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Una piccola rivoluzione si sta compiendo. Rispetto a pochi anni fa, sugli scaffali dei supermercati oggi si può trovare anche extravergine di eccellente qualità prodotto sia da piccole aziende agricole italiane, sia da alcune grosse industrie (che spesso si affidano ai medio-piccoli conferitori o produttori di qualità per le loro selezioni d’alta gamma). Il problema, se mai, è che il consumatore spesso non è in grado di individuarlo ed è portato a scegliere ancora e sempre in base al prezzo. La Grande Distribuzione Organizzata (GDO) commercializza l’80% dell’extravergine venduto in Italia. Il 93% di questo mercato interno è coperto dai prodotti convenzionali, vale a dire non certificati Dop o Igp e di cui non è tracciata l’origine. Si tratta per lo più di blend di oli provenienti da diverse aree del Mediterraneo: oltre all’Italia (spesso dal Sud), Spagna, Grecia, Turchia,Tunisia, Siria ecc. I quantitativi di olio prodotti in Italia (500mila tonnellate) non sono infatti sufficienti a far fronte alle richieste dell’industria che si deve approvvigionare altrove, fanno presente all’Assitol, l’Associazione degli industriali. Secondo Assitol, che da tempo chiede forti investimenti in olivicoltura, sarebbero necessari quantitativi doppi rispetto alla attuale produzione.
L’Italia produce esattamente la metà della Spagna che, nel triennio ‘95-98, ha impiantato qualcosa come 45 milioni di olivi. Noi, nello stesso periodo, 1 milione e mezzo di piante.
Tullia Gallina Toschi, ricercatrice e docente del Dipartimento di Scienze degli alimenti (Facoltà di Agraria) dell’Università di Bologna, ha di recente fotografato la situazione dell’offerta di olio d’oliva in un medio supermercato di Bologna contandovi 72 referenze (tutte di extravergine) delle quali il 69% si riferiva a un convenzionale, il 24% ai Dop, il 3% a Igp (che ad oggi riguarda solo la Toscana), l’1% ai Bio mentre il 3% rimandava all’indicazione Novello che per altro non potrebbe essere utilizzata. «Si è trattato, afferma Gallina Toschi, di una visita fatta con l’occhio di un consumatore che fa la spesa di sabato. Una foto interessante, ma parziale e limitata a un’area soltanto, al di là dei dati aggregati nazionali – sensibilmente diversi – che Istituti come Ismea forniscono sul settore».
Secondo Ismea la foto delle quantità di oli e grassi acquistati dal consumatore è così suddivisa: 51,1% di extravergine convenzionale, 0,4% di Dop e Igp, 0,4% di Bio. «È interessante notare, afferma Gallina Toschi, come il 3% del campione considerato in un singolo supermercato presentasse in etichetta la scritta Novello non consentita per legge. Segno evidente di come l’appeal del fresco sul consumatore valga, per alcune aziende, il rischio della trasgressione alla norma. Ma a colpirmi è soprattutto la forbice di prezzo: da 2,89 euro a 8,85 euro per gli extravergini convenzionali e dai 6,30 euro ai 26,16 euro
per quelli certificati. In molti casi l’extravergine di primo prezzo costa meno degli oli raffinati (oliva e semi)».
«Il punto critico dell’offerta della grande distribuzione è il primo prezzo se non addirittura il sottocosto», spiega anche Luigi Caricato, uno dei più preparati oleologi italiani e animatore del sito Teatro Naturale, che ha di recente sollevato il caso dell’olio Primadonna dell’Oleificio Rocchi, venduto da Lidl a 1,69 euro al litro. Secondo Caricato il sottocosto praticato in molti supermercati si può giustificare sino a un certo punto: «È vero, sostiene, che la GDO fa politiche di marketing piuttosto aggressive, ma ci deve essere un limite a tali strategie. È a rischio il prodotto olio extravergine di oliva. Il sottocosto porterà gli agricoltori ad abbandonare la coltivazione. È vero che nel Nord Africa ci sono vaste pianure con uliveti superintensivi e i costi si abbattono ma ciò non giustifica né legittima prezzi così bassi, persino più di quelli di grassi di qualità inferiore agli extravergini ».
Il sospetto che si possa trattare di miscele con oli deodorati è dunque più che plausibile. L’Arpam di Ascoli Piceno – la stessa che negli anni scorsi in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato scoprì il latte all’Itx e il peperoncino colorato con il cancerogeno Sudan – ha recentemente analizzato 33 campioni di extravergine prelevati nei frantoi marchigiani e altri 35 acquistati presso esercizi commerciali in gran parte etichettati come “miscele di oli comunitari” rintracciandovi, in un terzo dei campioni, concentrazioni altissime di alchil esteri. Tenete ben a mente questo nome – alchil esteri – perché, con l’approvazione del Regolamento Comunitario 61/2011 è stato introdotto un nuovo metodo analitico di valutazione della qualità degli oli basato proprio sul valore di queste molecole. Il che non è poco. In pratica, più il valore degli achil esteri è basso, migliore è la qualità della materia prima (le olive) al momento della lavorazione. Al contrario, valori elevati di alchil esteri indicano un olio proveniente da olive sovramature o che hanno subito dei processi fermentativi indesiderati lasciando una traccia indelebile. L’olio ricavato da olive degradate, danneggiate o conservate in pessime condizioni è un olio non commestibile (lampante) ma i produttori di pochi scrupoli, dopo averlo opportunamente deodorato, lo miscelano con partite di olio senza difetti vendendolo come extravergine.
L’Unione Europea ha ora accettato il limite di alchil esteri di 75mg per chilo. Tenendo conto che in oli impeccabili questi valori sono inferiori a 10/15 mg per chilo, si tratta certamente di un compromesso, che fornisce tuttavia un utile strumento di valutazione della qualità degli oli.
Nei campioni dell’Arpam, per intenderci, i valori viaggiavano sui 150mg sino ad arrivare a 1000..... Dunque, circa un terzo di quei campioni di extravergine sarebbero stati giudicati, alla luce dei nuovi limiti europei, fuori norma e non etichettabili come extravergini. La normativa non è purtroppo retroattiva e dunque gli oli fuori norma delle passate produzioni resteranno tranquillamente sugli scaffali ancora per un po’... ma, per il futuro, non sarà più solo il prezzo ad aiutarci a scegliere!
Raffaella Prandi
giugno 2011