che non impieghiamo a prepararceli da noi, e quello (ancora più importante) che non investiamo nell'imparare come si fa, diventando così meno competenti e più facilmente manipolabili. Dunque prodotto finito, più costoso e di minore qualità (sì, c'è anche chi cucina male con ingredientacci, ma almeno sono tutti noti), in cambio di preziose ore risparmiate. Preziose perché non abbiamo tempo, ce lo dicono e ce ne convincono gli stessi spot: si esce di corsa senza riuscire a fare colazione (e poi non ci vediamo più dalla fame), si sta nel traffico dovendo fare mille commissioni in un tot. Eppure a leggere le statistiche, stiamo talmente tanto davanti ai social network e alla tv (in ogni sua versione) che il tempo ci sarebbe, eccome, di preparare il pranzo per tutta la famiglia.
Padri, madri, figli, nonni tra ruoli e luoghi comuni
Le famiglie-tipo in tv sono preda di luoghi comuni e di goffi tentativi di superarli, “il mercato impara più in fretta della politica” commenta argutamente la Scaffidi. Ci sono conviventi non amanti, coppie gay (in uno spot era davanti a un pranzetto a base di cibi precotti che un giovane faceva coming out con la madre), famiglie allargate, studenti, single, bambini adottati o acquisiti. Visto che tutti mangiano, tutti sono interessanti da un punto di vista commerciale. Non senza dei ruoli imposti: le nonne, per esempio, sono le custodi dell'abilità in cucina (ma il tormentone della cosiddetta cucina delle nonne c'è anche nella vita reale), quelle a cui chiedere consigli, soccorso per una ricetta o per il bucato, insomma sono gli angeli del focolare per antonomasia. Senza però considerare che le 60-70enni di oggi sono quelle che hanno vissuto il boom economico e l'ingresso nel mondo lavorativo (con il conseguente “abbandono” del ruolo domestico), quelle che hanno contribuito all'espansione dell'industria alimentare, che hanno benedetto la nascita dei cibi già pronti e ne hanno sancito il successo. A loro si demanda ogni competenza domestica, che la abbiano oppure no. Le mamme in genere sono bassa manovalanza: preparano la colazione o la cena che è immancabilmente già in tavola quando il marito torna a casa (ma loro non si vedono praticamente mai rientrare). I padri, beh, quelli riguardo al cibo si rivelano, per lo più, incapaci di mettere una cosa in fila all'altra. Se non sono imbranati completamente poco ci manca: neanche riescono a prendere una merendina per i loro figli o caricare la lavastoviglie senza l'intervento della moglie. La loro presenza è sempre poco, o pochissimo, primaria quando si parla di cibo da scegliere, preparare, comprare (alla faccia dei tanti uomini che invece sono più che competenti). Poi ci sono i figli (possibilmente due, grazie). Su di loro si concentra l'attenzione dei pubblicitari perché più suscettibili alle lusinghe della réclame e in grado di fare leva sui genitori, schiacciati dal senso di colpa di non dedicargli abbastanza tempo. Ai bambini è affidato l'onere della scelta degli acquisti da cui taluni genitori rifuggono, nella deresponsabilizzazione che è parente stretta di quella corsa alla perenne gioventù. Non ci credete? Avete presente l'asteroide che cade in testa a mamme e papà colpevoli di aver dubitato che esista una merendina come quella di cui parla la figlia?
Cucina sempre, cucinare mai
Le case degli spot sono meravigliose, le cucine sempre immacolate (a meno che non si debba promuovere un detersivo), e il cibo? Cucinare, quasi sempre significa tagliare le verdure. Una julienne di carote, un bel peperone colorato, una zucchina. Il pane no, forse perché fa le briciole, la carne non sia mai (poi come la mettiamo con i veg? No vorrete mica metterveli contro, e poi il sangue è antiestetico). Un bel taglio a un pomodoro distilla l'arte del preparare la cena. Che poi il più delle volte negli spot si rivela un assemblaggio di cibi già pronti, ma vuoi mettere quel bell'hamburger appena scongelato se poi accanto ha una falda di peperone? Oppure una costa di sedano impreziosita da un ricciolo di formaggio spalmabile? Quello cremoso, soffice e morbido. Caratteristiche che ai pubblicitari e all'industria alimentare piacciono tantissimo. Formaggi, pancarrè, merendine, pure il tonno è così morbido che si taglia con un grissino (peccato che non è proprio un valore nel tonno, ma tanto ormai chi lo sa più): morbido è rassicurante, una specie di confort food. All'estremo opposto, ma ugualmente desiderabile, c'è la croccantezza. Croccante equivale a gioioso, vivace, moderno. Così abbiamo insalate, snack, surgelati panati sempre più a prova di crunch. Poi c'è la sintesi di tutto: il sofficino, croccante fuori, morbido dentro. Praticamente il cibo perfetto.
Via via, un capitolo dietro l'altro, Cinzia Scaffidi ci offre una rilettura critica e molto arguta (oltre che divertentissima) di come siamo nelle nostre pubblicità e come – forse – diventeremo a breve, se no lo siamo già. E lo fa analizzando i vari momenti della giornata alimentare (colazione, pranzo, cena), i luoghi in cui si consuma il cibo fuori casa (scuola e lavoro), come viene rappresentata la filiera alimentare (i quasi scomparsi contadini, gli artigiani, i supermercati, i ristoranti), i testimonial più famosi (da Gassman a Favino passando per Banderas con la gallina Rosita), fino ai valori espressi nelle pubblicità. Un libro da leggere, per sorridere e riflettere.
Che mondo sarebbe - Cinzia Scaffidi – Slow Food editore – 192 pp. - 14,50 €
a cura di Antonella De Santis