Virgilio Martinez
Il suo è un approccio da esploratore, e il frutto della sua ricerca lo mette in scena ogni giorno per 60 persone nel suo Central di Lima. In quella metropoli di 9 milioni di persone, sintesi di contrasti e armonie, Virgilio Martinez racconta il Perù attraverso i suoi i piatti. Il menu è un'antologia dell'incredibile varietà paesaggistica e climatica del paese che in poco più di un milione e duecentomila chilometri quadrati (quattro volte l'Italia) racchiude altitudini diverse e quasi tutti i microclimi e gli ambienti del pianeta. Dalle terre bagnate dal Pacifico alla pianura arida subito a ridosso dell'Oceano, dai rilievi andini che toccano facilmente i 6mila metri sopra il livello del mare alle foreste tropicali: un territorio ricchissimo e vario, con diversi ambienti naturali, climi, etnie e il retaggio di civiltà precolobiane con il loro carico di cultura e tradizioni.
Il Perù, la biodiversità gastronomica e il ruolo di Gastron Acurio
In sintesi: uno scrigno di ricchezze e varietà, ancora in parte da valorizzare che solo egli ultimi anni sta registrando una crescita decisa che ha fatto gridare in molti al “miracolo peruviano”. Merito anche della gastronomia contemporanea. Che è una cucina di filiera, capace di valorizzare le tradizioni e sostenere tutto l'indotto che si muove intorno ai cibi nativi.
Un approccio che ha segnato un punto di svolta, a partire dal padre di tutti gli chef contemporanei peruviani, Gaston Acurio che, dice Martinez “è un missionario. Col suo lavoro, in più di 15 anni ha strutturato la cucina peruviana e l'ha preparata per il mondo”. L'impatto di questa cucina di oggi, strettamente connessa con gli ambienti e le popolazioni locali, è stato decisivo per la sopravvivenza degli abitanti delle diverse regioni peruviane e per la custodia della loro identità, delle tradizioni e dei panorami. Dell'esperienza di Acurio, Virgilio Martinez conserva tutta la retorica dell'autenticità e dei territori, le istanze legate alla riscoperta dei luoghi e dei loro frutti. E fa un passo avanti.
Mater Iniciativa
Con il progetto Mater Iniciativa, Martinez mira a disegnare le coordinate gastronomiche del suo paese con un lavoro di ricerca sul territorio che mette insieme prodotti agricoli, allevamenti, gastronomia autoctona, tradizioni locali. Un approccio che si nutre di viaggi, e non può scindere i sapori dalle storie che li sottendono, così da rendere lo chef e il suo team custodi della diversità biologica e culturale. “A un certo punto conoscere dei prodotti, impiegarli nel ristorante non bastava più” spiega Martinez “li prendevamo senza dare in cambio niente se non soldi”. Per questo nasce Mater, per l'esigenza di dare in cambio qualcosa di più importante: futuro e dignità.
Il suo progetto, che coinvolge biologi, architetti del paesaggio, nutrizionisti, botanici, fotografi, antropologi, è di conoscere, documentare, studiare, e salvaguardare questi prodotti (oltre 4mila tipo diversi di patate, e 400 tipi di pan e solo per fare due esempi) e quel che gira loro intorno, ovvero le società rurali con le loro storie e culture.
Il caffè
Oggi Virgilio Martinez è in Italia a presentare la nuova linea di caffè di Lavazza. Potrebbe sembrare strano vedere proprio lui associato a una grande azienda. Lo è molto meno se si considera che Martinez è il testimonial di un progetto tutto legato al rispetto dei territori e dei suoi abitanti (le selezioni di arabica provengono da aziende agricole certificate Rainforest AllianceTM), delle tradizioni locali e del prodotto. Dietro Single Origines - due caffè monorogine, Cereja Passita dal Brasile e Selva Alta dal Perù - si nasconde l'idea del viaggio e dell'incontro, del dialogo aperto e libero da preconcetti. E su questo cammino di esplorazione dei territori con la loro geografia umana si inserisce Virgilio Martinez. Peruviano e cittadino del mondo, che ha nel suo Dna il caffè non solo come bevanda da sorseggiare al mattino, ma come pianta da conoscere, studiare e impiegare in ogni sua parte.
Del resto Martinez non è nuovo a unire poli opposti: due ristoranti in Perù (il primo e principale, il Central, aperto nel 2010 e oggi al vertice della 50 Best dell'America Latina e quinto nella classifica dei 50 migliori del mondo), due a Londra (uno, a Fitzrovia aperto nel 2012 e primo ristorante peruviano al mondo a conquistare la stella Michelin, e l'altro nel 2014 a Floral Street, angolo Covent Garden) e uno a Dubai, è anche colui che ha saputo raccontare l'identità culturale e agricola del paese e di portarla sulla scena dell'alta gastronomia mondiale. Di sdoganare prodotti nativi e tecniche contemporanee, in una comunione degli opposti che sa essere fruttifera per tutte le parti in causa.
In Perù come consuma il caffè?
Il 95% delle persone lo beve, e come nel resto del mondo la tazzina simboleggia il caffè.
Quanto tempo è che lavora con il caffè?
Praticamente da sempre: 14 anni.
Il caffè è presente nel suo ristorante di Lima. In che modo?
Sì sono da sempre legato al caffè e lo lavoro in ogni sua parte: foglie, radici, frutti, semi, pelle. È una pianta, cresce vicino a dove sono io, per questo posso fare davvero di tutto impiegandone ogni elemento.
Difficile far capire alle persone che c'è un altro modo di guardare a questo prodotto?
Nel nostro mondo si pensa al caffè e alla tazzina, ma se ne mostro una a un indigeno non la collega certo alla bevanda. Tradizionalmente, nelle zone più remote del Perù, in montagna e in Amazzonia, il caffè viene consumato in molti modi diversi.
Molto del suo lavoro in cucina è collegato alle sue esplorazioni antropologiche...
Io ho imparato moltissimo dalle comunità amazzoniche sull'uso del caffè che queste società fanno sin da tempi ancestrali. Nella nostra cultura l'energia è incarnata dal caffè, nella coltura andina l'energia è data dalla foglia di coca. È un uso completamente diverso della pianta, per esempio se ne fanno infusi. E l'infuso è uno dei modi in cui viene lavorato anche il caffè.
In che modo lei, che è abituato a rapportarsi con piccole comunità agricole o di allevatori, dialoga con una grande azienda come Lavazza?
È importantissimo lavorare anche con le grandi compagnie, non c'è contraddizione tra piccolo produttore e una grande azienda nella misura in cui si lavora su una base di buona fede. Il futuro nel mondo si lavorerà con grandi aziende e il piccolo produttore deve essere preparato.
Dal punto di vista gastronomico il Sud America è cresciuto molto, e ha fatto molto rete. È pensabile che questa rete possa uscire dai confini attuali ed essere ancora più internazionale?
C'è una strada di internazionalizzazione, e credo che oggi sia quella la strada, per certi chef e certi concetti. Non c'è solo un Perù, non c'è solo un'America Latina, ma migliaia di Americhe Latine e migliaia di Perù. C'è un problema, però: è la velocità. Il mondo corre molto, vuole tutto rapidamente e invece noi andiamo lenti.
Ma negli ultimi anni si riscontra una rande crescita, qualcuno parla di “miracolo peruviano”, ci sono stati grandi investimenti, per esempio quello di Marca Perù, il progetto di comunicazione di grande impatto che, 5 anni fa, invitava a visitare e investire nel Perù.
Puoi fare la migliore campagna pubblicitaria, puoi spendere milioni, ma se non hai contenuti non va bene, e un po' è successo questo. Hanno fatto una campagna dicendo a tutti: venite in Perù. Le persone sono arrivate e sono state bene, la condivisione è corsa veloce anche grazie ai social network, ma questo da solo non basta, serve un progetto più concreto.
In quella campagna si è parlato molto di gastronomia ma in che modo quel progetto ha portato benefici al settore?
All'agricoltura moltissimo. Oggi i nostri prodotti sono riconosciuti, i nostri piatti sono conosciuti. Sono stato a Madrid da poco e c'erano bambini di 5 anni che sapevano cosa è un ceviche. C'è stata una diffusione nell'intero pianeta dei nostri piatti e dei prodotti. I nostri cuochi hanno cominciato ad avere lavoro, prima non ce l'avevano, e le comunità che vivono nelle aree amazzoniche ora non hanno bisogno di spostarsi in città. Vivono nei loro luoghi, nella natura.
Il Perù ha una grande tradizione alimentare. Questo aiuta?
C'è sempre stato un grande orgoglio peruviano nei confronti della gastronomia e questo ha generato un grosso flusso turistico interno, e ovviamente anche un turismo internazionale che cambia molto le economie. Un turismo di lusso. Ma questa è una cosa recentissima che sta continuando ancora oggi. Ci sono persone di Hong Kong che vengono in Perù per due giorni solo per mangiare al Central e poi ritornano a casa.
Ma il governo, che nella comunicazione punta molto sulla gastronomia, in che modo è di aiuto ai ristoratori?
Io mi continuo a lamentare: il governo non sostiene a sufficienza la gastronomia perché non capisce la potenzialità di un paese dove si può fare una cucina a chilometro zero dall'inizio alla fine. Produciamo cacao, caffè, olio di oliva, abbiamo pesce, prodotti ittici dalla parte pacifica e dalla parte amazzonica abbiamo 4mila e più varietà di patate, oltre 80 tipi di mais, abbiamo tutti i vegetali possibili e immaginabili, abbiamo carne. Il potenziale è enorme, sufficiente per le esigenze locali. Ma non c'è un sostegno, non c'è un ufficio che si occupi di noi. Facciamo da soli.
Per quello ho creato Mater Iniziativa, in cui ho riunito un team di esperti con diverse professionalità, con loro abbiamo pensato un progetto a lungo termine. L'iniziativa sta dando degli ottimi risultati, che noi condividiamo con l'intera popolazione peruviana.
Ora però Mater è maturo e sta diventando un progetto sempre più grande e anche il Central ha bisogno di espandersi.
Faremo 2 cose importanti. A fine dicembre, o forse tra gennaio e febbraio, il Central si sposterà in un locale che è praticamente il doppio di quello di ora. Avremo anche una parte per Mater Iniciativa molto grande e il giardino del Central entrerà nel ristorante. Abbiamo bisogno di Mater Iniciativa a Lima, oggi Mater funziona in un locale del Central, ma è piccolino, invece ha bisogno di spazio per 15 persone.
Mater è il centro di ricerca, di interpretazione e di registrazione del prodotto. Apriremo a Cusco, precisamente a Moray, in alta quota, un posto che si chiama Mil, dove ci sarà Mater Iniciativa e un ristorante. Lì ci saranno 15 persone che lavoreranno per registrare le piante autoctone.
Ha mai pensato di creare Mater Iniciativa fuori dal Perù, in altri territori?
Stanno arrivando molte proposte per farlo in altre parti del mondo. Ma aspettiamo prima di aprire la nuova struttura per Mater Iniciativa, e poi, l'anno successvo, penseremo a replicarlo da qualche altra parte del pianeta. Il mondo è oggi molto collegato e avere un progetto e una struttura del genere solo in Perù sarebbe egoistico.
Ci spieghi meglio.
Il Perù è un grande esempio di biodiversità, per noi è facile vedere la natura, gli ecosistemi, i microclimi, le varie altitudini, mentre per gli altri paesi è più difficile e così come è più difficile per gli altri chef. Gli altri chiamano i fornitori, noi invece no, non solleviamo la cornetta, noi andiamo direttamente a cercare il prodotto. Tutto questo è replicabile anche in altri luoghi, non devono per forza essere così biodiversi... A parte Dubai.
Lo dice per esperienza diretta, dato che ha un locale lì. È così diverso?
Quando sono arrivato ho visto una pianura sterminata, dove non c'è niente, nessuna agricoltura. “Posso aprire solo una cevicheria”, ho pensato.
Nei ristoranti fuori dal Perù può replicare una cucina simile al Central?
Ora è impossibile, dovrei far viaggiare troppi prodotti. Il giorno che Mater Iniciativa diventasse più internazionale sarebbe possibile. Però oggi il nostro obiettivo non è replicare il Central. Quel che si può replicare è lo spirito. Altri ristoranti in qualsiasi parte del mondo possono riprodurne la filosofia: il contatto con i produttori, il contatto con le comunità, un lavoro di sensibilità.
Un paio di anni fa ha presentato il progetto Origenes con Mauro Colagreco e Jorge Vallejo. Come si sta evolvendo?
Il progetto continua. Noi giriamo in America Latina, cerchiamo tradizioni e le mostriamo al mondo moderno. Adesso andremo in Patagonia, nella parte Argentina, siamo andati 4 mesi fa a Wakaka, in Messico, e poi dopo andremo nuovamente a Cusco.
Origenes, Mater Iniciativa ma anche il Nordic Food Lab. In tante parti del mondo si creano progetti simili, di raccolta e documentazione del patrimonio agroalimentare, a partire da un approccio multiculturale. Come mai?
Succede in modo organico perché è strettamente necessario. Perché un cuoco cieco, che non vede la propria natura intorno, non ha molto da dire in un ristorante. Dobbiamo smettere di affidarci unicamente ai fornitori, talvolta è indispensabile, certo, ma dobbiamo farlo in modo limitato.
È necessario conoscere le persone?
Esatto, voglio sapere chi coltiva i miei asparagi, chi le mie patate. E non solo per acquistarli, io devo andare a casa sua, mangiare con lui, dormire a casa sua. Devo capire il suo fabbisogno.
Conosce la gastronomia italiana?
La conosco abbastanza. I cuochi? Conosco quelli più noti. Alla cucina del Central è venuto Niko Romito per Gelinaz. Inoltre una delle migliori esperienze della mia vita è stata da Enrico Crippa al Piazza Duomo, 4 anni fa.
Trovi cose in comune tra la tua cucina e quella italiana?
Sì: il minimalismo di Niko, il sapore, la presentazione. Vedo parecchi elementi in comune, anche se abbiamo regioni, natura, tradizioni e contesti diversi. A livello di cucina popolare peruviana, invece, c'è molta influenza della tradizione italiana perché molti italiani sono arrivati in Perù in passato.
Porta con sé idee o suggestioni dalle esperienze fatte negli altri locali fuori dal Perù?
Moltissime. Ogni volta che mi reco in un posto torno a casa con qualcosa, un'idea, un concetto. Mai con un prodotto. E se riporto prodotto, è solo per conoscere come è stato trattato, per approfondirne la tecnica, la mia cucina è molto influenzata da tecniche prese da fuori.
In che modo si fonde?
Per esempio quando sono stato a Tokyo e Hong Kong ho imparato molto su come trattavano il pesce, perché cerco sempre il miglior trattamento di ogni prodotto, cerco i migliori chef che lavorano una materia prima. Se vado in California, per esempio, cerco la migliore azienda di avocado. In questo sono aperto perché potrei dire il Perù è il paese del pomodoro, il Perù è il paese della patata, dell'avocado, di tutto. Ma vado in un altro paese e vedo. Bisogna essere molto umili. Nel mio cibo c'è un messaggio molto peruviano ma potrebbe essere un errore essere troppo nazionalista. Alla fine credo la mia sia una cucina molto internazionale fatta conoscendo e raccontando la mia regione.
Central | Perù | Lima | Santa Isabel, 376, Miraflores | www.centralrestaurante.com.pe
a cura di Antonella De Santis
foto di Virgilio Martinez: Brambilla Serrani