C’era una volta un Paese sdraiato in mezzo al mare come a congiungere tre continenti. Una lingua di terra lunga e stretta, dal clima e dalle doti decisamente speciali e per di più ricolma di opere d’arte e meraviglie. Quel Paese sviluppò per amore o per forza una propensione nazionale, maturata e rifinita nel corso di un addestramento durato millenni: l’accoglienza, anche dei “clienti” più strani e, a volte, meno maneggevoli; e in subordine (ma forse è quasi la stessa cosa) la capacità di mediazione. Così il paese di “santi, poeti e navigatori”, divenne anche il paese dei diplomatici e dei camerieri. I più bravi del mondo, si diceva. E da (e in) tutto il mondo apprezzati e ricercati.
Non è (più) un paese per camerieri?
Questo era quel che c’era. Ma lo stato dell’arte, a oggi, come risulta? Spinosa. Quasi un buco nero. Come canta e ricanta un variegato coro da tragedia greca composto da operatori affamati di personale ad hoc (cuochi in primis, ma anche manager di settore, reclutatori e più in generale rappresentanti di tutte le categorie commerciali che hanno un banco, un tavolo, una sala, un pubblico da servire); poi dai clienti tout court (cioè tutti noi) delusi da una teoria di amare esperienze; e infine dagli interessati: cioè i ragazzi che potrebbero (ma sembrerebbero non voler tanto…) intraprendere il percorso che va da quella parte, e che se lo fanno è spesso solo per ripiego, per un mese o un’estate, per tirar su due soldi per un viaggio o perché a scuola proprio non va. Mentre nello stesso momento una legione di loro sogna di partecipare al prossimo Masterchef.
Le parole sono importanti
Cos’è successo? Parecchie cose. E prima di ogni altra (senza scomodare Moretti o Eco) val la pena di ricordare quanto siano importanti le parole. E quindi che ad esempio “Cuoco” non si dice più così, ma si dice “Chef”. Che alla lettera vuol dire “capo”. Uno che conta e che comanda. E fa il figo in tivù. E che “Cameriere” a suo modo era un tempo parola okkay. Un lavoro. Un buon lavoro. Faticoso e però anche gratificante. Pagato il giusto. E, più che mai dagli anni Ottanta in poi, con chances di carriere articolate e interessanti: hotellerie, maître di ristorante, specializzazioni nella sommellerie o nel bartending, fino a ruoli manageriali e organizzativi premianti e assai ben remunerati. Ma poi “Cameriere” è diventata una brutta parola: associata a concetti di drastica subordinazione e di servitù più che servizio, a qualcosa che si può improvvisare, quasi non occorresse per farla alcuna professionalità. Smarrendo così il filo che la connette invece a un saper fareimportante, articolato e assolutamente prezioso. Perché, diciamocelo, qualunque sia il posto in cui si va, e per quanto alto sia il suo contenuto e il suo appeal gastronomico, mondano, di tendenza, si tratti di lounge o di risto gourmet, di bistrò di moda o di breakfast in hotel di charme, il primo contatto (inevitabilmente quasi decisivo) e l’ultimo ricordo (il sigillo dell’esperienza) è legato all’incontro con chi ci accoglie e assiste. La customer satisfaction, come direbbero i tecnici del marketing, si misura e si struttura in sala. Dove però in Italia troppo poca gente giusta pare voler indirizzare il proprio destino.
![Disegno di Gianluca Biscalchin](https://static.gamberorosso.it/gambero-sala.jpg)
Negli ultimi tempi le cose sembrano muoversi? Sì. Come? Sfogliate il nuovo numero del mensile del Gambero Rosso, in questi giorni in edicola.
a cura di Antonio Paolini
disegni di Gianluca Biscalchin
QUESTO È NULLA...
Nel numero di maggio del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate tutta l'indagine, dove abbiamo coinvolto uno deimaggiori rappresentanti dell'associazione Noi di Sala, Beppe Palmieri, e tre grandi “eredi” che sono diventati in questi ultimi anni veri maestri d’accoglienza: Luca Vissani, Alberto Santini e Pascal Tinari. Un'analisi approfondita e ricca di punti di vista, che raccoglie le impressioni dei professionisti del settore (Attilio Marro, Alessandra Viscardi e Heinz Beck), indaga tra problemi e criticità (con l'aiuto di Giacomo Gironi), passa in rassegna l'offerta formativa delle principali scuole italiane. Non solo, Federico De Cesare Viola racconta il servizio all'Eleven Madison Park e ipotizza il decalogo per un servizio contemporaneo. Insomma se vi interessa e vi appassiona tutto quello che gira attorno alle sale dei ristoranti, non vi perdete una copia.
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