Ciccioli, uova, pepe, sugna: sono gli ingredienti delle focacce campane, prelibatezze le cui origini affondano nel tempo ma che, grazie al lavoro di pizzaioli e cuochi, sono diventate pietanze moderne. Ve ne raccontiamo 8, con la ricetta del tortano di Capatosta, pizzeria di Recale, premiata dall’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia con Uno Spicchio.
Casatiello e tortano
Iniziamo due focacce dalle lunghe lievitazioni, abbastanza celebri anche al di fuori del confini regionali: casatiello e tortano.
Il casatiello è per eccellenza uno dei prodotti tipici della Pasqua, immancabile sulle tavole campane della Settimana Santa, ma anche nel menu dei pic nic di Pasquetta.
Il suo nome deriva dalla parolacas’, che in dialetto napoletano vuol dire cacio: ha origini sono molto antiche, ma le prime tracce della sua diffusione nell’area partenopea risalgono al 1600 circa. La versione originale era una pasta di pane arricchita da formaggio, strutto, ciccioli (qui chiamati cicoli), salumi, uova sode e abbondante pepe: per questo nel napoletano è spesso chiamato casatiello ‘nzogna e pepe.
Al di fuori della regione, non molti conoscono la sua versione dolce, diffusa soprattutto a Caserta, ma anche a Monte di Procida e nell’area di Nola. Gli ingredienti sono farina, lievito, strutto e zucchero: l’impasto è poi arricchito con diversi prodotti, secondo la zona in cui è preparato, come acqua di fiori d’arancio, canditi, aromi di vario tipo, scorze di agrumi. Infine, la superficie è ricoperta dal naspro (una glassa ottenuta mescolando lo zucchero a velo con albume e gocce di succo di limone) e decorata con i diavulilli, cioè i confettini di zucchero.
Il tortano è un prodotto più semplice e anche meno conosciuto, probabilmente antenato del casatiello: la differenza principale sta nell’uso delle uova sode. Nel primo, le uova sono inserite intere, da crude, direttamente sulla superficie della torta, in modo che sporgano un po’ e si cuociano insieme al casatiello, mentre nel tortano sono bollite e si mettono a spicchi all'interno dell'impasto e, in alcune zone, si eliminano dalla ricetta. Anche in questo caso una pietanza pasquale, ma non è raro trovarla anche in altri periodi dell’anno.
Ci siamo fatti regalare la ricetta del tortano da Capatosta, pizzeria di Recale, in provincia di Caserta, premiata dall’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia con Uno Spicchio.
Ciaolone
Una preparazione della zona del Sannio beneventano, simile a una torta salata molto alta. Gli ingredienti necessari per realizzare il ciaolone sono farina, acqua, sale e lievito madre. All’interno è farcito con formaggi morbidi, uova e, più raramente, con dei salumi locali. Ha una forma semicircolare e un tipico segno in cima, che si crea naturalmente quando la torta si gonfia durante la cottura, spaccandosi in superficie.
Nella provincia di Benevento si mangia sia a colazione che a merenda: nel primo caso accompagnato da caffelatte o tè, nel secondo insieme a un buon bicchiere di vino bianco locale. È ormai una specialità molto rara, realizzata soprattutto dai forni storici e in casa
Panuozzo - foto di Scopri Salerno
Panuozzo
Prodotto tipico dei Monti Lattari, soprattutto nell’area di Gragnano, dove è un sostituto della pizza. Il suo nome richiama l’idea di una grande panino ed effettivamente l’estetica del panuozzo non è molto distante da questa immagine: una sorta di sandwich allungato creato con l’impasto della pizza, aperto in orizzontale e farcito all’interno (o, più raramente, in superficie). Viene riempito con mozzarella o scamorza, pomodori, verdure grigliate, affettati e salumi di vario tipo, ma anche con acciughe o sarde. Una volta inserita la farcia è rimesso velocemente in forno per scaldare e amalgamare il tutto.
Nella sua versione attuale, sono diversi gli abbinamenti utilizzati per la farcia: uno tipico è quello con salsiccia e friarielli, ma si trova spesso anche il panuozzo con la parmigiana di melanzane, quello pancetta, provola e funghi, oppure, molto più semplicemente, pomodoro, mozzarella e basilico.
Pizza di farinella bacolese
Un’antica torta rustica tipica del martedì grasso: è la pizza di farinella di Bacoli, un comune della città metropolitana di Napoli, diffusa anche nella penisola sorrentina. Chiamata anche migliaccio salato opastiera dei poveri, è prima cotta sul fuoco come si fa con la polenta, poi arricchita con ciccioli, salame, pecorino grattugiato e infine messa in forno. L’ingrediente principale una volta era il miglio (da cui la somiglianza con il migliaccio, che è invece un dolce oggi fatto con il semolino), in tempi moderni sostituito dal mais, prima il bianco e poi il giallo. All’interno, ogni famiglia metteva quel che aveva nella dispensa: pezzi di provolone o scamorza, pecorino e parmigiano grattugiato, pepe, qualche rimasuglio di salame, ma anche gli spaghetti avanzati, come si fa con la frittata.
Oggi esistono diverse varianti locali della pizza di farinella: a Bacoli, ad esempio, è tradizionale quella ripiena di salumi, uvetta e pinoli, da mangiare insieme alla minestra maritata. Nell’area di Sorrento, invece, è solitamente arricchita da salsicce fresche tagliate a pezzettini e soffritte, più uva passa, cosa che regala al prodotto un sapore particolare rispetto alla versione classica, risultato dell’abbinamento dolce-salato.
Pizza chiena irpina - foto di Mestolo e zuppiera
Pizza chiena irpina
Ci spostiamo nell’area di Avellino per raccontare la pizza chiena, una focaccia ripiena molto sostanziosa che doveva sfamare i contadini dell’entroterra irpino. Le sue origini non sono note, quale che si sa è che la ricetta è molto antica ed era preparata prevalentemente nel periodo pasquale. Come spesso accade, era una pietanza svuota dispensa: all’interno si mettevano pezzi di salsiccia secca, pancetta o soppressata, formaggi di vario tipo, ricotta di pecora e tante uova, ingrediente disponibile presso i contadini in grandi quantità. Il tradizionale colore giallo del ripieno è dato proprio dalla presenza delle uova, che sono previste sia nell’impasto, che nella farcia: il risultato è una focaccia croccante all’esterno, che racchiude un ripieno molto soffice.
Anche in questo caso esistono parecchie varianti: una di queste è la pizza cu la ricotta, diffusa soprattutto nell'alta e media Valle del Calore: all’interno si trovano ricotta mista di pecora e vacca più salumi vari, soprattutto salsicce o soppressate.
Un’altra preparazione tipica del territorio irpino è la pizza migliazza cu li frittole, chiamata così perché originariamente fatta con il miglio, ma oggi realizzata con il frumento e ripiena di pecorino e frittole, altro nome utilizzato in Campania per indicare i ciccioli di maiale. Per tradizione si mangia insieme alla minestra maritata.
Pizza di scarole
Pizza di scarole
Prima che la pasta si diffondesse sulle tavole partenopee - cioè prima del XVIII secolo - i napoletani erano comunemente chiamati “i mangiaerbe”, soprannome che derivava dall’abbondanza di preparazioni contenenti scarola o biete. La pizza con la bieta (pizza con la jeta) è infatti l’antenata di quella di scarole, e ancora oggi in alcune zone della Campania si trovano entrambe le versioni.
Il procedimento per creare questa prelibatezza è molto semplice, con l’impasto della pizza cotto direttamente con il ripieno. In origine si usava bollire la scarola (quella liscia) e poi inserirla semplicemente all’interno della focaccia. Nelle versioni moderne invece, la scarola è cotta in padella insieme all’aglio, alle olive nere di Gaeta, ai capperi, ai pinoli, all’uva passa e alle acciughe sotto sale. È la pietanza tradizionale del cenone della vigilia di Natale, quando si deve consumare un pasto leggero, ma oggi si trova in commercio anche durante tutto l’inverno.
Scanata del Sannio
Un’altra specialità dalle zone del Sannio beneventano dalle origini molto antiche. Il suo nome potrebbe derivare sia dalla parola greca ìscanan, che vuol dire raffreddare, sia dalla contrazione di scanestrare, cioè estrarre dal canestro, il contenitore in vimini in cui si mette l'impasto preparato con farina, acqua, sale e lievito naturale. Lì lieviterà per almeno un’ora e mezza, questo passaggio regala alla focaccia un colore ambrato in superficie.
Si può mangiare sia calda che fredda, tagliata a quadretti e accompagnata da formaggi freschi, olive e salumi. In alcuni casi è tagliata in orizzontale e condita come si fa con il pani cunzatu siciliano. Anche questo prodotto è diventato molto raro: in genere si cucina in famiglia, ma si può trovare anche in qualche forno storico della provincia.
Ricetta del tortano della pizzeria Capatosta di Recale (Caserta)
Ingredienti
1,7 kg di farina 00
1 l di acqua
45 g di sale
2 g di lievito di birra
10 uova sode
300 g di prosciutto cotto
300 g di salame
300 g di cicoli napoletani (ciccioli)
300 g di formaggio non molto stagionato (piccante o dolce a piacere)
pepe
strutto
Procedimento
Per realizzare l’impasto iniziare mettendo l’acqua in un contenitore e aggiungendo prima il sale e poi, poco per volta, metà dose di farina. Incorporare il lievito e il resto della farina. Lasciare lievitare per 12-14 ore a temperatura ambiente, coprendo il recipiente con un canovaccio: la massa deve raddoppiare il suo volume.
A questo punto stendere l'impasto creando un disco non troppo sottile: ungerlo con lo strutto o, in alternativa, con un buon olio extravergine d’oliva. Spezzettare gli ingredienti del ripieno, inserirli al centro e arrotolare su se stessa la pasta. Ungere unruoto (la teglia con il buco al centro utilizzata di solito per i dolci) e mettere la focaccia all’interno. Spennellarla in superficie con del rosso d’uovo e infornarla a 200 gradi per circa 40 minuti, se possibile nel forno a legna. Lasciare raffreddare, tagliarla a fette e servirla.
Capatosta | Recale (CE) | via Guglielmo Marconi, 80 | tel. 0823 493188 | www.facebook.com/Pizzeriacapatosta
a cura di Francesca Fiore
foto di apertura: La voce di Napoli
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