È arrivata dal Messico l'Opunzia di Dillenius (Opuntia dillenii). Ma ha trovato un habitat talmente congeniale in alcune aree del Mediterraneo che oggi è il Salento a vantarne piantagioni spontanee sulle scogliere in roccia battute dal vento, con i frutti succosi che occhieggiano tra la macchia mediterranea al profumo di timo. L'Opunzia è un cactus, un piccolo fico d'India troppo spesso confuso con il fratello maggiore (l'Opuntia ficus-indica) per la somiglianza che a prima vista potrebbe ingannare l'occhio meno esperto (le spine a uncino, le pale di forma analoga, il Paese d'origine).
MARGHERITA DIVÌCCARO
Ma Margherita Divìccaro, triestina trapiantata nella Puglia più estrema, ha imparato a conoscere questi frutti color magenta - dalla polpa meno dolce rispetto al più comune fico d'India – in gioventù, quando durante un viaggio in Messico ne rimase affascinata. Così, quando diversi anni più tardi decise di trasferirsi a Tricase, nel Parco Regionale naturale Costa Otranto/Santa Maria di Leuca/Boschetto di Tricase, la via da intraprendere le fu subito chiara: restituire dignità all'Opuntia a fichi rossi impegnandosi nel coltivarla (unico esempio nel Sud Italia) in piccoli fazzoletti di terra rossa vicino al mare, con metodi completamente naturali, senza l'ausilio di macchine, né pesticidi o concimi, ma solo assecondando la coesistenza di questi begli esemplari di cactus con orchidee spontanee, mirto, asfodeli e lentischi, strappandoli alla brutalità dei diserbanti. Le proprietà e il gusto di questi piccoli frutti – che arrivano a maturazione in inverno – sono molto apprezzati in Messico, nel Centro America, in Sudafrica, Israele, India e Isole Canarie, dove da sempre gli sono riconosciute proprietà benefiche (sono ricchi di antiossidanti, vitamina C, Calcio, Potassio, Fosforo e Manganese) e indubbie potenzialità gastronomiche.
UN FRUTTO TUTTO DA SCOPRIRE
In Italia invece, prima dell'arrivo di Margherita, il pregiudizio ha sempre portato a ritenere l'Opunzia una pianta ornamentale dai frutti non commestibili, se non tossica a causa del gusto leggermente acidulo della polpa. Ma è proprio l'acidità del frutto a garantire piacevoli sentori di ribes rosso, uva, amarena e profumo di rosa che ne fanno una materia prima incredibilmente interessante da lavorare; come ha scelto di fare Margherita Divìccaro.
Il processo di estrazione della polpa è lungo e certosino: a mano, uno per uno, i piccoli frutti vengono privati delle glochidi urticanti con l'ausilio di doppi guanti, iuta, sabbia e movimenti rotatori precisi che non stressino la cuticola. Poi, inviati in un'azienda di trasformazione artigianale, i frutti despinati sono tagliati a metà (con la buccia) e svuotati manualmente (per eliminarne i semi, che a differenza del più noto fico d'India non sono commestibili); se ne ricavano pezzi interi di frutto e polpa spremuta a freddo. Gli ingredienti ideali per realizzare le conserve dolci messe in produzione dalla signora Margherita: confettura extra/composta e fondente/mostarda. Pochissimo lo zucchero aggiunto in cottura (il 20%) per salvaguardare tutte le proprietà organolettiche. Niente pectina, stabilizzanti, correttori o conservanti.
Una piccolissima produzione di nicchia che risponde ai criteri più autentici di agricoltura naturale e tutela della biodiversità vegetale. E, oltretutto, fornisce un prodotto di qualità dal sapore intenso e coinvolgente; sin dal color porpora brillante che invoglia all'assaggio. La sua orgogliosa ideatrice ce ne consiglia l'abbinamento con quenelles di ricotta, panna cotta, biancomangiare o cheesecake, ma anche un più insolito accostamento con tartare di pesce, polpo, seppie.
È una bella storia di passione quella di Margherita, coraggiosa imprenditrice controcorrente che invece di risalire l'Italia in cerca di stabilità ha invertito la rotta, portata dal cuore a Sud. Una storia che merita di essere raccontata.
a cura di Livia Montagnoli
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