Il miglior cuoco del mondo – almeno secondo la classica The World’s 50 Best Restaurant - nel cuore del Roero. Chapeau a chi è riuscito a distrarre René Redzepi dal maniacale impegno al Noma (lavora dalle sette al mattino a notte fonda) per un fine settimana in uno dei paradisi enogastromomici del Piemonte. L’idea è stata dell’Enoteca Regionale del Roero, presieduta da Luciano Bertello, che gli ha voluto assegnare l’omaggio Roero: orti e frutteti. Un paesaggio di casa, in passato finito - tra gli altri - a Antonio Santini, Michel Bras e Alain Ducasse. Così nelle mani dello chef danese, apparso realmente sorpreso dell’entusiasmo di giornalisti, colleghi, vignaioli e appassionati in genere per la sua visita, ha ricevuto l’antico tagliere con targa d’oro. Un attrezzo umile e modesto per eccellenza ma anche base per costruire qualsiasi piatto, sulla targa d’oro la motivazione: “Grazie a un viscerale amore per la terra e un religioso rispetto dei valori più veri della civiltà scandinava, ha saputo raccontare anche le più umili essenze naturali attraverso piatti di inimitabile fantasia e di moderno gusto nel design. Per aver fatto del Noma di Copenhagen un tempio della cucina internazionale”.
L’incontro con la stampa è servito a fissare la nuova frontiera per Redzepi: arrivare a una cucina 100% naturale dove tutto ciò che è pescato o allevato resta al di fuori. Il sospetto c’era, mancava la dichiarazione ufficiale che abbiamo ascoltato in occasione della consegna allo chef danese – il n.1 – del premio Roero orti e frutteti che l’Enoteca Regionale di Canale assegna a grandi personaggi del wine & food. Redzepi è stato chiaro “Attualmente la cucina del Noma viene alimentata per circa l’80% dal foraging (ndr, il metodo di raccolta dei prodotti lungo i boschi e le spiagge nei pressi del locale) e dal nostro orto. Si può e vorrei far meglio, ma è una maratona e non una gara di sprint”. Per riuscirci, Redzepi ha trovato un formidabile alleato nel Nordic Food Lab, creato insieme all’Università di Copenhagen e finanziato da enti privati e pubblici. Qui, giovani talenti culinari di tutto il mondo, parecchi cresciuti all’Università di Pollenzo – affiancati da botanici e biologi nordici– studiano il pianeta cibo e sperimentano senza tregua. Due i fronti che lo chef trova di maggiore interesse, lievitazione e fermentazione. “Si tratta di processi che coinvolgono pane, vino, birra, latte, cioccolato: tante cose e importanti. E ne sappiamo ancora poco. Per i miei piatti è una necessità, non un capriccio: poter sfruttare i sapori per un anno intero e non solo nei mesi in cui li trovo, farebbe la differenza. Voi italiani siete fortunati, non vi rendete conto quanto sia lungo l’inverno al Nord, dove fare buona cucina naturale è un’impresa”.
Quindi, dobbiamo aspettarci, cibi più da indios o da Star Trek? “Penso che la sostenibilità sia un valore che rende una cena più piacevole, almeno per me e tanti clienti del Noma. Mi spiego: gli insetti oltre a essere edibili, non consumano acqua e cibo come tanti altri animali. E al tempo stesso non hanno un valore sociale: mi rendo sempre più conto che la mia cucina è stata influenzata dalla mia vita in Macedonia: lì il pollo si mangiava solo in occasioni specialissime, perché una volta ucciso non c’erano più uova e non parliamo poi delle bestie più importanti. Tornando agli insetti, è questione di come utilizzarli e come presentarli: so benissimo che tra un piatto di grilli e una tagliata di fassona, il cliente normale sceglie la seconda”. E allora cosa ha in mente? “Di trovare, poco alla volta, la chiave giusta. Vado orgoglioso per esempio del garum di cavallette: quando lo abbiamo preparato, era terrificante. Poi fatto riposare per sei mesi, è un condimento buonissimo che piace a tutti. Idem per le formiche: da quando me le fece assaggiare la prima volta il mio amico e collega Alex Atala, ci ho ragionato per farne l’uso migliore, sfruttando quel fantastico sapore di citronella. Ci vuole una visione aperta: in questo caso, sono partito dal concetto che se milioni di sudamericani le mangiano da secoli è perché non fanno male e hanno un gusto particolare. Ovvio che per un palato europeo sono particolari, ma è noto che francesi e italiani considerano le lumache come un cibo eccezionale e quindi il gioco si rovescia”.
Detto questo, René non ha solo reso onore alla cucina italiana (era scontato, visto l’invito) ma ha gustato con passione il menu preparato in suo onore presso il ristorante dell’Enoteca da Davide Palluda (perfetto padrone di casa), Enrico Crippa, Massimo Camia e Gemma Boeri, la popolare “ostessa” di Rodino. Per la cronaca: insalata russa di Gemma; gamberi e ciliegie; semplici ravioli quadrati di faraona, fassone tonnato, latte/panna con albicocche all’Averna. Piatti e vini del territorio – per la cronaca si festeggiavano anche i 25 anni della DOC e i dieci anni della DOCG del Roero Arnesi - che a Redzepi hanno ispirato un pensiero in apparenza banale, in realtà da tenere presente. “Si mangia bene in ogni Paese del mondo, se sai scegliere il posto giusto. Ma l’Italia è differente perché la tradizione è declinata al top nei locali dei grandi chef come in quelli dei paesini. In questi giorni, ho scoperto la straordinaria focaccia al vapore di Piazza Duomo e assaggiato i più buoni tajarin della mia vita in un’osteria a Barbaresco di cui mi sfugge il nome. Lo ripeto: voi per molte cose siete fortunati e non avete idea nei lunghissimi inverni quanto noi nordici pensiamo a voi con invidia”. Qualcuno ha sognato (di sogno si tratta) di vedere un Noma Due da queste parti.
a cura di Maurizio Bertera