È calato domenica notte il sipario sulla V edizione del festival Collisioni: 70.000 persone arrivate a Barolo (lasciando l’auto ai parcheggi in valle e salendo con la navetta) per ascoltare scrittori, musicisti, registi e artisti da tutto il mondo. Dalla musica di Jamiroquai a Fabri Fibra, da Gianna Nannini a Elio e Le Storie Tese e poi il Nobel per la letteratura Naipaul, David Grossman, Ian McEwan, Daria Bignardi, Lilli Gruber, Serena Dandini, Ascanio Celestini, Luciana Littizzetto, Roberto Saviano, Giuseppe Tornatore… Martedì, a festival finito, avrebbe dovuto esserci il gran finale del concerto di Elton John, unica data italiana, sold out con 80.000 biglietti venduti, ma il baronetto ha dato forfait per motivi di salute (e sono saltati anche altri due concerti in Germania). Peccato. Ma il concerto mancato non ha compromesso certo l’atmosfera di festa collettiva di Collisioni 2013.
Grande novità di quest’anno, in un festival che evidentemente celebra anche il vino, soprattutto il Barolo - con tre wine-bar fortemente voluti da Federico Ceretto - sono stati gli incontri food, affollatissimi. Non capita facilmente al grande pubblico di poter fare domande, e in un clima piacevolmente conviviale, a guru del food&wine tipo Sarah Kemp, direttrice di Decanter, tra i più importanti magazine di settore enologico al mondo, o di inserirsi in un dialogo fra Enzo Vizzari, direttore delle Guide Espresso, e Brian St. Pierre, giornalista, autore di libri e siti enogastronomici.
Domenica, sera giorno conclusivo, l’accesso al paese è stato chiuso per eccessiva affluenza (!), e nella bella e fresca sala del Tempio dell’Enoturista al WiMu, il museo dei vino, negli incontri si è parlato di vino, cucina, costume. Stephen Brook, una delle firme inglesi più importanti di Decanter, intervistato da Fernanda Roggero del Sole 24 Ore ha smitizzato il ruolo di certi eno-critici alla Antonio Albanese e ha ricordato con tranquillo buonsenso che il vino è qualcosa di vivo che muta nel tempo, con profumi e aromi che magari dopo un anno possono essere totalmente cambiati. Con buona pace di chi degusta seguendo una scheda, pur se autorevole, e non riesce a individuare nemmeno uno dei sentori descritti. Con uguale buon senso ha ribadito che il vino deve essere per tutti, non solo per agli addetti ai lavori. Ma si è parlato anche di globalizzazione e di vini autoctoni, di vini biologici e biodinamici, di investimenti e dei rischi dei fondi di investimento in vino (ormai diffusi in Europa), di classifiche e punteggi, soprattutto se troppo alti. Conclusione: se avete i soldi per investire in Lafitte, compratene due casse: se il prezzo sale, vi berrete la seconda pagandovela con la vendita della prima, se no, avrete due casse da bere…
Per Massimo Bottura l'imperativo è creare sistema. Cosa che sta facendo nel modenese, puntando a creare un rapporto più stretto con il territorio, le scuole e i produttori. Poiché non può esistere “un cuoco che non abbia le mani sporche di terra e di latte”, bisogna aprirsi al territorio e mettere la tecnica al servizio delle materie prime. Anche i grandi chef devono smettere di essere autorefenziali per fare sistema, condividere, scambiarsi nomi di artigiani, idee. “Siamo un po’ tutti figli di Marchesi” ha spiegato Bottura “e io, Cracco, Scabin, Pierangelini, Crippa, abbiamo scelto di aprirci a un discorso comune. Non siamo rock star, ma lavoriamo per il palato dei nostri clienti. E lavoriamo duramente. In cucina, il 10% è talento, il 90% lavoro duro”. Bottura, grande appassionato di arte contemporanea, naturalmente punta a una cucina contemporanea che regali emozioni. E racconta con motivata soddisfazione del giovane di Osaka che prende l’aereo, arriva a Malpensa, noleggia un’auto e va a cena alla Francescana, degusta 25 piatti, e poi riparte per il Giappone. O della ragazza polacca che mentre gusta la sua patata che vuole diventare un tartufo inizia a piangere ricordando le patate che le cucinava sua madre…
Food e comunicazione (e/o comunicazione tout court) nella chiacchierata - seguitissima – di Philippe Daverio. Che partendo dalla cedrata Tassoni e dai caroselli-culto di Mina ha creato collisioni stimolanti, dal Medioevo a Goethe arrivando fino a oggi. E ha riconosciuto al pubblico del festival il merito di costituire un’élite di nicchia che manifesta la stessa determinazione dei pellegrini diretti a Santiago di Compostela. A giudicare dalla partecipazione e dagli applausi, tutti già prontissimi al prossimo pellegrinaggio, il VI°, sulle orme di Bacco.
a cura di Rosalba Graglia