Ricapitolando: l'Internet of Things attraverso software, applicazioni, reti, telecamere e sensori, è in grado di massimizzare la produzione, ridurre al minimo i rischi e incrementare l’efficienza anche in un settore, così tradizionale, come quello dell’agricoltura. Dalle risaie alle vigne.
L'Internet of Things in vigna
In vigna come funzionano le cose? Lo abbiamo chiesto a Massimiliano Brambilla di Vigne Olcru, azienda operativa da soli tre anni che, grazie alle collaborazioni con lo Iulm e il Dipartimento di Scienze Ambientali e Agrarie dell'Università degli studi di Milano, è all'avanguardia nella viticoltura progettuale e di precisione. Loro utilizzano satelliti che mappano i terreni suddividendoli in dieci categorie (e colorazioni) differenti, ciascuna corrispondente a un livelli di concimazione. “In questo modo distribuiamo solo il tipo e la quantità di concime necessario. Con risultati soddisfacenti: di anno in anno miglioriamo la qualità e la fertilità del terreno. Sempre attraverso i satelliti riusciamo anche a controllare la maturazione delle uve”. Oltre ai satelliti dispongono di stazioni meteo che ogni quindici minuti misurano cinque indici statistici (quantità di pioggia caduta, velocità e pressione del vento, umidità relativa, umidità assoluta, punto di rugiada): “Le rilevazioni ci hanno permesso di ridurre del 50% l'uso dei fitosanitari”. Non male.
Piccola parentesi: Vigne Ocru sta sperimentando, in collaborazione con gli studenti del master in Food and Wine Communication (organizzato da Iulm e Gambero Rosso), il neuromarketing. Nuovo approccio al marketing che nasce dall’associazione tra quest'ultimo e le neuroscienze, con lo scopo di comprendere quali siano i meccanismi che spingono le persone ad acquistare un certo prodotto. Perché, durante le indagini di mercato sul gradimento di un prodotto, non sempre le persone dicono quello che provano o provano quello che dicono. Con il neuromarketing, invece, si hanno delle risposte attraverso una misurazione “scientifica”: del battito cardiaco, della sudorazione, della reazione della pupilla e così via. Ma questa è completamente un'altra storia.
Le aziende vitivinicole che lo usano
Ora però siamo curiosi di capire se l'IoT sia realmente applicabile a un'azienda “normale” (che non faccia parte di un progetto finanziato da terzi, come nel caso di Ente Nazionale Risi e Kellogg, o che non collabori con le Università). Michele Manelli, della cantina Salcheto, afferma che alcune tecnologie IoT sono abbordabilissime, soprattutto se legate alla mappatura dei terreni: “Abbiamo delle centraline meteorologiche collegate in rete con un centro di elaborazioni dati”. In che senso? “Noi inviamo in tempo reale le informazioni delle varie zone vinicole omogenee, dalla temperatura all'umidità fogliare, a una società di servizio. Questa acquisisce tutte le info e, attraverso dei software, restituisce dei modelli fitosanitari decisamente più efficienti rispetto a quelli che un agronomo può apprendere da un libro (loro si appoggiano a Horta Srl, uno spin off dell'Università Cattolica di Piacenza). È praticamente uno scambio di dati: noi nutriamo la loro banca dati e loro ci restituiscono delle indicazioni per ridurre, in frequenza e quantità, gli interventi fitosanitari”. Manelli lo fa più per un discorso legato alla sostenibilità ma il risultato non cambia: Iot è un investimento che, in un modo o nell'altro, conviene.
E il biodinamico, con il suo approccio olistico, come vede l'Internet delle cose? “Nel biodinamico certificato non ci sono veti in tal senso, anche se ancora in pochi lo usano”. Forse la discriminante è rappresentata dalle dimensioni, tant'è che la cantina Avignonesi, con i suoi duecentotrenta ettari biodinamici, si avvale delle tecnologie IoT.
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a cura di Annalisa Zordan