La cucina italiana in Usa? Ce la racconta Cesare Casella

4 Mar 2014, 09:12 | a cura di
Cesare Casella cucina, insegna, importa, fa consulenze, studia ma soprattutto diffonde la vera cucina italiana in America. Con le sue molte attività ha un ruolo di primo piano nell'immaginario gastronomico a stelle e strisce e rappresenta una tradizione fatta di materie prime e cultura popolare, semplicità e sapore. Altra cosa la cucina italo-americana, che – dice - ha una sua storia e una sua dignità. Ecco cosa ci ha raccontato.

Con Cesare Casella il cibo è memoria e ricordo. Una tradizione basata saldamente su semplicità e genuinità nella preparazione e amore nella scelta delle materie prime. Non a caso porta sempre con sé, nel suo taschino, del rosmarino fresco. Per non perdere l’attaccamento alla terra e portare con sé un po' di quel Mediterraneo lasciato più di venti anni fa. Nato a Lucca, la sua cucina è un omaggio alla Toscana. Quella della sua infanzia, della raccolta delle olive, delle zuppe di legumi, delle botteghe di salumi nelle strade, quella dei gesti lenti e delle tradizioni che si tramandano. Così dopo aver lavorato nella trattoria di famiglia a Lucca, Vipore, Casella lascia l’Italia e si prepara all’avventura americana. Oggi a New York gestisce Ristorante Rosi e Salumeria Rosi; è direttore del dipartimento di studi italiani all’International Culinary Centre di NY e fondatore della Republic of Beans, una realtà che non solo importa legumi e materie prime dall’Italia ma che ha l’obiettivo di promuovere la tipicità del territorio, inoltre è uno dei leader del GVCI (Gruppo Virtuale Cuochi Italiani). Nel Nuovo Mondo si è fatto apprezzare grazie soprattutto a una cucina senza fronzoli che parla direttamente al cuore. Il suo motto è: “essere italiano non dipende dal cibo che mangi o da come ti vesti. Dipende dallo stile di vita che abbraccia semplicità, conoscenza e gioia di vivere”.

Oggi che il pubblico americano è più consapevole nei confronti di quello che mangia, come viene percepita la cucina italiana contemporanea?
La cucina italiana è cresciuta moltissimo in prestigio e qualità. Merito sicuramente dei ristoranti, degli chef, delle riviste che hanno contribuito a diffondere un’immagine nuova. La cucina è diventata un fatto sociale. In questi ultimi anni è cresciuta la voglia di imparare la cucina italiana, di apprendere le tradizioni, riconoscere i sapori. Gli americani sono più consapevoli rispetto a quello che mangiano e c’è molto interesse per tutto ciò che è Made in Italy.

Lei, con la sua cucina toscana, ha contribuito alla valorizzazione dell’elemento regionale. Questa differenza regionale nella cucina, viene percepita in America come da noi o per loro c'è solo la 'cucina italiana'?
In realtà credo che la cucina italiana sia universale nella tecnica e divenga regionale nel momento in cui si usano materie prime tipiche di una regione. Una cucina può essere innovativa anche se basata su ingredienti e materie prime tipiche di una regione.

Parliamo invece di cucina italo-americana. C’è spesso un certo atteggiamento snob quando si parla della cucina portata dagli emigrati nel nuovo mondo.
La cucina italo-americana è un genere a sé ed è inutile fare sempre un confronto. Senza la cucina italo-americana la cucina italiana non sarebbe diventata popolare. È una cucina con molte tradizioni, più forti rispetto a quella di oggi. Il comfort food, il cibo degli emigrati che rimanda alle tradizioni del paese natale, di quella terra che hanno lasciato quando sono partiti, ha una sua storia importante, ed è da rispettare. Ci sono ristoranti come Carbone che si identificano come italo-americani proprio perché riprendono quella cucina nella sua essenza e rispettando la sua storia. È un ristorante di cui ha parlato anche il New York Times, elogiandolo, ed è un posto molto gettonato e in voga a New York negli ultimissimi anni.

Quando citiamo la cucina italiana di qualità e autentica, è necessario pensare a ristoranti dove debba essere presente uno chef italiano, secondo lei?
Assolutamente no. Ci sono ottimi ristoranti italiani con a capo chef americani o di altra nazionalità e ci sono pessimi ristoranti italiani gestiti da italiani. Penso a Marea, ristorante italiano stellato che porta la firma dello chef Michael White. Esiste solo la cucina buona e meno buona, non è una questione di nazionalità, anche se gli italiani partono in vantaggio.

A New York c'è tutto. Ma cosa succede però nel resto degli Stati Uniti?
Le grandi città come New York, San Francisco, Los Angeles, hanno ristoranti eccellenti dove si mangia benissimo. Di recente sono stato a Portland, Oregon, e anche lì ho scoperto come non è difficile trovare un buon ristorante italiano e ottimi prodotti italiani. Non è più come 15 anni fa: oggi i prodotti italiani, anche quelli più ricercati, si trovano bene o male ovunque. Certo, in alcune regioni e aree più rurali forse è più difficile.

In Italia va di moda la definizione “cervelli in fuga” ma anche di “cervelli in viaggio”. Molti di questi sono giovani chef che vedono nell’estero una tappa fondamentale per la formazione ma anche per il lavoro. Potrebbe tracciare un profilo dello chef italiano che oggi arriva in America?
A New York oggi non vedo questa ondata emigratoria come negli anni novanta quando sono arrivati in massa molti chef dall’Italia. Probabilmente non sarà così nelle altre città americane. Oggi è più difficile venire negli Stati Uniti perché le leggi sull’immigrazione sono diventate più severe, è difficile lavorare qui se non hai uno sponsor. Inoltre, gli chef in Italia guadagnano benissimo.

Alcuni chef blasonati e stellati sembrano abbandonare l’idea dell’alta ristorazione esclusiva e danno vita a nuovi concept più accessibili. Per esempio la bistronomia in Francia, e non solo lì. Quali sono le tendenze in Usa?
Tutte le tendenze iniziano qui. Quello che vediamo oggi in Italia probabilmente è accaduto in America dieci anni fa. Oggi nella ristorazione si afferma appunto sempre di più la ricerca della semplicità, del terroir, il rispetto degli ingredienti e una continua valorizzazione delle tipicità.

Oltre ad essere uno chef è anche preside del Dipartimento di italianistica all’Istituto Italiano di Cultural. Quali sono gli aspetti principali su cui puntate nella formazione?
Sulla conoscenza dell’Italia, delle materie prime italiane, dei sapori e delle tradizioni. Non a caso i nostri studenti devono trascorrere obbligatoriamente un periodo di studi in Italia.

Lei è anche capo del Dipartimento di Nutrizione al The Center for Discovery, dove promuove sostenibilità e nutrizione. Come è oggi la situazione negli Usa? Pensa che in America ci siano più campagne di sensibilizzazione nei confronti della sana alimentazione rispetto all'Italia dove, pur con il mito della dieta mediterranea, un cittadino su 10 è obeso?
C’è una maggiore sensibilizzazione negli Stati Uniti perché il problema è maggiore. La nostra dieta italiana è la migliore anche perché ha un'origine povera. In America, invece, più sei povero più mangi male. Nel nostro centro abbiamo delle fattorie biodinamiche, educhiamo all’alimentazione sana e sostenibile.

Non più solo tra i fornelli. Oggi, i suoi colleghi sentono la necessità di fare parte del mondo dello show business, scrivere libri, fare eventi, trasformarsi in imprenditori. Una moda o un’evoluzione inevitabile del cuoco di una volta?
Un’evoluzione inevitabile ma anche una moda. Oggi lo chef è una star, un uomo di spettacolo.

Maestro Casella, lei, quando torna in Italia, dove e cosa preferisce mangiare?
Amo la cucina semplice, regionale, che valorizza il territorio e i suoi elementi. La cucina che ti restituisce il senso del tempo, della semplicità del momento.

Salumeria Rosi | USA | NewYork | 283, Amsterdam ave | tel. +1.212.8774801 | http://salumeriarosi.com/it_ny/home/
Salumeria Rosi | USA | NewYork | 903, Madison ave | tel. +1.212.5177700 | http://salumeriarosi.com/it_ny/home/

a cura di Liliana Rosano

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