Studia e pratica la cucina italiana in Giappone, poi viene in Italia – alle Calandre degli Alajmo – e qui unisce il “suo” italiano alla libertà e alla fluidità appresa da Massimiliano: ne nasce una fusion di tipo mediterraneo, Italian oriented, declinata all’utilizzo del crudo. Piatti gustosi, nuovi, freschi. Ottimi accanto ai nostri migliori vini: da provare.
È il trait d’union tra Oriente e Occidente, tra Giappone e Italia… Hirohiko Shoda, o più semplicemente Hiro, cuoco trentasettenne vissuto fra Tokyo e Padova (Rubano, per la precisione), ha studiato cucina italiana in patria e ha gestito quattro ristoranti italiani in Giappone; poi ha deciso di fare una full immersion nelle cucine che amava e si è ritrovato per oltre sette anni a fianco di Massimiliano Alajmo. Qui è cresciuto, poi ha spiccato il volo. E ora si sbizzarrisce con le sue mille interpretazioni dell’Italian style ai fornelli in un mix divertente e soprattutto molto molto gustoso di tecniche e ingredienti. Dove la cifra mediterranea, e in particolare italiana, è sempre molto presente e netta, nel metodo e soprattutto nella filosofia: che poi è la chiave del grande successo del gusto tricolore nel mondo.
Raccontiamo la sua storia perché è interessante capire come le cucine possano interagire e soprattutto come la cucina italiana abbia molte possibili chance in futuro, contaminandosi ed espandendosi, oltre la tradizione o la cucina regionale per diventare una vera e propria filosofia di approccio al cibo.
Il leit motiv è tutto impostato sulla semplicità, sulla grande varietà di materie prime, sulla leggerezza: elementi che Hiro ritrova anche nei vini italiani, nel loro stile che tanto li differenzia da quelli francesi o d’Oltreoceano. “Avevo 29 anni e già da dieci lavoravo in Giappone sulla cucina italiana. A un certo punto ho deciso però di approfondire e ho voluto provare a cucinare con Massimiliano: lo conoscevo tramite internet e tramite le sue ricette, sentivo di avere in comune con lui un’idea della cucina: fluidità e leggerezza. Come la vita, come l'aria e l'acqua che non sono mai le stesse, che scorrono e cambiano forma continuamente, così è la vita e così deve essere interpretata la cucina: senza troppi schemi, senza sovrastrutture, senza gabbie. Sentivo, con Max, di avere un approccio simile”racconta Hiro mentre sta cucinando nelle cucine di studio del Gambero Rosso Channel dove registra le sue puntate di Ciao, sono Hiro!sotto la regia divertita di Stefano MonticelliÂÂ che con lo chef giapponese ha ideato il programma. L'idea che aveva della cucina italiana in Giappone era quella nata dalla sua esperienza decennale in locali che macinavano centinaia di clienti al giorno, in cui la ripetizione precisa delle preparazioni scandiva il ritmo delle giornate. Poi la decisione di fare un'esperienza diversa. “In Giappone mi ero costruito delle idee fisse sulle cose: la pasta doveva esser fatta in un modo preciso, la bottarga andava usata in un certo modo”. Arrivato in Italia, da Alajmo ha riscoperto la libertà e l'importanza della leggerezza. Che poi vuol dire verità:ÂÂÂÂÂ “in Giappone cercavamo la perfezione nel piatto, con Massimiliano ho cominciato a cucinare e impiattare al momento: non c'era più lo schema fisso della ricetta”.
È un cambio di prospettiva: la leggerezza diventa sinonimo di immediatezza, e si basa sulla qualità degli ingredienti, così libertà significa naturalezza: non solo nel piatto, ma anche nella vita e nei rapporti di tutti i giorni. Leggerezza e naturalezza che Hiro ritrova nella cucina italiana. “Seguendo questa filosofia si può trovare grande armonia in cucina”.
Da qui, Hiro si concentra molto sul crudo. “La lavorazione a crudo e fatta al momento permette di avere cibi più freschi, meno ossidati: con Massimiliano abbiamo cominciato dal pistacchio, a lavorarlo fresco. Poi abbiamo fatto così per la maionese e la senape, lavorate con ingredienti freschi e al momento. Non esiste una cucina che 'deve essere così'. Prendi il radicchio tardivo: puoi tirarci fuori dei piatti cucinati molto buoni e tradizionali. Ma puoi anche farci dei piatti usandolo crudo, e non è mica meno buono!”.
Per convincersene basta provare il profumo e la goduriosa sostanza di un piatto come i Gamberi rossi al radicchio tardivo, marinati in extravergine e agrumie poi uniti a una salsa di pistacchi di Bronte, bottarga, sorbetto di melagrana e cipolla rossa di Tropea: un inno al sapore e alla freschezza, un piatto semplicissimo, ma di una complessità estenuante.
“Il crudo è un modo per avvicinarmi di più alla natura, alla natura degli ingredienti: in natura ci sono ingredienti già pronti in sé, belli e saporiti; sarebbe un peccato rovinarli. Pensate alle cure che un coltivatore ci ha messo in quel frutto: ogni giorno a vedere come cresce, come viene su, come è quando matura. Insomma, è un po’ come con un figlio. Pensa se tuo figlio va a scuola e tu lo inciti a studiare, a portare bei voti… ma poi ti accorgi che tutto quello che sta facendo e su cui lo hai stimolato non ha alcun valore, non servirà a nulla nella vita perché tanto i criteri di scelta e di selezione saranno tutti diversi rispetto a ciò per cui il ragazzo si è preparato. Nello stesso modo, il lavoro di un cuoco non è quello di distruggere un ingrediente, ma fare da medium tra la materia prima e l'ospite a tavola. La fragola, coi suoi colori, la forma i suoi semini... Non è già un'opera d'arte?”
Hiro definisce la sua una cucina italiana, perché mantiene viva l'attenzione verso la geografia, la storia, il clima e la cultura della Penisola, verso i territori che danno origine a piatti estremamente diversi da regione a regione.Ma senza che questo diventi il limite: “Non cerco delle categorie: non chiudiamoci nelle gabbie. Fino a qualche anno fa la gabbia della nazione, dell’identità nazionale era forte e serviva a creare identità: oggi la situazione è diversa, l'identità va ben oltre i confini geografici. Oggi siamo umani, tutti. Io stesso sono convinto fermamente che da una cultura diversa si può imparare molto”.
Come gioca invece il vino italiano nel mondo? Come funziona, ad esempio, sui piatti più tipicamente giapponesi? Per Hiro la cucina italiana sta bene col vino e la giapponese meglio con sake, ma, aggiunge che alla fine anche questo è un luogo comune, un’abitudine, da tradire e mettere continuamente alla prova. L'idea è divertirsi e aprire la mente, scoprire gi abbinamenti, uno tra tutti? Piatti giapponesi con bollicine italiane, ad esempio, con il Prosecco.
Insomma: “Se uno dice che il manzo brasato va solo col Barolo, i giochi sono fatti: non c'è più nessun divertimento, nessuna spinta a giocare con altri elementi”. Quindi, se possibile, meglio provare ad accompagnare i diversi piatti con diverse bevande.In una parola: sperimentare. “Ho fatto una tartare di carne con scampi, caviale, salsa di ostriche ed erba cipollina: lo spumante ci andava benissimo. Però ho fatto la salsa di ostriche frullando i molluschi con del limone e rendendola molto acida: così ho capito che ci stava molto bene anche della semplice acqua frizzante, così come un bello Chardonnay o un buon Soave! Io guardo al mio lavoro pensando al futuro. Penso agli studenti, ai giovani, e guardo al cibo con mente aperta. Attenzione però: in molti ristoranti vedo molta confusione, più che fusione!”. Ovvero che si seguono mode e tendenze sul fronte della tecnica e della tecnologia che fanno abbassare i costi di produzione e della mano d’opera. “Va anche bene, ma l'attenzione principale deve comunque essere verso la materia prima: che va rispettata. Mi ha fatto impazzire un piatto di Giorgione, l'oste protagonista del programma sul Gambero Rosso Channel: ha buttato un pezzo di zucca in forno e poi ci ha messo vicino una ricotta freschissima... Incredibile, perfetto!”
a cura di Stefano Polacchi
foto: Francesco Vignali
Le ricette di Hiro e gli abbinamenti con i vini Tre Bicchieri sul numero di Aprile 2014 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui
Hiro è il protagonista del programma Ciao sono Hiro, in onda ogni lunedì, ore 21.30, solo su Gambero Rosso Channel canale 411 di Sky